A 4 mani, 13° racconto: Wisteria

Il glicine, la glicine, la pianta del glicine troneggia sulle tegole e sul filo del telefono, ignara delle parole sottostanti al brusio elettrico intermittente che lo percorre. Una natura a strati fra loro estranei sopravvive: nessuna interferenza fra le onde elettromagnetiche nate dalla voce di Claudio sul ricevitore della cornetta e le sue intenzioni, nessun disturbo fra il profumo violetto del vegetale là fuori e la serie di input che scuotono elettroni e metalli. Di tutto ciò la discussione fra i due amanti non tiene conto, ignora la mano della siepe e l’occhio dei circuiti, è presa dal livello umano già di per sé sovrabbondante.
«Gliela voglio proprio far pagare a quella maledetta… mi ha rovinato la vita da quando avevo 11 anni, a farmi test e terapie per “curarmi”… ma adesso vede, gliela faccio pagare»
«Senti chi parla di pagare! Ma se a quella “psicologa” – scusa la parola – sei tu che hai sempre pagato e di brutto!! Lascia perdere, è acqua passata, la legge è passata, abbiamo lottato per anni ma adesso abbiamo i diritti, dài Claudio, smettila, passo da te e ne parliamo. Magari di sposarci??»
«Amore passa quando vuoi, ma quella non la può passare liscia».

Via Mafalda di Savoia la si ricorda per un glicine, che la distingue dalle circostanti, visitate dalla parietaria. Questo o questa glicine, questi piccoli punti di glicine che colorano un’intera parete riscattandone strati di ocra vecchio e scrostato, tengono in mano le tegole l’antenna un camino, e nascondono un cavo del telefono. La pianta del glicine di via Mafalda è, pare, indifferente al cavo, o forse ignara delle parole sottostanti al brusio elettrico intermittente che lo percorre. Forse ricorda solo le sere senza luna.
«Felice? Felice un cazzo».
Dovrebbe sobbalzare, la / il glicine. Invece, nulla.
«E che reazione è? Non è quello che aspettavamo, Claudio?».
«Guarda che la mia vita non è stata come la tua. Tu le terapie e i campi di educazione sessuale non li hai mica fatti. Ma adesso io gliela faccio pagare, sai!».
«Senti chi parla di pagare! Guarda che la psicologa eri tu che la pagavi, e di brutto! Anzi, prima la pagavano i tuoi, hehehe. Lascia perdere, è acqua passata, la legge è passata, abbiamo lottato per anni ma adesso abbiamo i diritti, dài Claudio, smettila, passo da te e ne parliamo. Magari di sposarci??»
«Amore passa quando vuoi, ma quella non la può passare liscia».

Se tutto questo glicine volesse o sapesse ricordare, se li ricorderebbe questi due, cavo o non cavo, che la sera profittavano di via Mafalda di Savoia per chiedersi chi avrebbe comprato il pane, e chi stirato; soprattutto evitato era l’immaginario compito di rigovernare i piatti dopo omeriche cene a notte fonda con immaginari amici, amiche. Visioni di felicità implausibili.
Una cena fra amici. Gli immemori punti di glicine, solo a sforzarsi un po’, ricordano altre sere e altre scene. L’uscita settimanale dallo studio psicologico e psichiatrico Dott. T. Nannerini, i test, le misurazioni, i libri consigliati. E la sera senza luna.
Le mani si fanno liquide nelle sere senza luna.
Le voci improvvise mordono, nel silenzio.
«Guarda due froci».
«Che schifo. Ma non vi fate schifo».
«Rivestiti schifoso».
«lasciali stare, amo’. Lasciali».
«Vi piace prenderlo nel culo?».
«Lasciateli, smettetela».
Forse i glicini si fanno solo i fatti loro, e pensano a cose grandiose: che gli imperatori giapponesi, durante i lunghi viaggi di rappresentanza, portavano con sé bonsai di glicine – a questo pensano; quando giungevano in luoghi stranieri si facevano precedere dagli uomini del seguito, che sostenevano alberelli di glicine fiorito, al fine di rendere note le proprie intenzioni, amichevoli e di riguardo, per gli abitanti di quelle terre.
Sangue fra Claudio, Giangiulio, e la terra madre dei glicini, sangue in ginocchio, illune silenzio.

