Il blog non perdona.
500 e più visitatori se lo aggiorni tutti i giorni, sforzandoti di scrivere qualcosa di interessante.
300 scarsi se batti la fiacca.
dopo questa posso andare a mangiare, che sono le 23 e 10 minuti (e mentre aspettavo l’okay dalla tipografia mi sono letto un paio di post, uno di Giulio Mozzi su Vibrisse e l’altro di Serino su Satisficition.
Ve li segnalo:
Dopo 20 anni ancora lo scouting ai piccoli editori
(dove si parla di editoria, sempre lei)
e Distinzioni
(dove si parla di italiani – scusate ma son di fretta – che credono a tutto, forse)
Vado: post fatto in 6 minuti.
Mese: giugno 2008
scrittura (di visioni)
Poi, Libri di scrittori viventi
Non ne leggo quasi mai. Ma poiché ma l’ha regalato, sto leggendo C. di M. Baring. Mi soprende trovarlo così buono. Ma in che senso è buono? Facile dire che non è un grande libro. Ma quali sono le qualità che gli mancano? Probabilmente, che non aggiunge nulla alla nostra visione della vita…
(…)
Il mio cervello
Un vero e proprio esaurimento in miniatura. Siamo arrivati martedì. Sprofondata in una poltrona, riuscivo appena a rialzarmi; ogni cosa insipida: insapore, incolore. Enorme desiderio di riposo. Mercoledì: unico desiderio, starmene sola all’aria aperta. Aria deliziosa; evtato di parlare. Impossibile leggere. Pensato alla mia facoltà di scrivere, con venerazione, come a qualcosa di incredibile, che appartenesse a qualcun altro…
(…)
Proporzioni mutate
Il fatto che di sera, o nei giorni senza colore, le proporzioni del paesaggio mutino improvvisamente. Ho visto gente giocare a stoolball sui prati; apparivano affondati dentro una tavola piatta…
anche le tinte degli abiti delle donne si rivelavano luminose e pure, nella cena quasi incolore. Sapevo, anche, che le proporzioni erano anormali, come se guardassi tra le mie gambe.
Diario di una scrittrice, Virginia Woolf, Minimum fax, pagne 142 e 143.
Si potrebbero leggere al contrario, queste pagine del diario della Woolf.
Se non vedi proporzioni che mutano improvvisamente, non aggiungi nulla (quando scrivi)
se invece tu le vedi, forse, dipende da certe burrasche interiori che non ti fanno vivere bene
Buona domenica
PS
Ieri sera, a Vercelli, c’è stato uno spettacolo teatrale su Luigi Tenco.
L’attore che raccontava e cantava ha parlato anche d suicidi (il grande, unico tema secondo Camus).
E ha ricordato quelli che s’ammazzano gettandosi sotto le rotaie.
comunque partenza, sopra o sotto un treno, dov’è la differenza?
( e Lontano lontano, per me è la più bella di Tenco)
di spazio e di tempo giornalistico
ciò che trovo difficile, nel lavoro di un giornalista, è dover rimanere entro determinate righe
ha scritto Nikka.
L’ho detto tante volte: la scrittura giornalistica ha peculiarità che sfuggono, legate al tempo e, appunto come dice Nikka, agli spazi.
Il tempo.
Se scrivo un racconto o un post cercherò di avere dieci minuti in santa pace. Non avrò fame, non mi scapperà la pipì, non avrò mal di testa. Tantissimi articoli di giornale, direi i più importanti, quelli scritti un’ora prima che parta la rotativa, sono scritti da gente che è stanca, e che deve scrivere di fretta. Tremila battute in mezz’ora e una rilettura veloce e si va in macchina e quel che s’è visto s’è visto.
In quella mezz’ora, di scrittura veloce. il giornalista deve decidere: cosa scrivere e cosa no.
Non fai solo la brutta figura, se per caso scrivi un brutto pezzo, ché le implicazioni possono essere tante.
Se sbagli, magari danneggi qualcuno, se sbagli, magari becchi una querela.
Un anno ho collaborato con L’Indipendente diretto da Daniele Vimercati, che era un giornale vicino alla Lega, allora.
