così stranieri, così gentili

Ieri sera ho presentato Bastardo posto a Santhià, 20 chilometri da casa mia. Quaranta persone, una quindicina di libri venduti, e un sonno della madonna mentre facevo i 20 chilometri, all’andata.
La notte precedente, infatti (sto scrivendo un racconto lungo che non mi convince), dal momento che non ho l’orologio né al polso né sul pc ho perso la cognizione del tempo (colpa dell’ora legale oltreché del racconto) sono andato a letto prima dell’alba, giusto il tempo di dormire due ore e mezzo.
Allora, alle 20 e 30 mi metto in macchina e vado a Santhià, arriverò puntuale penso, certo, non so bene dove sia la biblioteca ma, cavolo, ho il navigatore.
Oddio, il navigatore. Non l’avevo mai usato prima. Per me, prima di ieri sera, il navigatore è un aggeggio con cui mia moglie Francesca parla e litiga (mi dice di svoltare a destra, ma cosa dice questo cretino, a destra è senso vietato) ma ti permette di arrivare a destinazione.
Quando sono entrato a Santhià, però, l’ho spento: pensando che la biblioteca fosse vicina al Municipio, ben indicato dalle frecce.
Arrivo quindi nella piazza del Municipio, posteggio, poi però ricordo di aver presentato già un libro a Santhià qualche anno fa, e nulla, nelle strade vicine, mi ricordare quel posto.
Vedo un uomo giovane, meno di quaranta. Ha un giubbotto di pelle o simil pelle, sta attraversando la piazza.
Gli chiedo se sa dirmi dov’è via Dante Alighieri.
Mi spiega – e appena “spiega” capisco che non è italiano (aveva un modo di parlare che mi ricordava un mio amico egiziano) – mi spiega, stavo dicendo, che via Dante Alighieri è da tutta un’altra parte. E con calma e con il suo italiano strampalatoi mi dà le indicazioni.
Io però, che non ho l’orologio al polso e quella della macchina segna… le quattro di notte, penso che per non far tardi devo: uno, mettermi nelle mani del navigatore, reimpostandolo, due, telefonare agli organizzatori. Eseguo, mi rimetto in macchina, con una certa fatica raggiungo la biblioteca: sono in ritardo di cinque minuti, mi scuserò.
Prima di arrivare in biblioteca, però, rallento, anche se ho fretta devo far attraversare la strada a un uomo che, guardacaso, è lo stesso uomo che pochi minuti prima mi aveva dato le indicazioni. Perché?, mi sono domandato, non mi ha detto, Caricami, così ti ci porto io, devo andare anche io in via Dante Alighieri.
Perché sanno che siamo diventati insofferenti e razzisti.

Al giornale, tra i miei collaboratori, c’è una giovane donna di nazionalità marocchina. Per vivere fa la badante. Guadagna uno sputo, insomma. Scrive pezzi per la comunità marocchina (ma dio interesse generale). E’ carina, soprattutto gentile. Appena tornata dal Marocco mi ha portato un regalo. Tempo fa mi ha chiesto se sapevo dove procurarle una tastiera “araba”, per il pc. Mi son dimenticato di farlo. Ha provveduto lei, quanto hai speso, le ho detto, guarda che ti faccio rimborsare. Non ha voluto, mi ha detto, sorridendomi, Ho speso pochissimo (e io ho pensato, ma guadagni pochissimo).
Quando la vedo io penso all’educazione e all’educazione, sembra li abbia nel dna.
Mi vien da dire, un’educazione di altri tempi.
(E di questo suo bel modo di fare e di porsi son colpiti anche gli altri, in redazione, soprattutto la redattrice che ha a che fare con lei).
Anche l’uomo incontrato ieri sera, a Santhià, che mi ha spiegato il tragitto.

Anni fa pubblicai una lettera toccante sul mio giornale. Una testimonianza. Una donna, malata (è poi morta) raccontò, appunto scrivendo al giornale, dei suoi due vicini di casa, marocchini. Questa donna, che viveva sola (perché sua figlia Sara era andata a vivere in Spagna) ringraziava i suoi due vicini. Quando hanno saputo che ero convalescente – scrisse – si sono offerti di farmi la spesa, mi portano in casa la posta, si occupano anche della mia spazzatura, e io non mica gliel’ho chiesto… Eppure sono così: stranieri e gentili.
Uno dei due venne a rigraziarmi quando pubblicai la lettera della mamma di Sara. Alla fine si commosse e pianse, ma solo un attimo.
In quel pianto m’era parso di vedere anche uno sfogo.
Di lui me ne sono ricordato ora, mentre scrivevo di Santhià, ieri sera.

(Al ritorno il sonno era andato via; sono stato bloccato però: trasporti speciali. Chissà di che cosa).