A proposito di Yates

Quando posso parlo e scrivo di libri, ma con cautela: perché per me il libro è un incontro di chi lo legge con chi lo ha scritto.
Dal linguaggio al contenuto a quello che un libro trasmette: chi siamo noi? (chi io?) per entrare nella testa di un altro?
(Quindi quando parlo di un libro, per esempio al bar o in ufficio, faccio sempre attenzione a ripetere per me. E ricordo con piacere le letture degli articoli di Beniamino Placido: mi faceva capire se quel libro e quell’autore potessero avere affinità con me.)
E parlo poco di racconti: ne leggo, ma non mi entusiasmano. Al massimo dico di aver letto un bel libro di racconti.
Ma quando ho chiuso l’ultima pagina dell’ultimo libro letto, Bugiardi e innamorati, (racconti appunto) di Richard Yates (Minimum Fax, 13,50 euro), ho pensato d’aver letto il più bel libro di racconti della mia vita (se non sbaglio il primo fu I quarantanove racconti di Hemingway). Oddio, non penso d’essere in grado né penso che si possa raffrontare, per esempio, Yates a Gogol, ma nemmeno Yates a Calvino, o forse sì, si può tutto, invocando il diritto del lettore a scegliere: tu dovessi portare un solo libro di racconti su un’isola deserta… o anche solo in vacanza, che porteresti?
Allora torno a Yates. Aveva un chiodo fisso: la famiglia, l’unica cosa, diceva (la sua vita era stata segnata dalla separazione dei genitori), che meritava d’essere raccontata. Ma sarebbe riduttivo definire Yates come lo scrittore della famiglia, penso sarebbe meglio definirlo lo scrittore che sa scavare – e a volte volutamente si ferma – sui rapporti umani delle persone del suo tempo.
Ma a me è piaciuto soprattutto come è scritto il libro Bugiardi innamorati: è un libro di racconti che sembra scritto come un romanzo.
Provo a spiegarmi. Sarà una tara mia, ma spesso (quindi non sempre) lo scrittore di racconti, mentre lo leggo, è come se mi dicesse, Questo è comunque un libro di racconti, devo sintetizzare, sorvolare, ridurre.
Insomma: il romanzo è un’altra cosa. Non meglio o più facile o difficile o complesso: è altro (il cosidetto “respiro lungo”, forse).
Ho scritto non sempre e ribadisco: magari è una tara mia (trovo frettoloso Calvino e per niente frettoloso il meno elegante ma pungente Piero Chiara), sta di fatto che mentre leggevo il suddetto libro di Yates mi son trovato a pensare (pensiero bislacco, succede a tutti, no?), questo sembra scritto come un romanzo.
Anche perché la bravura di Yates – la cui scrittura a mio avviso è semplice – è di saper mettere tanta ma tanta carne al fuoco – personaggi, incisi, flash back – senza però che il lettore se ne avveda: e questa per me è una sorta di magia della sua scrittura.
Yates, che insegnò scrittura ma che sostenne che la scrittura non si insegna, diceva d’essere diventato scrittore grazie alle letture di Flaubert e Scott Fitzgerald.
Io dico che anche Yates può insegnare.
Di più: penso possa piacere anche a chi legge poco, e non è da tutti.
Prendetele come impressioni, comunque, ma se siete o aspiranti scrittori o estimatori di racconti e non avete letto Bugiardi e innamorati magari dategli un’occhiata quando andate in libreria.
(Che poi a me la casa editrice Minimum Fax non sta nemmeno particolarmente simpatica. Non mi ha mai bocciato un manoscritto, ma da un po’ di tempo, mi pare, ha deciso di non leggerne più, affidandosi quindi ad agenti o chissà che; e questa non è né cosa buona né giusta. Anche se io, di manoscritti, ora, non ne ho).

PS Ottima anche la prefazione di Giorgio Vasta su Yates: bella come un racconto.
Prossimo libro di racconti da acquistare: Andre Dubus, Voci dalla luna, dal 20 aprile in libreria per Mattioli 1985. Dubus, un amico di Yates, nella sua vita (a quanto ne so) scrisse solo sceneggiature e racconti. E, a quanto pare, era bravo come Yates.