Daniele Vimercati, però, fece comunque un giornale non di partito. Mi fu chiesto di raccontare, non di avere un occhio di riguardo per questo o per quello e quindi in un anno di collaborazione mi trovai abbastanza bene (una volta mi chiesero un approfondimento: contro un sindaco della Lega Nord. Vimercati era un “buon figlio”, come Travaglio e altri, della scuola di Montanelli).
Comunque.
Un giorno deve scrivere di un suicidio. Un uomo che si era gettato sotto il treno.
Il giornalismo è pieno di contraddizioni.
La più grande è questa. Un suicidio di persona comune, certi giorni, si risolve in un trafiletto, altri giorni con pezzo su due colonne altri giorni (quando noncapita niente di niente) su tre.
Ero, quello, un giorno da tre colonne. Era successo niente di altro. Per cui l’indicazione fu: 3000 battute. Obiettai: dissi, so il nome, so dov’è successo, so che c’era la nebbia, so che non ha lasciato nessun biglietto.
Mi risposero (più o meno) arrangiati, 3000 battute restano.
Quando collabori con un giornale e vuoi mantenere la collaborazione c’è anche un ricatto non scritto ma c’è: o esegui, oppure trovano il sostituto.
Scrissi tremila battute. Senza inventare nulla. Scrissi del suicidio, solo quello che c’era da scrivere e nulla più, andai a vedere quanti suicidi c’erano stati nella zona, parlai poi del posto, sperduto tra le risaie. Andai insomma, fuori tema (fuori articolo), ma senza fare danni. Senza inventare.
Quando si va nelle scuole elementari soprattutto c’è sempre il bambino un po’ più sveglio che chiede: che differenza c’è tra uno scrittore e un giornalista?
Risposta abusata: lo scrittore inventa, il giornalista racconta.
Spesso succede il contrario. Se uno scrittore racconta, poco male. Se un giornalista inventa (leggere Pansa) invece no, è male.
(A meno che non sia una bugia veniale: perché se arrivi a 2900 battute e te ne mancano 100 scri, per esempio, che il suidica era benvoluto da tutti. Novantanove volte su cento va bene, una no).
buone cose
Continuano ad arrivare commenti per Maristrofa. Qui.
Sono contento di poterli segnalare.
prima regola
Sono venuto qui quattro volte, almeno, da ieri notte a ora.
Scritto e cancellato.
Al giornale lo dico sempre: si fa più bella figura, a volte, anzi spesso, a non scrivere nulla.
Fu la prima indicazione che diedi quando fui nominato direttore; dissi: per far bene un giornale la prima cosa che bisogna fare è segare via articoli inutili; tagliare dove si legge di ringraziamenti a questo o quello; tagliare gli articoli che contengono interminabili elenchi di personalità presenti all’avvenimento; oppure le formule idiote, come la presentazione ufficiale (e quella del martesciallo?) si è svolta presso… (il presso è gettonatissimo nel giornalismo, quasi come Se n’è andato in punta di piedi…), e le foto brutte, specie quelle di posa (così la volta che pubblicai la foto di un sindaco che si gustava un leccalecca, lui si arrabbiò. I sindaci, si sa, non mangiano mai i ciupa ciupa, mai).
Del resto me l’avevano insegnato. A Fiuggi, nella settimana di full imersione prima dell’esame per diventare professionisti, sentii Gilberto Evangelisti (quello di Tutto il calcio minuto per minuto) che, quando finiì di correggere un articolo, guardò l’aspirante giornalista e gli disse: prima regola del giornalismo, se devi dì le cazzate non le dì.
(m’è rimasta impressa, ma non sempre è facile).
Una delle rubriche più carine di Cuore era E chissenefrega.
Però. Mica è facile scrivere sempre Questo sì che importa.
Tre segnalazioni, ora.
Una serie di omaggi di Amalteo all’attore Carlo Rivolta, che è morto pochi giorni fa. L’ultimo che Amalteo ha postato (e che io non ho avuto il tempo di sentire) mi pare quanto mai interessante: Carlo Rivalta legge Quer pasticciaccio di Gadda.
