cinque minuti, poi sei mesi

c’era un tipo, si stava per laureare in sociologia, studiava come un matto e collezionava 30 e 30 e lode che, quando seppe che mi ero iscritto all’università, volle incoraggiarmi dicendomi:
Non ce la farai.
benché fosse molto stronzo il tipo, oggi insegna sociologia, aveva ragione: quando mi iscrissi a lettere fu organizzato un incontro con tutti gli studenti lavoratori.
Una ventina mi pare.
li ho persi tutti di vista, non so quanto ce l’abbiano fatta a finire. forse una donna.

mi abituai ad approfittare dei tempi morti. studiare mentre aspettavo l’autobus, studiare mentre ero sull’autobus (vedevo che non ero il solo, a Torini si usa, a Vercelli no). capii l’importanza dei cinque minuti: vai in un bar, ordini un caffè, vedi che c’è calma, ti siedi, tiri fuori gli appunti che hai preso, studi e leggi per cinque minuti poi quando vai alla cassa ripensi a quel che hai letto e poi uscendo e ancora andando…

Tutti i giorni.
sveglia alle 6e50, treno da Vercelli a Torino porta susa (45 minuti), autobus o tram verso palazzo nuovo (18, 55 o 56), lezioni (dalle 9 alle 11) di geografia economica, storia romana il lunedì, martedì, mercoledì, lezioni di dinamica e storia della letteratura il giovedì, il venerdì e il sabato, poi, verso mezzogiorno, di nuovo autobus e treno verso Vercelli e poi, dopo una mozzarella o insalata russa confezionata, altri pullman, verso la fabbrica, tutti i giorni dalle 14 alle 22, rubando, sempre, tempo al tempo, portandomi dietro le poesie del Pascoli, da leggere in bagno, o nella pausa di mezz’ora, per la cena. Poi la notte, caffettiera da tre, Marlboro, patatine…
A giugno do il primo esame, storia della letteratura, 28. A luglio psicologia, 30. Alla fine dell’esame la docente che mi interroga mi dice che per la lode deve chiedere al suo collega, titolare della cattedra, io le dico che va bene così. Peccato, ché di 30 e lode non ho preso mai….

Poi mi dico. Se sono così bravo, figuriamoci cosa faccio se prendo sei mesi di aspettativa in fabbrica, spacco il mondo spacco.
Li chiesi, me li diedero (così non rompevo le palle come sindacalista).
Bene, passai sei mese a combinare un tubo. Dimenticai, in quei sei mesi, l’importanza dei cinque minuti.
Più o meno, oggi, quando scrivo scrivo come quando entravo in un bar e se vedevo che c’era calma mi sedevo per cinque minuti, erano tanti quei cinque minuti.

Quando cadde il muro di Berlino me lo dissero. Stavo preparando un esame di glottologia (quello che andò peggio: 24) mi pare. Dissi, dopo l’esame, leggerò i giornali dopo l’esame.

L’ho fatta con rabbia l’università. Facendo una scommessa con me stesso. Se solo ti fai bocciare ad un esame smetti, prendi il libretto e lo fai volare fuori dal finestrino del treno.
Credo mi sia andata bene perché, ad eccezione di quei sei mesi, poi, ho sempre rubato tempo al tempo.
Se ripenso a quegli anni, rivedo la mia prima moglie e mia figlia che la domenica escono, perché è una bella giornata, vanno fuori, e io non so cosa darei per camminare anche io per i viali di Vercelli.
E mi sembra di risentire la testa strana, sonnacchiosa, di chi si è abituato a dormire quattro ore per notte.
Si impara, quando non c’è tempo.
(Ora son cinque e mezzo, sei).

Oggi devo rivedere l’ultimo capitolo dell’ultimo libro scritto.
Ho preso n altro giorno di ferie (lavorerò, recupererò domani e domenica).
Sto pensando, c’è tempo, oggi.

E’ uscito un libro di Giorgio Sannino che mi fa piacere segnalare. Conosco Giorgio da anni, io lessi il suo primo libro lui il mio primo. Ci scrivemmo e da allora siamo rimasti in contatto. Gli faccio, naturalmente, tanti auguri.

E buona giornata a tutti.

Una segnalazione, ora (venerdì, alle 19 e 18 minuti) che mi sento di dire, definire “importantissima” (mai fatto, credo).
Di un blog, che ha aperto, all’incirca un anno fa, Maria Strofa (Carlo Berselli) per sua figlia Serena.
Nenab.