Sono alle prese con due misteri: uno di un secolo fa, l’altro più recente.
Sparizioni, eventi inspiegabili, documenti sorprendenti ma incompleti, perché non spiegano. E documenti e testimonianze che non ci sono.
E ancora: testimonianze che si contraddicono.
E ancora anaocra: i ricordi, semprepiù sbiaditi.
Per uno di questi due misteri non ho risorse, non ho tempo, dovrei viaggiare, e quindi dico a me stesso che è un gran peccato non avere un mese per cercare di scavare (e comunque: non sarebbe facile).
Su un altro mistero, invece, ci sto lavorando, a tempo perso.
Vecchi verbali, ricordi neanche troppi lontani, incongruenze, ipotesi: tutto è avvolto nella nebbia, fitta fitta.
Quasi un muro.
Eppure insisterò.
Però ho pensato questo, ho pensato: ai misteri dei libri che ho letto.
E mi son sentito preso un po’ per i fondelli, ecco.
Insomma, un conto è Chandler, Marlowe era invenzione, Marlowe viveva e si comportava come un investigatore irreale. Un conto sono i gialli dove ogni tassello del mosaico, poi, si ricompone. e ti descrivono alla perfezione la questura di Milano o di Bologna o di Firenze.
La vita non è così; e la maggior parte dei misteri restano misteri.
(Ma a chi piacerebbe leggere un giallo dove un ispettore o un commissario si interrogano su morti e sparizioni attorno alle quali c’è solo nebbia e quindi non ci sarà nemmeno uno straccio di finale?).
hai ragione nonsisamai, leggere per esempio chandler è consolatorio: fiction al 100 per cento, senza la pretesa di essere altro.
carloesse (grazie); sull’elenco telefonico son d’accordo, rovinato dal finale
aitan, infatti: la vita è un pasticciaccio
ciao tiptop, non so, io per esempio amavo l’enigmistica quando non leggevo gialli e noir (ora ne cerco, di validi).
Il non risolvere i misteri credo sia una cosa peculiare italiana… o sbaglio?
Lasciare il finale nelle nebbie introduce un secondo romanzo sul seguito. Ed in ogni caso in effetti non credo piaccia alla maggioranza di lettori di gialli, in fondo è come un giochino di enigmistica, le lettere devono andare al loro posto, il quadro deve tornare. Chissà se i lettori di gialli sono anche patiti enigmisti? Mio padre lo era.
Ciao Remo!
Leggere un giallo “dove un ispettore o un commissario si interrogano su morti e sparizioni attorno alle quali c’è solo nebbia e quindi non ci sarà nemmeno uno straccio di finale” è una cosa che capita ai lettori del Pasticciaccio di Francesco Ingravallo, detto don Ciccio; pochi in verità, ma contenti di trovarsi di fronte a uno “gliommero” inestricato.
A me invece piacerebbe. Forse perchè non sono un lettore di gialli. O almeno (non è vero che non ne legga, anzi molti ne ho letti da A. Christie fino a Deaver, a Bruno Morchio o Sandrone Dazieri, passando per i grandi classici, Chandler, McBain, Simenon…) non mi ritengo un appassionato del genere.
Preferisco un mistero che rimane aperto a una soluzione deludente. Mi appassionai all’Elenco telefonico di Atlantide fino a metà romanzo, fino a che si brancolava nel buio. Mi ricredetti completamente andando avanti e all’ultima pagina decisi che secondo me era una cagata pazzesca.
Sarà che a me le nebbie piacciono, sarà che simboleggiano tutto ciò che rimane nascosto, formano l’atmosfera ideale per una storia, specie se di mistero. Penso alle nebbie di Simenon, a quelle da delta padano, a quelle lacustri di Piero Chiara (che giallista non era), a quelle tue vercellesi.
Che dai tuoi misteri insoluti e insolubili ne venga fuori un giallo secondo me poco importa. Ma ci sono tutte le premesse premesse perchè ne vengano fuori buoni libri.
la risoluzione finale da’ soddisfazione, c’e’ poco da fare. si tratta di una sorta di piccolo conforto che il lettore di libri gialli cerca circondato com’e’ nella vita reale da tanti piccoli e grandi misteri insoluti. altrimenti leggerebbe un saggio storico, no?