E poi: è nato Blogtime. (Auguri Titty)
Oggi per caso ho visto il mio vecchio blog. I commenti, lì, sono in moderazione. Ne ho sbloccati due (di Porcasi Gaetano e di Triana) Ora sono in coda a un post sul sud e a uno a cui tengo in modo particolare.
E buone cose
pressoché quotidianamente
Pressoché quotidianamente… oppure è meglio dire Quasi ogni giorno…?
In un suo libro, non ricordo quale, Pansa racconta i suoi primi passi da giornalista.
Sbarbatello, lo prendono alla Stampa e gli fanno correggere i pezzi che arrivano dai vari collaboratori.
Un giorno arriva un articolo.
Inizia così: Pressoché quotidianamente…
Pansa corregge: Quasi ogni giorno.
Il direttore de La Stampa, Giulio De Benedetti, casualmente si accorge della correzione apportata dal giovane Pansa a quel pezzo.
Lo chiama. Gli dice: lei diventerà un bravo giornalista.
Allora, pressoché quotidianamente oppure quasi ogni giorno, mi succedono due cose.
La prima.
Mi alzo, mi lavo, controllo la posta elettronica, mentre aspetto che la caffettiera finisca di borbottare e mi offra il primo caffè, e mentre dico al cane di non farmi perdere tempo, infine esco. Nove volte su dieci devo tornare indietro, che ho dimenticato o gli occhiali, o la chiavetta con cose mie, o il nettapipe ché senza nettapipe la pipa non la si può fumare, oppure il cellulare. Oggi è il turno del cellulare.
La seconda.
E quasi ogni giorno (sei giorni su sette), mentre vado a lavorare mi fermo sempre al solito bar.
Sono due anni, ormai, che quasi ogni giorno (sei giorni su sette, ferie loro o mie escluse), vado sempre lì. Pressoché quotidianamente, prendo sempre un caffè senza zucchero, sempre, sempre, e poi ancora sempre. Mai nessuna variante, tipo macchiato, lungo, corto, oppure oggi facciamo un marocchino oppure un cappuccino oppure oggi caffè e un bicchier d’acqua.
Però il titolare del bar, sei giorni su sette, appena mi vede, dopo avermi salutato, Ciao, Ciao, Tutto bene? Tutto bene, mi chiede: Un caffè Remo?
No, una minestra.
Un giorno su sette, invece, che corrisponde al giorno di chiusura del solito bar, il secondo caffè della giornata, sempre amaro, senza varianti tipo lungo, corto, macchiato, in tazza fredda, lo prendo invece in un bar in piazza. La ragazza, ormai, sa.
Ciao.
Ciao. E mi fa il caffè. Bevo, pago.
Ciao.
Ciao.
E vado. E se va bene mi accorgo che devo tornare a casa. Il cane, ormai, ci è abituato, non me le fa le feste. Sa già, lui, non c’è bisogno che gli spieghi, che, pressoché quotidianamente, dopo il secondo caffè, di fretta perché sono in ritardo. torno a prendere qualcosa che ho dimenticato.
(… dimenticare di andare a prendere mia figlia all’asilo, ma era un padre giovanissimo, avevo 26 anni, mi capitò credo due volte, tre al massimo).
sì lo so: va di palo in frasca, questo post.
ma è lunedì.
buona giornata
giorni, come pagine di un libro
e oggi sarà un po’ come quei giorni, lontani, che alcuni hanno vissuto con la testa sui libri perché è imminente un esame.
oggi non lavoro, oggi (ma è stato così anche ieri pomeriggio, sabato, e di notte fino alle 4 e mezzo) lavoro su un libro.
una bozza di libro.
e una bozza di libro è come un castello di sabbia, basta niente per far crollare tutto, oppure, viceversa, non è un castello se non lo completi.
insomma.
una frase, una parola di troppo, oppure, viceversa, una frase, una parola, indispensabile alla struttura ma dimenticata, data per scontata, può mandare all’aria ore e ore di lavoro.
