Tra mezz’ora parto, vado in un paese del circondario, mezz’ora di macchina, si chiama Bianzè questo paese.
Sono ospite della biblioteca in qualità di scrittore ma dal momento che Bianzé è “sotto la giurisdizione” del giornale che dirigo i pochi o tanti che verranno, verranno anche perché io dirigo, appunto il giornale locale (che – chi si loda s’imbroda ma va bene lo stesso – in queste zone vende venti volte di più di quel che vendono i vari Corriere della Sera o Repubblica).
Dovrei, credo, rivedere un mio compagna di scuola, stasera.
Son trent’anni che non lo vedo.
Lui, quando facevamo le superiori era bravo in tutto, tutti otto, sette quando non era in forma. Mai un rimprovero, bravo anche in religione e ginnastica. Silenzioso, stava all’ultimo posto.
Giocavamo a pallone insieme: io riserva, lui titolare.
Due volte la settimana andavo a prenderlo, lo caricavo in bicicletta e, la sera, andavamo ad allenarci, in periferia.
Lo caricavo volentieri, e anche se dovevo fare (anche) un cavalcavia lo facevo volentieri; un po’, mentre pedalavo in salita, pensavo, “così mi rinforzo i muscoli”, un po’ mi stava simpatico quel ragazzo alto e silenzioso, che viveva nell’ospizio.
Quando arrivavo a prenderlo, e lui, sempre puntuale si faceva trovare dabasso, vedevo i più piccoli, ragazzini di sei, sette, otto anni: in fila per due, tenendosi per mano, come carcerati facevano il giro del cortile, sotto l’occhio attento di un assistente. Tutti vestiti uguali, tristi, a testa bassa.
Quando penso al grigio-triste, ri-penso a quelle immagini.(ché la nebbia e il buio sembravano più intensi, duri).
E al sorriso del mio compagno di classe.
Dài andiamo.
Andiamo.
E si fischiava, o De André o De Gregori, poi, in due su una vecchia bicicletta con solo il freno davanti e, rigorosamente, senza luci.
Mese: novembre 2009
la scrittura non si insegna, ma
Morì a 66 anni per enfisema polmonare; una morte forse cercata, dal momento che, ricordano i suoi biografi, fumava all’incirca 80 sigarette al giorno.
Sto leggendo Revolutionary Road, di Richard Yates, edito da Mimium Fax.
(E’ la mia lettura notturna, un’ora e mezzo almeno; durante il giorno, a spizzichi e bocconi, sto leggendo Asimov e la Yourcenar, di cui avevo letto niente, finora; e la scrittura della Yourcenar incanta).
Comunque, a proposito di Yates, alcune considerazioni veloci.
La prima. Uno dei più grandi scrittori americani, autore di quanti libri, sette, otto?, vendeva poco o niente, al massimo 12mila copie.
La seconda. Nei suoi libri Yates metteva sempre se stesso, metteva sempre la famiglia, metteva sempre il suo mal di vivere, segnato dal divorzio dei suoi genitori, e anche dalla sua vita sentimentale, precaria come la situazione delle sue tasche: divorziò pure lui, due volte.
La terza. Insegnava scrittura ma non credeva che la scrittura potesse essere insegnata.
La quarta. Citava sempre due libri, due capolavori: Madame Bovary di Flaubert, e Il Grande Gatsby, di Scott Fitzgerald. Ecco, Yates diceva che se era diventato scrittore lo doveva a Il grande Gatsby e, questa, è una grande frase, sui cui riflettere, e da accostare alla sua convinzione che la scrittura non può essere insegnata.
Ma ognuno di noi, evidentemente, ha antenne o può avere antenne: tutto parte dal proprio vissuto?
Conte non avrebbe avuto paura
Pensava, la bambina, che suo padre fosse come un cavaliere: senza macchia e senza paura.
O comunque coraggioso: come Conte, che non era né nobile né un guerriero a cavallo, era il loro cane Conte, un bracco sempre pronto ad attaccar briga ma coi cani di grossa taglia, ma mai, mai un’aggressione a quelli piccoli.
Se un cagnetto gli ringhiava, faceva finta di niente, lui.
Era un Conte per davvero, insomma, il loro Conte.
Che non era in ferie con loro, quella volta.
Appena arrivati, si erano sistemati in una pensione vicino alla grande piazza che dà sul mare; e mentre la madre tirava fuori gli indumenti dalle valigie, il padre disse alla figlia, che aveva undici anni: Vado al bar, vieni?
Lei, contenta, disse sì: le piaceva andare in giro con quel padre senza macchia e senza paura.
Il suo eroe.
Erano i giorni, quelli, in cui lui le diceva delle ingiustizie, e che bisogna ribellarsi sempre, e che i peggiori non sono nemmeno quelli che le fanno, le ingiustizie, ma quelli che non fanno niente, e tacciono.
E lei incantata lo stava ad ascoltare.
Vanno in un piccolo bar.
Il primo che trovano, il più vicino.
C’è tensione, dentro, insieme all’odore di caffè, buono.
Il padrone del piccolo bar, giovane e simpatico (lo scopriranno nei giorni successivi che è simpatico), è alle prese con un ubriaco insistente e petulante e noioso, vuole ancora da bere, canta, non vuol pagare, prende in giro il proprietario.
Arrivano due vigili, li avrà chiamati qualcuno, chissà.
Hanno il manganello e lo debbono usare: perché l’ubriaco appena li vede cerca di spintonarli fuori, inveisce, urla, insulta.
Lo sbattono per terra, lo immobilizzano.
La bambina pensa: bravi.
Poi, uno dei due vigili sferra un calcio all’ubriaco, poi un secondo calcio, poi un terzo, poi, dal momento che l’ubriaco invece di chetarsi gli sgrida Stronzo, va oltre: e comincia a dargli colpi col manganello, e uno e due e tre, e l’ubriaco adesso non grida più, non fa più lo sbruffone, ma dice Ahi, poi piange come un bambino, dice Basta, Basta, e anche l’altro vigile dice al collega Basta, e anche suo padre, vede la bambina (ed è contenta di vederlo), dice anche lui Basta e si avvicina, e la bambina pensa che adesso il suo papà salverà il povero ubriaco, non starà con le mani in mano come il proprietario del bar e il vigile numero due, e invece, invece, non fa niente nemmeno suo padre, perché il vigile infuriato gli ha puntato, per un attimo, il manganello sotto la gola, e dopo avergli detto Stai lontano riprende a battere colpi sulla schiena dell’ubriaco, manco fosse un tappeto, finché l’altro vigile si scoccia, e strattona il collega, lo porta via, e la bambina, delusa, guarda suo padre e gli dice, Torniamo in albergo, e mentre tornano lei pensa a Conte, a quando mette la coda in mezzo alle gambe perché c’è un tuono e ha paura, ma non ha paura Conte, non avrebbe avuto paura, lui.