A 4 mani, 12° racconto: Beautiful monster

Oriella Rimabon, meglio conosciuta come la Barbie di Valdobbiadene, per le curvilinee e biondochiomate somiglianze con la mitica bambolina, si stava guardando da circa un’ora le punte dei piedi, tra le lacrime e il mascara colati copiosamente sulle guance. Suo marito Daniele, invece, guardava, in alternanza fissa come se stesse seguendo un interminabile e noioso match di tennis, prima Oriella e poi la culla dove stava dormendo Omar, il loro primogenito. Senza parlare, gli occhi modulavano un pensiero a martello:
Non ci posso credere
.

Undici mesi prima

Sparsi sul letto tutti i moduli della società Babybello©. Tutte le caratteristiche richieste in otto pagine di moduli minuziosamente compilati.
Babybello© as you wish.

Le vetrate opaline della sala riunioni emanavano una luce lattea che permeava di chiarore rassicurante i volti che si delineavano sullo schermo al plasma. Le possibili combinazioni, date le opzioni materne, si affacciavano paffute, tenere e rosee dal video. Gridolini eccitati interrompevano i sussurri di Oriella e Daniele. Il loro bambino sarebbe stato perfetto. Bellissimo e unico. Come soltanto avrebbe potuto essere il loro figlio.
Il sogno dei futuri
Babybello© parents (clienti era una parola da evitare come un’anomalia genetica nelle brochure patinate della holding dei bambini perfetti che la Babybello© si vantava di essere) era a portata di mano. Beh, anche di portafoglio, diciamolo. Fortuna che Daniele era stato appena nominato junior partner nella DB&C corporation.

«La bellezza è un plusvalore… noi della Babybello© ne siamo perfettamente consci e la nostre scelte di marketing si basano proprio su questo principio. La società contemporanea è sempre più visiva ed oltre al quoziente intellettivo e a spiccate competenze relazionali gli individui nati grazie a Babybello© avranno una marcia in più, un valore aggiunto se vogliamo…»

La pr dell’azienda caracollava sui tacchi esibendo tette siliconate, un lifting altamente professionale e un guardaroba esclusivo, tutti frutti delle parcelle salate – guadagnatissime, certo – della compagnia specializzata in euprocreazione per la quale lavorava.
Oriella e Daniele pendevano dalle sue labbra – anch’esse accortamente ritoccate – e firmarono il contratto.

Prelievi, esami, analisi, un fuoco di fila di prosaiche operazioni per ottenere un rampollo degno delle migliaia di euro necessarie per metterlo al mondo.
Quando il test di gravidanza mostrò, nell’allinearsi inequivocabile delle barrette, che l’impianto era riuscito, che stava iniziando la fase 1 della produzione (così recitava il vademecum della
Babybello©), Daniele e Oriella festeggiarono – niente alcool, per carità, niente cibi ipercalorici – nel miglior ristorante della città. Lui le regalò un giornata nel più esclusivo centro benessere e l’indomani si videro recapitare un biglietto pergamenato con i migliori auguri da parte della promoter di Babybello©. Anche la firma era al computer ma carini lo stesso, no?

Undici mesi dopo

Non ci posso credere.
Daniele era un uomo risoluto. Per questo Oriella l’aveva sposato. Per questo era diventato a soli ventinove anni quello che era nella sua azienda. Dopo essersi riscosso dal torpore dei primi giorni pensò che si dovesse fare qualcosa. Che qualcuno dovesse fare qualcosa. Il dottor Nirvani, per esempio.