(poi certo, ci son libri-capolavori, come Il grande sonno di Chandler, in cui non tutto torna, ma son capolavori di scrittori a cui si perdona, volentieri).
oggi libro, magari la posta elettronica e se riesco stasera vedo l’Italia (avrei, nei giorni scorsi, voluto vedere la Turchia, che ha un grande allenatore, l’imperatore Fatih Terim, che allenò la fiorentina
Aver paura non serve a non morire, dice Terim che, a mio modo di vedere, pratica il calcio più spettacolare e più offensivo che c’è al mondo dicendo ai suoi giocatori, appunto, che non bisogna aver paura di perdere).
e poi, associazione di idee.
per diverso tempo ho chiesto a una psicologa di andare in terapia.
ho fato una fatica bestia ad ammettere che, forse forse, avevo bisogno di lei.
io avevo bisogno e lei, però, aveva altri impegni.
ci eravamo incontrati, le avevo parlato un’ora e poi un’altra ora, sempre in ufficio da me.
quando si è liberata da impegni mi ha telefonato e mi ha detto cominciamo?
le ho detto, quasi quasi no.
ci siamo visti una terza volta e io le ho detto di non avere più bisogno di lei.
ricordo che lei mi fa.
va bene, però ascolta.
tratta la tua vita come se fosse un libro, tratta i tuoi giorni come una pagina di un libro.
(e viceversa, no?
trattare un libro come la vita, mettercela dentra)
e buona domenica
PS.
Arriva qui un commento. Di un blog che non conoscevo, mai sentito prima.
Leggo un post.
Un giorno quando avrò più tempo.
Passo e rilancio la lettura.
cinque minuti, poi sei mesi
c’era un tipo, si stava per laureare in sociologia, studiava come un matto e collezionava 30 e 30 e lode che, quando seppe che mi ero iscritto all’università, volle incoraggiarmi dicendomi:
Non ce la farai.
benché fosse molto stronzo il tipo, oggi insegna sociologia, aveva ragione: quando mi iscrissi a lettere fu organizzato un incontro con tutti gli studenti lavoratori.
Una ventina mi pare.
li ho persi tutti di vista, non so quanto ce l’abbiano fatta a finire. forse una donna.
mi abituai ad approfittare dei tempi morti. studiare mentre aspettavo l’autobus, studiare mentre ero sull’autobus (vedevo che non ero il solo, a Torini si usa, a Vercelli no). capii l’importanza dei cinque minuti: vai in un bar, ordini un caffè, vedi che c’è calma, ti siedi, tiri fuori gli appunti che hai preso, studi e leggi per cinque minuti poi quando vai alla cassa ripensi a quel che hai letto e poi uscendo e ancora andando…
Tutti i giorni.
sveglia alle 6e50, treno da Vercelli a Torino porta susa (45 minuti), autobus o tram verso palazzo nuovo (18, 55 o 56), lezioni (dalle 9 alle 11) di geografia economica, storia romana il lunedì, martedì, mercoledì, lezioni di dinamica e storia della letteratura il giovedì, il venerdì e il sabato, poi, verso mezzogiorno, di nuovo autobus e treno verso Vercelli e poi, dopo una mozzarella o insalata russa confezionata, altri pullman, verso la fabbrica, tutti i giorni dalle 14 alle 22, rubando, sempre, tempo al tempo, portandomi dietro le poesie del Pascoli, da leggere in bagno, o nella pausa di mezz’ora, per la cena. Poi la notte, caffettiera da tre, Marlboro, patatine…
A giugno do il primo esame, storia della letteratura, 28. A luglio psicologia, 30. Alla fine dell’esame la docente che mi interroga mi dice che per la lode deve chiedere al suo collega, titolare della cattedra, io le dico che va bene così. Peccato, ché di 30 e lode non ho preso mai….
Poi mi dico. Se sono così bravo, figuriamoci cosa faccio se prendo sei mesi di aspettativa in fabbrica, spacco il mondo spacco.
Li chiesi, me li diedero (così non rompevo le palle come sindacalista).
Bene, passai sei mese a combinare un tubo. Dimenticai, in quei sei mesi, l’importanza dei cinque minuti.
Più o meno, oggi, quando scrivo scrivo come quando entravo in un bar e se vedevo che c’era calma mi sedevo per cinque minuti, erano tanti quei cinque minuti.
