dagli al critico

In una recente discussione su un altro blog sono stato zittito da una persona.
Tu non sei un critico e non hai i miei stessi strumenti per giudicare un libro, mi ha detto questa persona. In modo garbato ma perentorio.
(Si parlava di poeticità in narrativa; per questa persona l’elemento poetico è l’elemento portante di un romanzo, per me può essere un elemento caratterizzante, nulla di più).
Comunque, non ho ribattuto.
Teoricamente, un critico deve, in effetti, avere strumenti diversi per valutare un libro. In primo luogo una vasta, meglio se vastissima, conoscenza letteraria.
Ma torniamo agli strumenti.
E’ un’affermazione ricorrente, che fanno anche i critici più blasonati. Vera, insomma.
Ma comunque relativa.
A quel critico, avrei potuto replicare – ma son lento di riflessi – che altri critici, magari con strumenti superiori (più libri letti, pubblicazioni) non la pensavano come lui.In realtà il problema vero dei critici è che hanno sempre ragione loro.
Prendete il calcio. Se un giornalista sportivo dice che Totti è un bidone una volta, poi due, poi tre, prima o poi, dal momento che Totti solitamente gioca bene, si sentirà dire che la deve piantare, magari facendogli risentire una sua critica dopo che Totti ha realizzato una doppietta ed è stato il migliore in campo della Roma.
Ma dal momento che i libri non scendono in campo ecco che i critici restano arroccati sulle proprie posizioni: se un libro di cui han detto bene vende è giusto così; se invece non vende succede, perché la gente, soprattutto oggi (oggi uguale sempre) non sa cogliere certi messaggi.
E poi. E’ carino quando s’annullano.
Porcata.
No, capolavoro.

Poi, stando a quanto dicono alcuni editori non è che una buona recensione, specie su carta, sposti le vendite.
Il cacciatore di aquiloni, nei primi mesi, non se lo filò nessuno. Oppure la Tamaro: c’è stato un periodo che leggevo una stroncatura a settimana di Va dove ti porta il cuore, che ha toccato, mi pare, le 3milioni di copie vendute.
E sui critici, periodicamente, si torna a dire che non servono (il romanzo è morto, la critica è morta, i blog sono morti: e vai col liscio), e che meriterebbero di andare a spalare la neve o di essere cacciati nel maro rosso.
Ma fossero cacciati, io credo, qualcuno li reclamerebbe: gli scrittori. Se non tutti, tanti.
Comunque bisogna fare attenzione agli strumenti.
Anni fa Beniamino Placido ridicolizzò un giovane critico che, in televisione, si era vantato di aver letto migliaia di libri, non ricordo la cifra.
Placido, calcolatrice alla mano, fece di conto: e in pratica, quel giovane critico, aveva letto più di un libro al giorno da quando era in fasce.
Buon lunedì

E comunque. Certi giudizi su Anobii mi hanno fatto rivalutare tanti gli editori quanto i critici: ché certi lettori (per stroncare per esempio Tolstoy o Pascoli, non sarebbe meglio prima approfondire?) sono peggio, alle volte.
Scrivendo, mi sono ricordato di una frase di Babsi Jones, questa:
La letteratura, e l’arte in generale, ormai è – al pari dello sport, della politica, della religione e persino della scienza – assoggettata ai dettami delle tifoserie.
Sono d’accordo, ma non su quell’ormai. E’ sempre stato così. Quando uscì Viaggio al termine della notte mi risulta che sui giornali francesi si scatenarono le tifoserie: Porcata, No, capolavoro.
Piuttosto: Mi è piaciuto quel che ha scritto Lucarelli (postato dalla Lipperini) e cioé che chiunque, dal più intimo minimalista al giallista più classico, se scrive con sincerità, è altrettanto utile e importante.
Certo: va interpretato “se scrive con sincerità”.

Segnalazioni.
– Una grande testimonianza: sulla… retorica del 25 aprile.
– Quattro morti al giorno, già. Se ne parla troppo poco.

scrivere

Solimano, in un commento, scrive

faccio una osservazione, che non ritengo banale: per chi scrivono gli scrittori? Per gli altri scrittori? Anche, ma soprattutto per i lettori.

E per chi scrivono i blog? Per gli altri blog? Se è solo così, forse c’è qualcosa che non va nell’approccio. Sarebbe bello discuterne en plein air, perché gente che gira in rete ce n’è tanta, e non è detto che siano sfigati solo perché non hanno un blog.

Allora. Per chi si scrive.
Io scrivo per un’ombra, un volto che non conosco. Mentre scrivo mi chiedo chi sia, mi chiedo insomma.
Ma scrivo anche per le persone a cui tengo. O che ho incontrato.
Per esempio, non quando scrivo ma quando rivedo quello che ho scritto penso spesso alla fabbrica, o alle persone semplici.
So che non hanno tempo, loro, per certi orpelli. E quindi bado al sodo, o cerco di.

Questo condiziona, mi condiziona, soprattutto nella scelta dei registri linguistici. Non nei contenuti. Chi legge poco, io credo, non perde il bandolo della matassa di certe storie complesse.
Il grande poeta russo Esenin diceva se lui era diventato un poeta lo doveva a sua nonna analfabeta, che gli aveva raccontato, quando era piccolo, le fiabe della mitologia russa.

Buona domenica E poi c’è chi dice, in questo caso canta, che scrivere serve a sentirsi meno fragili.