a proposito di depressioni editoriali

Ho trovato quanto segue tra le nascoste dentro la pancia di questo computer; è cosa, questa, scritta quasi un anno fa.
Buona domenica a tutti

Mentre la signora mi dice che le case editrici importanti aspettano il fenomeno da lanciare sul mercato, magari il bel ragazzo di venticinque anni che ha scritto un buon libro, io faccio di tutto, a, per non deprimermi, b, per non replicare, ché ho tanta voglia di dire alla signora che io a venticinque anni lavoravo in fabbrica, c’ero voluto andare, cazzo, c’ero andato perché pensavo che avrei cambiato il mondo, e cambiare il mondo, cazzo due volte, cazzo contraffatto, cazzo maledetto, è più importante di scrivere un libro, ché anche io a vent’anni volevo scrivere, a vent’anni, io, avevo letto (oltre a marx, gramsci, trotskij, che guevara) camus, guerra e pace, avevo letto tutto remarque e tutto steinbeck, io a vent’anni, anzi prima, a diciotto, ero andato al bar, c’era gente che allora aveva l’eskimo e ora vota forza italia, e avevo letto una poesia di neruda, e tutti lì a dire, forteee che bella, ma dove l’hai trovata?, dài, ridilla che la copio, e io, dopo un’ora di ricopiature mi ero beccato un bel po’ di vaffanculo quando avevo svelato che la poesia non era di neruda ma mia.
Mi dicevan tutti, quando avevo vent’anni, che sarei diventato uno scrittore. Forse perché andavo sempre in giro con dei libri, o forse perché avevo la barba e fumavo la pipa, ché a vent’anni la barba ce l’hanno in tanti (io ne avevo tanta, ma pochi baffi), ma la barba più la pipa era una cosa, appunto, da scrittori…
E comunque.
Alla signora tanto non interesserebbe.
E poi: la signora è una che sa cose del settore editoriale. In questo momento – va bene mi deprime – mi sta dedicando il suo tempo, e non mi chiede niente in cambio.
Mi dice, allora il suo primo libro…
Poi mi chiede del secondo. Del terzo.
De La donna che parlava con i morti sa, le hanno riferito che ha venduto bene.
Non benissimo, ma bene (3-4mila copie).
E’ una donna che sa, lei (giuro).
Ora le spiego una cosa, mi dice.
Io ascolto e non la interrompo. Magari mi deprime, ma so che lei è addentro (e fanculo ai venticinquenni bellocci col manoscritto in mano, penso).
Allora, supponiamo che lei ora esca con un libro e poi ancora con un altro, e supponiamo che questi libri vadano maluccio, diciamo sulle 2000 copie, sa cosa l’aspetta?
Taccio, così lei mi spiega (e mi deprime).
Che i librai e gli editori (i librai soprattutto possono verificare sul computer se un autore ha venduto o meno) non vorranno più sentir parlare di lei e lei, se vorrà continuare a scrivere, sarà costretto a trovarsi un piccolo editore serio, sempre che lo trovi e sempre che lei abbia voglia di scrivere ancora.

Fine delle trasmissioni.
La signora in oggetto è stata chiara, mentre mi raccontava (deprimendomi).
Per consolarmi mi ha citato il caso di un libro, appena uscito, almeno 20mila copie distribuite.
E’ uscito tre mesi fa e già cominciano a ritirarlo, ha fatto un flop clamoroso, perché quest’anno c’è la crisi, mi dice la signora (come per consolarmi).

Questa cosa qui mica è piaciuta ad alcuni amici scrittori a cui l’ho raccontata.
Non penso che le parole della signora siano da prendere come oro colato, penso comunque che mi son servite.

A chi sogna e invidia quelli che pubblicano: pensate di vedere il vostro libro, con una bella copertina in quadricromia, rosso e un bel giallo dominanti, che viene ritirato da una libreria.

Era meglio quando scrivevate; quando si scrive è lecito sognare; quando si è scritto è lecito deprimersi?
Vien da dire no, c’è di peggio a questo mondo.
Ma a chi scrive vien da dire sì, che è lecito deprimersi.

5 pensieri su “a proposito di depressioni editoriali

  1. Non sono sicuro che ci sia da preoccuparsi, riguardo il modo di gestire e gestirsi delle grandi case editrici. Sarà pure che io sono un ottimista patologico, ma una volta che uno scrittore ha appurato (dopo 2 libri pubblicati per un grande brand e che non hanno venduto come il grande brand stesso si aspettava) di non fare al caso di un certo tipo di mercato, può seguire il consiglio della signora di cui scrive Remo: trovare un’altra dimensione altrove, con altri tipi di editori, con altri brand.
    Il mio ottimismo viene in parte dal fatto che siamo ai tempi del web, e che l’editore è meno importante rispetto ai tempi della carta. Forse, addirittura, l’editore non è nemmeno più indispensabile – come sembrano far pensare alcune esperienze di autopubblicazione in corso negli Usa. L’attenzione non è su chi stampa e distribuisce bensì su chi produce. La stampa e la distribuzione sono importanti, ma in un’epoca in cui accendendo il computer si può arrivare ovunque nel mondo, si può fare a meno di chi mette in piedi l’infrastruttura per portare oggetti come i libri ovunque nel mondo (o anche soltanto nelle 3 librerie sottocasa).
    È una questione di priorità, mi pare, e di non lasciarsi troppo imbesuire da discorsi che stanno invecchiando rapidamente.

  2. Sbaglj, oh Remo: la cosa veramente deprimente non è quando lanciano il bel ragazzo venticinquenne con un buon libro in mano; è quando lanciano il *racchietto* venticinquenne con in mano la *sòla putrida*. Quello sì che è da spararsi overamente.

  3. non ho studiato per mia scelta (ho mandato affanculo la preside. quelli erno gli anni in cui ci credevo) e a 17 già lavoravo. pulivo il retrobottega di una farmacia e pulivo i cessi. e per fortuna, perché a 18 sono diventata l’uomo di casa. abiti e scarpe reciclate per decenni, ché l’importante era avere un piatto di cicoria (estremizzo, ma mica tanto).
    sono in cura al cim non so più da quanto (tre tentati suicidi m’hanno costretta), ma per non deprimermi di più mi dico che vado lì a vedere come sta la mia psichiatra.
    la cosa che invece mi deprime davvero è sapere che ci si deprime perché non si può apparire (e oggi si inizia ad esserlo dall’asilo). vabbé.
    caro remo, quando il mio editore mi dice “con quei soldi ci abbiamo comprato delle magliette per i bambini”, beh, fosse anche che ho contribuito per una sola, m’escono le lacrime dalla gioia.
    lo so, non frega un cazzo a nessuno, ma a te sì e te l’ho voluto dire. così. così come ti dico che mi piaci.
    sei forte, remo, anche senza pipa.

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