di sé e dei libri

E’ giusto che uno scrittore racconti di sé e dei suoi affetti, magari allontanati?
Secondo Donna Laura no.
E io, nel blog di Donna Laura ho scritto che non avrei raccontato e che sono d’accordo con lei.
Ieri però l’ho visto in libreria e ho comperato Prima di sparire, di Mauro Covacich, Einaudi, 16 euro.
In quarta di copertina ho letto:
Sparire dalla vita di un’altra persona significa tradire soprattutto se stessi: alla fine, anche se sei innocente, scopri di aver fatto comunque del male a un sacco di gente.
Questo sì, lo condivido.
Ma non mi racconterei mai, io.
Certo dei brandelli, sì, sono inevitabili i brandelli del sé.
Come Salgari: era lui Yanez, l’uomo delle cento sigarette al giorno.
Comunque leggerò il libro e vedrò se riuscirò a leggerlo o se invece mi dovrò interrompere a pagina 50.

Però son strani i libri, come noi.
Ho provato a rileggere libri che a vent’anni mi piacevano.
Come Papillon, di Henry Charrieère. Mi sono interrotto.
Non ha più lo stesso “sapore”.
Se la vita ti sorride e leggi un libro triste solitamente lo rifiuti.
Se vai di corsa e leggi un libro in fretta magari non lo capisci.
Se, son tanti i se.
Buon lunedì

Se Mondadori ristampasse L’obelisco nero di Remarque penso farebbe cosa gradita a tanti lettori. Ogni tanto qualcuno mi scrive e mi chiede se ce l’ho. Ce l’ho, fotocopiato. L’unico libro fotocopiato della mia libreria. L’avevo, l’ho perso, lo ho voluto riavere. Mi piaceva quando avevo vent’anni, mi è ripiaciuto l’anno scorso.


14 pensieri su “di sé e dei libri

  1. il punto è: mancanza di pudore oppure coraggio?
    ma c’è un altro punto: c’è un limite che non andrebbe superato mai?
    covacich ha scritto della sua vita e di altre persone, vere, in carne e ossa: le avrà avvisate, suppongo, prima di scrivere-pubblicare…

    c’è chi ha scritto della vita privata di persone che non ci sono più.
    la allende, per esempio, nel piano infinito.
    il padre di suo marito col pene di fuori, che se lo tocca mentre lo portano non ricordo dove…
    io, al posto del marito dell’allende, non avrei voluto.
    io al posto dell’allende non avrei scritto quella scena lì.
    le altre sì, ma c’è un confine, che non è oggettivo, questo è il problema.

  2. Sul parlare di sé. Due volte ho parlato di me in un libro. La prima, consapevole, in qualcosa che avevo bisogno di scrivere e che mai vedrà la luce. Lo sapevo nel momento stesso in cui lo scrivevo. Per il rispetto degli altri, come già ha scritto qualcuno qui sopra.
    La seconda, inconsapevole, in un romanzo che ho interrotto a metà, consapevolmente stavolta, perchè non si può scrivere bene di qualcosa da cui non si ha distanza. Almeno, io non posso.
    Il resto sono frammenti, come dice Remo. Che escono da soli, e me li ritrovo alla fine, scoprendoli all’improvviso. E sono temi, eterni dibattiti interiori, parole sentite, persone incontrate.

    Riguardo alle riletture, Remo… mi è capitato così tante volte da aver evitato di rileggere libri che mi hanno entusiasmata per mantenere intatto il ricordo. Sui classici, in particolare, sono arrivata a una cnclusione: che c’è una stagione delle scoperte, dell’incanto delle scoperte, che passa e va. Lo scorso anno, in camper, mio figlio allora non ancora sedicenne (e non certo intellettuale) lesse con entusiasmo i tre volumi de Miserabili. Io, ricordando il “mio” entusiasmo alla sua stessa età, ci riprovai. Con un risultato non eclatante. Non ne avevo più voglia.

  3. I libri che leggiamo cambiano con la nostra mente, con il nostro modo di vedere e assaporare le cose, cambiano come noi cambiano età.
    Lessi 20 anni fa Tito Livio, mi sembrò pesante, pedante, letto pochi giorni fa ne vidi e ammirai tutto lo splendore. Ciò non significa nulla, semplicemente che la costante della vita è il cambio.
    Un saluto.

    Rino, riflettendo ad alta voce.

  4. Sono felice di aver scoperto questo blog, ogni volta imparo nuove cose.
    Io quando scrivo inevitabilmente immetto qualcosa di mio, la quotidianità vista con i miei occhi, le mie verità (il tutto con molto pudore).

  5. Ma in fondo la vita brandelli sono, perché le storie con un filo logico che sembrano tendere dritte verso un finale significativo si chiamano romanzi, a parer mio.

  6. me ne hanno parlato.
    me lo hanno consigliato.
    l’ho preso in mano, l’ho tenuto in mano, l’ho posato di nuovo.
    non credo di farcela.
    dentro ogni cosa che scrivi c’è un pezzo di te. e chiunque lo legga ci mette un pezzo di sé. tra scrittura e lettura ci stanno due vissuti, e il risultato può essere devastante.

