In primavera questa casa sembra una casa fatta apposta per la primavera e per nessun’altra stagione. Appena entrati, dopo due metri, volendo, e in primavera certo che si vuole, anziché proseguire verso il corridoio si può, e si deve in primavera, aprire un portafinestra, sulla sinistra, che dà in un terrazzo né grande né piccino.
Non so dirvi i metriquadri, io, ho in uggia i numeri: mi ricordano mio padre, che faceva il contabile e che si vantava di saper fare complicate moltiplicazioni a mente.
So dirvi che sotto una tettoia c’è un tavolo per quattro persone e uno sdraio, quindi più avanti, verso la ringhiera, c’è ancora spazio, lì la tettoria non arriva, ci potrebbero stare un altro tavolo da quattro persone e altre seggiole o sdrai. Lì la mamma stendeva un asciugamani e in primavera e in estate e anche a settembre, perché a settembre certi giorni sembrano primavera, prendeva il sole.
Se avessi imparato da mia madre, ma ho preso solo i difetti di mio padre e di mia madre conservo solo i ricordi e le foto e alcune sue lettere, se avessi imparato da mia madre, dicevo, io, nel terrazzo, avrei piante con fiori colorati di cui non so né ricordo il nome. Ricordo che profumavano alcuni, ricordo i fiori piccoli e dal colore viola, ricordi i meno belli, che la mamma diceva servivano a tener lontane le zanzare, cioè i gerani. Nient’altro.
Se non fossi pigro mi sarei ingegnato, avrei cercato su internet, oppure mi sarei procurato un manuale di giardinaggio ma vedete, vedete: non è solo una questione di pigrizia. E’ che quei fiori, io, li voglio lasciare sul terrazzo di mia madre, ricordando com’erano, mamma fiori e terrazzo, trent’anni fa.
E se non avessi paura dei pipistrelli io in questo balcone ci dormirei nelle notti d’estate, perché l’appartamento è troppo piccolo, perché sto all’ultimo piano e non ho i soldi né la voglia di comprare un condizionatore, perché la città è caldissima a luglio, agosto, settembre.
E comunque: io voglio continuare ad avere paura dei pipistrelli. Non accetto che mio padre, mi pare di risentilo, mi dica che faccio ridere se mi spavento per un banale pipistrello.
Resterò fedele a quella paura, io, almeno a quella.
Ricordo che la mamma prendeva il sole, stesa sul terrazzo. Lo faceva solo quando papà non c’era, lui era geloso ed era follemente innamorato della mamma: ma follemente sta per folle per davvero.
Tu ami soltanto me?, diceva in mia presenza, con la mamma che, a testa china, assentiva, ma si vergognava.
Mamma, ma perché non andiamo mai al fiume a prendere il sole? le domandai una volta. Tacque, perché c’era anche papà; quando lui se ne andò mi disse “non vuole che io metta il costume da bagno”. E mamma un costume da bagno ce l’aveva, un due pezzi rosso. Teneva la mutandina nel cassetto con le altre mutandine di pizzo, e il reggiseno con gli altri reggiseni: evidentemente sapeva e sperava che papà non se ne accorgesse.
Però la mamma sapeva che poteva fidarsi di me, e quando papà non c’era prendeva il sole e parlava con Giulio, il portinaio, che (io lo so, non so se lo sapevo allora o se poi l’ho saputo dopo, crescendo e quindi pensandoci, che mamma e Giulio si mettevano d’accordo) arrivava, si appoggiava alla ringhiera, fumava in continuazione delle sigarette puzzolenti, e con gli occhi divorava la mamma, che era una gran bella donna.
Mamma sapeva che io non avrei mai raccontato a papà né che lei prendeva il sole né che quando lo prendeva parlava con Giulio.
Nel palazzo, sapevano tutti che Giulio aveva una moglie che lo riempiva di corna. Col letturista del gas, col dentista del secondo piano, col postino no, ci aveva litigato, col signor A.G., che era ricco e la portava a Milano alla Scala, diceva la panettiera a mia madre.
Ma chi sparlava tanto di Giulio era papà. Sparlava ridendo.
E io sono contento, o se lo sono, che mamma lo abbia cornificato con Giulio. Non so se l’ho capito allora, quando mia mamma cominciò a dirmi che potevo uscire “proprio” quando lei prendeva il sole (con Giulio lì, che si fumava le sue sigarette, e gli tremavano le mani), o se l’ho capito poi.
Però una sera, mentre papà ridendo diceva che Giulio era sicuramente un grande cornuto perché gli avevano detto che aveva preso in bocca il coso del prete (ero maggiorenne, papà dal giorno del mio diciottesimo compleanno disse che ero cresciuto e quindi potevo capire certe cose e si poteva anche dire cazzo, in casa nostra), ecco quella sera dicevo: io e la mamma ci guardammo e ridemmo anche noi, e papà ci guardò incazzato, e noi smettemmo perché papà aveva un brutto carattere, permaloso e vendicativo, sapevamo, io e mamma, che si sarebbe vendicato con lei.
Quando Giulio morì la mamma pianse più della moglie di Giulio, ne sono certo.
Io no, non piansi, ma non piansi nemmeno quando morì papà, era un uomo meschino, a suo modo violento: non alzava mai le mani ma di fronte agli estranei pretendeva che io e mamma gli dessimo sempre ragione.
Quando morì mamma piansi senza farmi vedere.
Piansi dopo, in questa casa, andai a frugare dappertutto, mi sarebbe piaciuto ritrovare quel costume rosso, macché, e piasi e in questo terrazzo dove la rivedo che sorseggia il suo caffé e dove la risento che canta, sorridendomi
I found my love in Portofino perché nei sogni credo ancor
un buon racconto di vita vissuta ….
bellissimo racconto
Una scheggia di colore e di vita, bellissimo.
Molto intenso e di grande livello. Ispirato.
Luigi
Ci sono bellissimi racconti, come questo, intensi e pieni di significati.
Poi ci sono incidentali con cui riesci a farmi morire: “col postino no, ci aveva litigato”…
quando sono senza parole, beh, le parole non mi vengono fuori. non mi interessa se c’è qualcosa di autobiografico, ma hai fissato immagini anche mie. ecco, le corna non so ma non cambia poi molto…o forse si, almeno per mia madre…