Era il 2003, io ero caporedattore al giornale La Sesia.
Un giorno arriva una strana telefonata.
Un uomo piuttosto anziano si presenta, mi dice che ogni domenica pomeriggio va a messa in Duomo e poi mi racconta che lui e un gruppo di una dozzina di fedeli, da un paio di mesi, durante la funzione assistono a un fuori programma, .
Arriva un uomo, anche lui avanti con gli anni, che nessuno conosce. Si accomoda davanti, vicino all’altare, durante la messa prega intensamente, inginocchiato, poi, alla fine, se ne va lasciando un mazzo di rose.
Succede una volta, due volte, tre volte, poi il mio interlocutore e il gruppetto di fedeli decidono di vedere dove va, quando esce. Va alla macchina, una vecchia Fiat 500 nera targata Milano.
Mistero.
Alla quarta volta – mi racconta il mio interlocutore – lui e gli altri vanno ancora più a fondo. E prendono quel mazzo di rose. Dentro c’è un biglietto.
“Anche oggi ti ho aspettata…”.
Voi che siete il giornale locale più importante perché non indagate su quell’uomo?, mi dice il tipo.
Pensai: Saranno cazzi suoi, no?
Gli risposi: Quell’uomo è libero di sentire messa, pregare, lasciare un mazzo di rose con un biglietto. Un giornalista non si fa i fatti del altri.
Il tipo ebbe da ridire (tutti ne parlano, perché non approfondisce?), lo salutai.
Non seppi più nulla e non andai mai a vedere.
Ma è come se l’avessi visto, quell’uomo. Ogni tanto lo rivedo…
Quel racconto mi diede lo spunto per scrivere Dicono di Clelia.
Clelia è una giovane donna che diventa prostituta per caso.
Aveva da tempo in mente di scrivere una storia con, protagonista, una prostituta. Una di quelle conosciute durante gli anni in cui feci il portiere di notte in un albero. Una che incontro ancora adesso, per strada. Mi saluta, non ci siamo mai parlati. Non sa di essere… Clelia. E non sa che un uomo, ogni domenica, l’aspettava, pregando e con un mazzo di rose blu.