Mi intristiscono bar e cinema chiusi il giorno di Natale. Nella mia infanzia bar, cinema e oratorio erano i luoghi in cui vivevo il giorno di Natale, dopo il pranzo con i miei. Sono legato al Natale come può esserlo chi è nato da una famiglia povera, operaia. Il pranzo significava pasta al forno (gli altri giorni era spesso minestra, che odio), poi altro e poi i pasticcini, che erano un avvenimento: due, tre volte l’anno, non di più.
Ma poi, appena finito di mangiare, c’era la fuga. Perché se vivi con altre quattro persone in una casa di 45 metri quadri al bar e poi al cinema ti sembra d’essere in alta montagna. Bar e cinema chiusi il giorno di Natale in un anno da dimenticare, invece. Oggi.
L’ho già scritto: otto persone che conoscevo, o legate a persone che conoscevo, se ne sono andate. Due di loro avevano altre patologie, ma è stato il covid a dar loro il colpo di grazia. Due, invece, hanno deciso di andarsene, togliendosi la vita. Uccise da questo folle clima? Una non so, l’altra penso di sì. Bar e cinema chiusi forse son chiusi in segno di lutto, chissà. Mio figlio mi chiama, è allegro, lui. A quasi undici anni è giusto esserlo. La vita continua.