I media diedero ampio risalto all’episodio. “Coppia benestante – articoli e titoli a caratteri cubitali in prima pagina, foto e commenti sul web, gruppi su Facebook – preda di un raptus di onnipotenza, tenta di effettuare un’operazione di chirurgia estetica al volto del proprio bambino di due mesi.” Sociologi, psicologi, criminologi di chiara fama, scuri in volto, abituati a frequentare salotti da esperti circensi mediatici, a cambiare maglioncini ed esprimersi su tutto lo scibile umano foss’anche il risotto di Vissani, chiosavano sul degrado dei costumi del nostro secolo, arroventando il dibattito in uno slalom di partecipazioni televisive, degno di un Tomba dei tempi d’oro.

Potremmo, infine, raccontarvi di come la polizia fece irruzione in sala operatoria. Potremmo narrare che c’era anche il giudice Santagata. Potremmo riferire le sue parole all’indirizzo dei perversi genitori – «Siete delle brutte, anzi bruttissime persone», dello sguardo offeso di Daniele e dirvi ancora del conseguente attacco isterico della Barbie di Valdobbiadene alla ricerca disperata di uno specchio che confermasse che non era vero.

Non era vero che erano brutti. Era il loro bambino a non esser venuto bene.

Ma temiamo di non essere creduti.

Spunti, riflessioni ed incubi scaturiti da qui: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=7823&ID_sezione=38&sezione

in silenzio

sterno è un mio amico.
la prima volta che l’ho visto (ma già ci conoscevamo grazie alla posta elettronica) è stato a Sermide, venne per me, sono quasi tre anni ormai.
ma non importa questo.
lasciamo perdere i racconti a quattro mani, la narrativa e tutto, e leggiamo il suo dolore, che è grande.
parole vere, insomma.
non servirà (leggere), suo padre non c’è più.
E lui quando il suo vecchio è morto non c’era, era lontano, e questo fa male tanto, ché Sterno avrebbe voluto essere lì, a chiudergli gli occhi, dolcemente.
leggiamo, che altro non possiamo fare.
un abbraccio s.

remo

Un uomo
di Sterno

sul voto e altro

Oltre ai partecipanti possono, se vogliono, votare:
1. Stefania Mola (squlibri2)
2. Monia Casagrande (non commenta mai, ma c’è: nella prima edizione mi avvalsi della sua preziosa collaborazione)
3. Silvia (Sgnapis) (
sgnapisvirgola).
4. Lucia Marchitto (Lucia Marchitto)
5. Laura Costantini (che ha il blog con Lory)
6. Elena (C’è da fare)
7. Lucypestifera (Il lunedì degli scrittori)

8. Bri (Laura) (verdemare)
9. Sterno (genere umano)
10. Lucia (Cronomoto)
11. Ilaria (Ali d’argento)
So che Zena  (Colfavoredellenebbi
e) non ci sente… in  questi giorni.
Probabilmente ho dimenticato qualcuno…

A questi potranno aggiungersi altri visitatori di questo blog.
Si voterà un giorno di fine agosto, o inizi di settembre.
Un giorno preciso con un determinato orario, chessò, dalle 15 alle 21.
Chi non potesse partecipare al voto nei commenti mi può comunicare per posta elettronica il proprio voto. Potrà farlo in un lasso di tempo compreso tra la pubblicazione dell’ultimo racconto e il giorno prima della votazione. Sarà mia premura copincollare il voto e chi l’ha dato nei commenti.
Se qualcuno “indovina” chi ha scritto questo o quel racconto voti lo stesso; se invece l’ha saputo si astenga, per favore.
Il bello di questa iniziativa sta appunto nel premiare il racconto e non chi l’ha scritto; sappiamo tutti bene che l’abito fa il monaco anche nella narrativa.

Per chi ha già inviato il suo racconto.
Allora, il fine ultimo è la pubblicazione di un e-book. Un lavoro collettivo, insomma. Mi piacerebbe che fosse il più dignitoso possibile.
Allora se qualcuno volesse correggere dei refusi o delle imprecisioni me lo comunichi sul solito indirizzo mail (raccontiaquattromani@gmail.com).

Scusate se non rispondo nei commenti, son di fretta. Sta squillando il telefono, ora, devo vedere una persona, poi devo scappare, niente pc o mac per qualche ora, mi sa che torno stanotte, tardi.