Vita di redazione / 2
Una mia vicina di casa nei giorni scorsi mi dice: Alcuni miei parenti ospitano un indiano, che per la prima volta è qui a Vercelli, le interessa per il giornale? Magari un’intervista…
Vede, la signora, che non sono troppo entusiasta della cosa: di indiani, magari interessati alle risaie del vercellese, ne vengono spesso.
Poi. Sempre nei giorni scorsi un collaboratore del giornale mi aveva chiesto un incontro.
Ho un problema, mi aveva detto, ho invitato dieci indiani e loro vorrebbero tanto andare a Roma a vedere il Papa, è la prima volta che vengono in Italia, forse l’ultima. Il mio collaboratore mi aveva quindi domandato se ero disposto ad aprire una sottoscrizione per pagare l’aereo da Milano o da Torino per Roma, così da pagare il viaggio ai dieci indiani.
Gli avevo detto di no; spiegando che le sottoscrizioni sono quasi sempre mirate a bimbi malati, o a casi disperati.
Il mio collaboratore (scrive da un paesino , deluso, aveva aggiunto: Ho provato a chiedere anche in Vaticano, mi dice, ma mi hanno risposto picche.
Te pareva. dico.
Ma torniamo all’indiano della mia vicina di casa. Stamani vengo a sapere che effettivamente è un indiano: un capo della tribù dei Piedi Nero, un pellerossa insomma.
Cazzo, ed è già partito.
Certo che lo avrei fatto intervistare. Gli avrei fatto chiedere cosa pensa di film come Balla coi lupi o, meglio, come Soldato blu.
E magari gli averi fatto chiedere (ma forse forse avrei voluto intervistarlo io) se ha letto il bellissimo libro di Vittorio Zucconi dedicato a Crazy Horse, Gli spiriti non dimenticano.
Del libro ricordo un particolare: che la Chiesa smise di mandare missionari tra i Sioux perché succedeva che invece di convertire si convertissero alla religione del Grande spirito.
Ero dalla parte dei pellerossa, io, da ragazzo. Sempre. E lo sono ancora.
Ieri sera mi arriva un SMS. E’ di uno dei sette giornalisti della redazione, “lo sportivo”.
Leggo: è successa una cosa bruttissima…
Vado avanti a leggere: è morta una bimba di due anni, quando aveva due mesi le avevano diagnosticato un tumore al cervello; le cure al Meyer di Firenze non sono servite.
Il giornalismo di provincia è (anche) fatto di queste così.
Sei “più dentro”.