Io, quando leggo Céline per esempio, ma anche Montalban per esempio, a volte ho quasi voglia di sottolineare.
C’è qualcosa che ho letto che mi piacerebbe ricordare.
Spesso, solo una frase.
E mi dico che, forse forse, il libro che diventerà un classico è quello che ti fa venir la voglia di sottolineare.
Ho detto Cèline, e non per caso.
Nell’agosto del 2006 ero in Spagna. E leggevo contemporaneamente tre autori: Céline, Tondelli e un contemporaneo italiano (molto quotato).
Solo Céline avrei sottolineato.
Ieri ho scritto (sul mio giornale) che Luisito Bianchi è, a mio avviso, il più grande scrittore italiano contemporaneo.
Penso di non essere obiettivo: perché c’è di mezzo altro, affetto, ammirazione.
Io però i libri di Luisito li sottolinerei.
Poi ci sono i miei di libri.
Su Anobii qualcuno ha lanciato una discussione, chiedendo: se doveste salvare un libro, uno solo, quale salvereste?
Ho risposto, e non ho avuto dubbi nel rispondere.
Ho scritto: L’ultimo che ho scritto, precisando poi, Anche perché non ho mai riletto un mio libro.
Che io abbia paura di scoprire, rileggendo(mi), che non trovo nulla da sottolineare?
(Qualcosa di simile, ma riferito al teatro, lo scrisse Jean Vilar. Scrisse che lui, di alcuni spettacoli che gli erano rimasti impressi, ricordava, e citava Madre courage e i suoi figli di Brecht, un frammento o poco più. Ma da tenere a mente).