Quando cadde il muro di Berlino me lo dissero. Stavo preparando un esame di glottologia (quello che andò peggio: 24) mi pare. Dissi, dopo l’esame, leggerò i giornali dopo l’esame.
L’ho fatta con rabbia l’università. Facendo una scommessa con me stesso. Se solo ti fai bocciare ad un esame smetti, prendi il libretto e lo fai volare fuori dal finestrino del treno.
Credo mi sia andata bene perché, ad eccezione di quei sei mesi, poi, ho sempre rubato tempo al tempo.
Se ripenso a quegli anni, rivedo la mia prima moglie e mia figlia che la domenica escono, perché è una bella giornata, vanno fuori, e io non so cosa darei per camminare anche io per i viali di Vercelli.
E mi sembra di risentire la testa strana, sonnacchiosa, di chi si è abituato a dormire quattro ore per notte.
Si impara, quando non c’è tempo.
(Ora son cinque e mezzo, sei).
Oggi devo rivedere l’ultimo capitolo dell’ultimo libro scritto.
Ho preso n altro giorno di ferie (lavorerò, recupererò domani e domenica).
Sto pensando, c’è tempo, oggi.
E’ uscito un libro di Giorgio Sannino che mi fa piacere segnalare. Conosco Giorgio da anni, io lessi il suo primo libro lui il mio primo. Ci scrivemmo e da allora siamo rimasti in contatto. Gli faccio, naturalmente, tanti auguri.
E buona giornata a tutti.
Una segnalazione, ora (venerdì, alle 19 e 18 minuti) che mi sento di dire, definire “importantissima” (mai fatto, credo).
Di un blog, che ha aperto, all’incirca un anno fa, Maria Strofa (Carlo Berselli) per sua figlia Serena.
Nenab.
di fenoglio in fenoglio
Fenoglio sconsolato
La Malora è uscita il 9 di questo agosto. Non ho ancora letto una recensione, ma debbo constatare da per me che sono uno scrittore di quart’ordine. Non per questo cesserò di scrivere ma dovrò considerare le mie future fatiche, non più dell’appagamento di un vizio.
Fenoglio poeta.
Le notti di agosto, a Monteberico le stelle ti scoppiano sulla testa.
Fenoglio insolito.
Pare che M.me Flo abbia licenziata la sua domestica, la Mariuccia, che m’aveva in tanta ammirazione perché io la salutavo sempre e per primo. Pare che la Mariuccia sia entrata senza bussare nella stanza di Flo che stava godendo sotto certo Filippo. Flo sbatté lontano l’uomo con un colpo d’anca ed alle protese di innocenza e di ignoranza di Mariuccia abbia risposto con due schiaffi e l’intimazione di licenziamento in tronco. Mariuccia se n’è andata, non senza aver lasciato trasparire i suoi intendimenti di vendetta: riferire al marito di Flo quale e quanto puttana sia la sua ex padrona.
Madame Flo, la vettura è vostra e voi ci fate montare chi volete. Per parte mia, io vi sono immancabilmente grato per quei passaggi dalle 11 alle 4 di mattina.
Fenoglio attento.
Conosciuta, a distanza, la giovane signora Prandi. Essa è l’amante di un prete. Personaggio.
Poi.
Bastano poche righe per dire tanto di Mario Rigoni Stern.
ferie anomale
dovrei cercare di finire un libro.
nel tentativo di stare un po’ in pace ho chiesto (praticamente e me stesso) due giorni di ferie (e me li sono concessi).
sono ferie, per modo di dire, però.
perché il cellulare squilla, ché la gente mica lo sa che ho preso ferie.
e la posta elettronica s’ingolfa se non la smisto.
(il riferimento è a telefonate e mail di lavoro, comunque).
non ci son più le ferie di una volta, insomma.
prevengo l’osservazione che avrei potuto staccare il cellulare e non guardare la posta elettronica: se lo faccio, poi, son cavoli domani.
ho problemi di posta elettronica, da qualche giorno.
qualcuno mi chiede come mai non rispondo.
non rispondo perché non ho ricevuto.
anche se sono in ferie, rispondo sempre a tutte le mail.
