Scrivo perché la scrittura mi ha regalato delle notti indimenticabili ma, come un’amante maledetta, anche notti insonni e incubi.
Scrivo perché da ragazzo un giorno vidi un film che aveva per protagonista uno scrittore. Io lo guardavo in poltrona e mia madre lo guardava stirando. Avrò avuto dodici anni.
Mi rimase e mi è rimasta impressa una scena. Lo scrittore si sveglia e subito va a vedere la posta: niente, nessun editore ha letto i suoi manoscritti. Lui comunque ha vissuto il momento dell’attesa. E continuerà a scrivere.
Pensai: voglio aspettare anche io… e in effetti tutta le mattine appena mi alzo controllo la posta elettronica.
Pensai: voglio aspettare anche io… e in effetti tutta le mattine appena mi alzo controllo la posta elettronica.
Probabilmente scrivo perché quando ero piccolo eravamo talmente poveri che non ci potevamo permettere una televisione. Di giorno la mamma mi cantava le canzoni dei cantastorie, la sera col babbo, rigorosamente al buio ascoltavamo una di quelle grosse radio che gracchiavano rigorosamente. Se non c’erano radiodrammi o canzoni le storie me le raccontava lui, a patto che non dicessi nulla alla mamma. Mi raccontava di briganti toscani che non aveva mai visto e di battaglie che non aveva mai combattuto, e io lo ascoltavo a bocca aperta.
E poi scrivo o forse soprattutto scrivo – come ho fatto con Bastardo posto – per denunciare il marcio, affiinché urlino tutte le ingiustizie del mondo*.
Scrivo per vivere altre vite. E a volte scrivo per non impazzire, per guadagnare qualche spicciolo, per fuggire lontano e per cento altri motivi.
Grazie a Giuditta Russo che mi ha fatto venire in mente queste cose scritte di getto in tre minuti, se ci sono refusi pazienza. Adesso vado a vedere un allenamento della Pro Vercelli (ho ricominciato a fare il giornalista) Poi vado a prendere il piccolo, poi verrà la sera ma io, fin da adesso, aspetto la notte. Magari scriverò, chissà
* Da una poesia di Ho Chi Minh