Il Salone del libro: quello del 2006 e quello a cui non andrò

Anno 2006, Salone del libro.

Vado a Torino, anzi no, pernotto a Torino in un albergo in San Salvario. Ho in programma di vedere un po’ di persone. Giulio Mozzi, che ancora non conoscevo, alcuni amici (Mario Bianco, Milvia Comastri, Laura Costantini), alcuni blogger. Ma soprattutto vado al Salone sentendomi – timidamente e per la prima volta – uno scrittore.
Al Salone ci sono infatti due miei libri: Dicono di Clelia, stand di Mursia, e Lo scommettitore, stand di Fernandel.
Due libri in una sola volta: e quando ancora capiterà?, pensai.

Si imparano tante cose, al Salone.
E si vedono tante cose. Scrittori che vanno in giro, poveretti, a vendere qualche copia del loro libro. Scrittori affermati che, più poveretti ancora, se la tirano e non danno la minima. Per poi sorridere a 32 denti a critici ed editori…

S’impara che è un casino fare pipì, soprattuto per le donne.
Ricordo questo. Vado in bagno (ho la vescica sensibile, da sempre) e l’attesa nei bagni degli uomini è quella di sempre al salone: lunghetta ma accettabile.
Pisciatine e pisciate veloce con relativa scrollatina, dipende dalla prostata.
Ma al bagno donne, quel giorno (era un sabato) c’era una coda infinita. Come le code interminabili di quelli che vanno a farsi fare un autografo da un Baricco o da un Travaglio qualsiasi.
A un tratto una donna, una bella donna tra i quaranta e i cinquanta, gonna e camicetta nera, si scoccia. Lascia la coda-donne e, decisa, a testa alta, sguardo fiero, si dirige verso il bagno-uomini. E non si degna nemmeno di fare la coda, macché. Mette la freccia, sorpassa tutti e – tra gli sguardi compiaciuti dei presenti – spalanca la porta di un gabinetto.

A proposito di sguardi compiaciuti. Anni dopo, non ricordo l’anno, ricordo solo che c’era Coelho, sono fuori che fumo il mio mezzotoscano. A un tratto vedo che c’è movimento, a pochi metri da me. Incuriosito mi alzo, e penso: che ci sia Coelho (che a me piace zero)? Macchè. Il pubblico, mi accorgo, è di soli uomini che hanno occhi per una giovane donna con minigonna spaziale e schieda tutta nuda (come fosse davanti non feci in tempo a vederlo…. Sono gli extra questi, del Salone.

Torniamo al 2006. Io staziono allo stand di Fernandel. Ci sono 20 copie del mio ultimo libro (Lo scommettitore) e lì capisco quanto sia importante una buona copertina: perché la gente che passa di fretta e dà un’occhiata è tanta, ma, in genere, guarda solo alcune copertine. La mia? Attirava poco.
E tu ti senti una copertina, una delle tante.

Ultimo ricordo, a cui do un titolo: la crudeltà.
Un signore in là con gli anni, tra io settanta e gli ottanta, parla con una donna un po’ più giovane ma nemmeno tanto. Lui ha scritto un libro, lei, che è un’editor o qualcosa del genere, gli spiega perché quel libro non verrà pubblicato. Un elenco infinito di questo non va e quest’altro non va, mentre l’uomo, sudatissimo, non proferiva parola e avrebbe preferito sprofondare, anche perché quella – stronza – mica parlava a bassa voce. Anzi.

C’erano due libri miei nel 2006, al Salone.
Quest’anno credo che saranno tre o forse quattro.
Ci saranno di sicuro:
Forse non morirò di giovedì, stand di Golem.
La suora, stand di Golem.
La donna di picche, stand di Fanucci.

Volevo fare un salto a salutare il mio editore, comprare qualche libro, ci avrei tenuto a incontrare qualcuno, fare la coda al bagno, fumare uno due tre mezzitoscani fuori. Poi ho pensato: facciamo un’altra volta.

Tornare a Orta: intervista Instagram

È da anni che vado a Orta. Orta, il suo lago con la sua isola. Orta e i suoi vicoli. Orta una sera d’inverno, deserta, senza turisti. Orta, città del poeta maledetto Ernesto Ragazzoni.

È finita. Il giornale è stampato,
la rotativa s’affretta,
me ne vado col bavero alzato,
dietro il fumo della sigaretta.

Quando ero piccolo i miei mi ci portavano poco, le nostre domeniche avevano altre destinazioni che prevedevano un picnic che odiavo (mi vergognavo a mangiare su un prato), ma da trent’anni a questa parte Orta e il suo lago sono una meta ricorrente. Specialmente quando non c’è turismo.

A Orta è ambientato il primo capitolo dell’ultimo libro scritto, La suora.
Un capitolo a cui tengo molto. Lo scrissi durante il primo lockdown, lo scrissi sognando di essere a Orta e di chiamarmi Romolo Strozzi. Volevo fuggire: dal lockdown e anche da me.

L’intervista è a cura di Rosangela Colombo. Che ringrazio per l’intervista.
Ne farà di altre, sempre sul suo canale instagram, roseange.eventi

Poi. Mentre scrivevo La suora sono andato a Orta, una volta. Stavo scrivendo il finale. Ci sono tornato per questa intervista, dopo mesi (maledetto lockdown).

Il video (20 minuti)