  7. Arimane
    è giusta la tua osservazione
    che differenza c’è fra “spiattellamento” esplicito e quello implicito (inevitabile)?
    penso si possa andare oltre, come insegna(va) Flaubert, spesso citato da Genna: per scrivere bisogna pensare come pazzi.
    oppure: la sublimazione psicanalitica.
    bisogna andare oltre, insomma, l’autobiografismo, farsi male. non sempre. però va visto, io credo, caso per caso.
    (sul libro di Covacich ho letto quel ch ha scritto Donna Laura; ma anche un commento positivissimo, su QLibri).

    Mario Bianco,
    m’hai fatto venire in mente, questo: una notte scrissi una cosa, personalissima, credo una cosa anche bella, forse, di un amore e di un dolore, insieme. l’ha letta solo una persona quella cosa, mia figlia.
    su babsi jones non so, io non credo abbia inventato. però non ho mai letto le pagine dove raccontava del padre.

    cara Milvia,
    hai ragione, si cambia. quando leggiamo un libro non dovremmo mai dimenticare che è un incrocio: tra sensazioni. affinità più o meno elettive, insomma.

    sì laura, ho cominciato.
    poche pagine per dirne.
    grazie. comunque, e complimenti: per una critica dura, ma fatta con “grazia”.

    ti capisco Criscia,
    e credo anche io che nel raccontare certe cose occorre fare conto tanto con il proprio pudore quanto con quelli di cui si racconta.
    ed è per questo che ho preso il libro.

    elisabetta, so del libro, ma è diverso, credo.
    è duro, m’han detto, ma è soprattutto un omaggio.
    ciao

  8. Ho appena finito di leggere un libro che mi ha commosso e non succedeva da un po’. Dove uno scrittore racconta di sé. Racconta molto e profondamente. E in un modo così autentico che la sua storia non si può che abbracciarla e farla nostra. Diventa anche parte della nostra. C’è chi è capace di raccontare di sé e chi è meglio che trovi altre strade per mettere se stesso nelle cose che scrive. Io sto seguendo la seconda via. Ma ringrazio lui per aver scelto la prima.
    ciao Remo
    Elisabetta

  9. No, non lo farei mai. Ho troppo rispetto per le persone alle quali voglio o ho voluto bene. Anche se il tempo passa, anche se ci si è fatti del male, anche se vorrei urlare un dolore e liberarmene non lo farei mai. Anche se ritenessi fosse la cosa più bella da scrivere, anche se pensassi che ne verrebbe fuori un ottimo libro, un’ottima idea, non lo farei mai. E non lo farei perché mi è anche capitato di stare “dall’altra parte”; qualcuno, tempo fa, ha usato cose mie personali, pezzi di vita importanti, solo per pubblicarli su un raccontino. Certo, ha cambiato nomi, qualche piccola cosa modificata, ma lì c’ero io… c’era un pezzo della mia vita che stava ancora facendo male. Non importa se gli altri potessero collegare a me o meno, importa come mi sono sentita; male.

  10. Sono contenta che tu ricordi frequentemente, qui, Remarque. Uno scrittore che ho amato moltissimo. E’ stato con “L’ultima scintilla” che sono venuta per la prima volta in contatto con la realtà dei campi di sterminio. Me lo lesse mia madre quando ero una ragazzina e ne rimasi sconvolta. L’Obelisco nero sta in uno scaffale della mia libreria. Edizione Bompiani del’74. Però, sai, ho paura di rileggere libri che mi sono piaciuti tanti anni fa. Paura di essere così cambiata da non apprezzarli più.
    Buona settimana, Remo.

    Milvia

  11. Io non scrivo di me stesso,
    1: perché penso che la mia vita privata non interessa nessuno,
    2: preferisco tacere di me, cavoli miei, specie su web ch’è molto “esposto”
    3: per di più, come dicevano dei grandi, la narrazione è sempre autobiografia(questa massima va presa con le dovute cautele e misure, tuttavia)
    4: si può sempre fingere un vita quotidiana d’invenzione su di un blog, può essere molto divertente e “creativo”, anzi molto meglio del quotidiano personale per me. Anzi ancor meglio è tentare di crearsi un”altra” vita, una vita surreale. Io pensai anche la vita della sunnominata eroina di sopra fosse del tutto finzione.

  12. Si parva licet, la questione è ancora più scottante per i blog. Quelli di scrittura “d’invenzione” intendo, ché i diari – forma principe (ahimé!?) – sono ovviamente fuori causa.
    Ricordo la polemica su BabsiJones; ricordo blog in cui programmaticamente si dichiara di non volere parlare di sé (compreso quello che tengo io stesso).
    Il punto è che la scrittura è anche narcisismo, sempre, in una certa (grande) misura. Allora: che differenza c’è fra “spiattellamento” esplicito e quello implicito (inevitabile)?
    Direi, innanzitutto la violazione della riservatezza di cose consegnateci volontariamente o accidentalmente da altri.
    Poi, il peso esercitato sul lettore dal sapere di chi scrive: illumina, certo, ma stravolge anche.
    Forse la scrittura vale perché è un velo, un filtro che colora le cose. Accende e sfuma, suggerisce propone. La gerarchia – consapevole o no – che l’autore stabilisce con questo filtro è per il lettore una “guida” utile per vedere il mondo in un altro modo dall’usuale.
    Sono per le menzogne inevitabilmente rivelatrici, insomma; per gli “inganni” che inevitabilmente svelano e per i giochi di complicità fra chi dice e chi ascolta.
    Un saluto.

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