(sempre sempre no: credo di essermi dimenticato, qualche rara volta)
e poi.
uno dice che oggi è più facile scrivere perché, per esempio, con il computer puoi fare il taglia incolla e il cerca e il conto delle battute (il word con i sinonimi mi rifiuto: viva star office, sola scrittura).
vorrei vedere dante o dostoevskij o simenon col cellulare che squilla; altroché divine commedie, delitti e castigi e 800 libri..
oggi può succedere quel che è successo al mio amico guido catalano che ha scritto la poesia più bella del mondo.
buona giornata
ma che notte è, che notte è…
Sono le 3 e 49 minuti.
Notte, direi, fonda.
Il pc fa un leggero rumore, è acceso da ore.
Da ore, i miei occhi leggono, rileggono quel che scrivo, poi – pausa – leggono mail, post, e mentre i miei occhi, stanchi, leggono, ripenso a una radio, una olivetti, il rumore del treno lontano, una gatta, si chiamava Lilli, anni fa.
Nè spam, mail, nick, troll, nick e troll e troll e nick, e template, contatori, anobii, splinder, word press, fatti un blog no anzi due, taglia incolla, non ho ricevuto la tua mail rispedisci per favore, l’allegato non si apre, fate girare questa, vieni a leggere cosa ho scritto, chiudo il blog, nazioni dello spirito e poesie indiane, primi amori, mi disintossico da lblog, se mi linki una cosa te ne sarò grato per tutta la vita…
Nè blog, né mail, né telefonino.
Sulla automobile(una y10 bianca, quella che Piace alla gente che piace) un’autoradio estraibile. E cassette.
Ora defunte.
E schede telefoniche, allora, allora c’era chi faceva la raccolta.
Ne avevo anche io una trentina: buttate.
Un altro mondo, lontanissimo.
La radio, poi, era vecchissima, gracchiava.
Se dicevo posta pensavo alla cassetta delle lettere.
Il suo manoscritto è stato letto con interesse, ma…
E la giornata era rovinata.
Sono le 3 e 52 minuti.
Se è primavera, io, non me ne sono ancora accorto.
Allora controllavo meglio: dalla finestra.
La primavera e i gatti in strada.
Una volta, guardando dalla finestra, ho visto un gran trambusto nella casa di fronte. Era morto uno che conoscevo. Un brav’uomo. Ho guardato dalla finestra che lo vestivano, moglie e cognata. La mia finestra era illuminata, sapevano che io ero lì pochi metri in liena d’aria.
Prima ho guardato su YouTube, e non ricordo nemmeno cosa.
Sono le 3 e 54 aminuti.
Fumavo Marlboro rosse, allore. E di notte bevevo caffè, in continuazione.
Fumo Camel Light, ora, alternate alla pipa. Bevo te nero, da un po’ di tempo. Mi sono innamorato del te nero che mi hanno portato dall’Inghilterra.
Sono le 3 e 59 minuti.
Ho riletto.
(Però un gettone del telefono, sommerso dal casino della scrivania, da qualche parte c’è.)
Torno a scrivere. Il cane è venuto a controllare se tutto precede: come tutte le notti.
E poi.
Sul blog di Orasesta, Piccoli insignificanti malesseri di Piera Ventre.
Li ho letti, mi hanno incantato. Piera-Biancanera-Biancamara più passa il tempo e più diventa brava.
Ricordo le prime cose che mi mandò da leggere. Era, suppongo io, la Piera in cerca di un’identità, incerta.
Poi un giorno mi scrisse e mi disse, Ho deciso, Scrivo per gli altri scrivendo per me, non voglio pensare alla pubblicazione, alla carta.
Da allora, Piera, mi ha sempre sorpreso.
Io, lo dico sempre, non so se esista o meno il talento. So che la scrittura, a volte, siamo noi che la blocchiamo.
due più due (più due)
Vi lascio due canzoni, oggi.
Ho visto nina volare, ma nell’interpretazione di Zucchero. Una grande interpretazione.
Qualcosa di più recente, Come le onde sul mare di Gianmaria Testa. Belle le parole, fantastica la chitarra.
E qualche frammento teatrale
Vladimiro. Una cosa è certa però, il tempo è lungo in queste condizioni, e ci spinge a popolarlo di movimenti che, come dire, che possono a prima vista sembrare ragionevoli, ma ai quali noi siamo abituati. Tu mi dirai che è per impedire alla nostra ragione di colare a picco. D’accordo. Ma non sta già forse vagabondando nella notte assoluta dei grandi abissi, è questo che mi chiedo talvolta. Mi segui?
Estragone. Si nasce tutti pazzi, alcuni lo restano.
Pozzo. Aiuto, vi darò del denaro.
Estragone. Quanto?
Pozzo. Centro franchi.
da Aspettando Godot, Samuel Beckett, Einaudi.
E poi.
(piccola spiegazione. Chi parla, è un uomo che parla all’amante. Parlano del marito di lei, Robert. Che pensavano fosse becco e fesso e invece no, si dava da fare pure lui. E sono sorpresi, Jerry ed Emma. Più Emma di Jerry…).
Jerry. … per esempio quando sei con un amico al pub, o al ristorante, per esempio, succede che quello sparisce per andare a fare pipì, mi spiego? a chi non succede, ma quel che voglio dire è che se sparisce per fare una telefonata di nascosto, quasi lo intuisci, quasi ti sembra di sentir cadere il gettone. Beh, con Robert questo non è mai successo. Non ha mai fatto telefonate clandestine da un pub quando era con me, la cosa buffa è che ero io che sparivo per telefonare, a te
Tradimenti di Harold Pinter, Einaudi.
(Piccola considerazione, mia. Nei dialoghi, i commediografi sono, solitamente, molto più “credibili” dei romanznieri).
E due saluti, ancora: a Mariastrofa.
Di Lucio Angelini (moltiplicatore di altri saluti).
E Silvia.
E buon lunedì, si spera.
E continuo a ricevere, a mi fa piacere riceverle, altre testimonianze per Carlo (Maria Strofa).
Matisse per esempio.
E da Evasioni.
la fisarmonica
Cammino. Sento, ma non so da dove venga di preciso, una musica bastarda, di quelle che ti entrano dentro e che vorresti non dimenticare.
Sentendo quella musica, mi ricordo della ragazza con l’organo di barberia, a Montmartre, una vita fa. Non smetteva mai di cantare. Non avrei mai smesso di ascoltarla.
Stavolta, finalmente vedo anche se son distante, è una fisarmonica la colonna sonora di una sera e di una strada.
La suona un nomade. Sembra faccia parte del suo corpo, quella fisarmonica. Perché la suona mentre cammina, la suona mentre fuma una sigaretta, la suona mentre parla con sua moglie, saranno sui trent’anni tutti e due, e lei ha un bimbo al collo, la suona quando, vedendo che lo sto guardando, mi fa, Capo.
Sto per andare via. Sono lontano da lui, poi non sarei passato dov’è lui, ora.
Sto per andare via ma non lo faccio. Vedo che ci son persone che han fatto crocchio, e che ridono, guardando il nomade, sua moglie e il bimbo al collo.
Tre zingari di merda, già.
A quella gente che ride e addita e pensa povera italia vorrei dire che in un anno di volontariato in carcere ne ho visti di extracomunitari e zingari, certo. Ma non erano nel piano dei mafiosi e dei camorristi, non erano tra i pedofili.
Mafiosi, camorristi e pedofili, da quel che ricordo, erano della razza mia.
Ho fretta. Così attraverso la piazza, do un euro al nomade che mi dice, Che Dio ti benedica, capo.
Speriamo.
Che dio ci benedica.
(giuro: era bravissimo)
Un saluto a tutti
(Ringrazio RedPasion per questa nomination).
e un abbraccio a Serena, se passa di qua
Su Letturalenta l’ultimo saluto a Mariastrofa
Da Alberto ricevo queste testimonianze su Mariastrofa, sono di sei, sette anni fa.
Prima testimonianza
E seconda.
Grazie, perché sono ricordi puliti, lontani dalla retorica che ci fa nascere tutti belli e ci fa morire tutti buoni.