Quando penso a una belle canzone mi viene in mente
Vulesse addeventare nu brigante (vorrei diventare un brigante).
Dal momento che più passa il tempo e più dimentico quel po’ che ho studiato di inglese (per la verità imparai più inglese in due anni di reception in un albergo che in cinque anni a scuola) questa canzone mi permette di ripassare un po’ di napoletano; napoletano imparato in una fabbrica, qui al nord, con alta percentuale di maestranze (termine orribile) di origini campane.
Figli di quelli che arrivarono con le valigie legate con lo spago.
Come quella di mio padre e di mia madre.
Che lasciavano la mezzadria per la fabbrica. Lasciavano anche Cortona, che oggi è una cittadina ricca di turismo, soprattutto. Allora no, allora
la noia l’abbandono il niente son la tua malattia
paese mio ti lascio io vado via
(tanto per ribadire che Que sarà è dedicata al mio paese)
Passo invece a una canzone che mi ricorda il 1983.
Tutte le mattine prendo il treno delle 6,55 per andare a Torino, ché mi sono iscritto a Lettere a Torino (a mezzogiorno avrei ripreso il treno che mi avrebbe riportato a Vercelli, mi aspettava la fabbrica, turno fisso 14-22).
Arrivavo sempre con un po’ di anticipo alla stazione. Un caffè, un pacchetto di Ms, una canzone sul juke boxe. Sempre Vacanze romane, per un anno. Divenne la mia canzone portafortuna.
Anni dopo (dopo un periodo di disoccupazione) mi ritrovo portiere di notte in un albergo.
Studiavo quando l’ultimo cliente aveva preso l’ascensore ed era salito in camera.
E cercavo il silenzio assoluto. Una volta, però, mi accorsi che riuscivo a studiare bene, e forse studavo meglio, ascoltando jazz e blus. Non sono un intenditore, purtroppo.
Ma Billie Holiday mi piace davvero tanto.
Summertime, soprattutto.
(Mi ricorda i primi anni di lavoro in redazione al giornale: altro tormentone, al mattino, appena alzato).
Nel 1986, frequentando un corso di Storia dell’Europa Orientale, conosco un docente innamorato dell’Unione Sovietica. Mi fece conoscere Vissotskij. All’inizio fu dura. Ma poi è successo che Vissotskij mi è entrato nelle viscere (e devo, appena posso, comperare il nuovo cd di Finardi che lo interpreta).
Visotskij era un grande attore, un grande cantautore, un grande poeta.
La gente conosceva le sua canzoni grazie a registrazioni alla buona, con i vecchi registratori.
Quando morì, nonostante il regime sovietico gli avesse impedito di incidere dischi, la gente conosceva le sue canzoni. D’amore, di rabbia, ma anche piene di ironia, dissacranti.
I defunti, gli ex-umani, hanno stabile fermezza
Mica fatti come noi sono proprio un’altra razza
Poi in quanto a sangue freddo non si fanno compatire
Non li vedi mai scomporsi, mai avranno da ridire
Sanno star nel loro ambiente, quieti quieti fino in fondo
Non si sente anima viva, proprio cose d’altro mondo
Perché, senza entrare nel merito è soltanto questione di spirito
Là nel regno delle ombre non si sente una parola
e di notte una signora ci può andare anche da sola
Che non corre nessun rischio, né pericoli di sorta
qui nessuno la importuna o le fa la mano morta
De profundis di Visotskij qui interpretata da Giorgio Conte (non parte subito).
Poi.
Preghiera in gennaio invece è una splendida, triste canzone di De Andrè. Le primevolte che l’ascoltai, però non mi piacque. Poi seppi che era dedicata all’amico suicida, a Tenco.
Venite in paradiso là dove vado anch’io
perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio
De André lo ascolto sempre. Il primo 45 giri che comprò mia madre fu La guerra di Piero. Piano piano, comperai tutto di De Andrè. I miei quindici vent’anni erano gli anni dei Beatles, dei Genesis, del Rolling Stones, dei Deed purple, dei Pink floyd.
Tutti a canticchiarle. Io no. Io sapevo (e so, ad eccezione delle ultime) tutto De André a memoria; poi, ma distanziate, avevo due passioni: per Gli alunni del sole, va a sapere perché, e Georegs Moustaskj. So bene perché, invece.
Comunque. Degli alunni del sole la più bella in assoluto, per me, è
Canzuncella.
Moustakj invece mi piaceva per altro. Avevo letto che aveva una moto, una Honda mi pare. Avevo letto che aveva preso parte al maggio francese. Poi aveva una barba che io, guardandola, dicevo: quando invecchio la voglio anche io una barba così. E infatti.
Di Moustakj ho trovato questa.
Infine (sto procedendo a zig zag).
Nel 92 uscì Favola Blues. La sentii per radio.
E piove e cerchi il mare…
Non identificai chi fosse a cantarla, ricordo solo che mi piacque. Così comprai la cassetta (erano Peppino di Capri, che non mi era mai piaciuto, e Pietra Montecorvino, che non conoscevo). L’avrò ascoltata mille volte, in macchina, la sera.
Quando allagano le risaie è bello viaggiare per le strade del vercellese.
Ci si specchia la luna, dentro.
(Poi, passando il tempo, ho recuperato i Genesis e i Pink Floyd. E anche Made in Japan dei Deep Purple:
questa è Child in time).
Dimenticavo:
poi c’è Bella ciao (qui cantata dai Modena City Rambler) che, chissà perché, da un po’ di tempo è tornata in vetta nella mia personalissima hit parade.
PS
Scrivere, per me, significa (anche) dire: andare contro.
E sono d’accordo con questo sfogo di Cinzia Pierangelini.
La scrittrice, blogger, amica mia Barbara Garlaschelli sta, da tempo, valoizzando belle scritture. Come questa.
annalisa,
anche per me è vacanza, oggi. Mezza giornata per scrivere. Vacanza per me significa che domani dovrò lavorare il doppio. Ma dal momento che il lavoro lo imposto io, praticamente sfrutto me stesso.
gea,
comunque è un bel ricordo, il tuo.
Al jingle ci si è abituati, ormai. Guarda Veltroni.
e.l.e.n.a.,
a torino, a metà gennaio, per due settimane ci saranno Banda Osiris e Testa, io mi sono già prenotato per Guarda che luna.
quante belle canzoni e quante belle storie.
particolare emozione su preghiera in gennaio e child in time.
mentre, al 25 aprile, in piazza castello, ho avuto la fortuna di ascoltare una bellissima versione di bella ciao eseguita da gian maria testa. da brividi!
(sotto forse, quello che è stato l’ultimo sole di questa anomala primavera torinese)
quella versione di bella ciao, i modena dico, la adorava mia figlia da piccola.
avrà avuto tre anni, e la cantava saltando piena di gioia.
gliela aveva fatta conoscere suo fratello, all’epoca sei o sette, per controbilanciare una cosa di sei strofe che le aveva messo in testa una compagna d’asilo di famiglia ciellina.
a lui, a sua volta, l’avevo insegnata io quando, a quattro anni, l’avevo sorpreso a canterellare il jingle di forza italia.
mai piaciuto condizionare i figli, ma mi son resa conto all’epoca che ogni varco che lasci aperto può essere penetrato dagli assedianti. e l’ho tappato come potevo.
come il leggendario bimbo olandese col dito nella falla della diga, praticamente.
Bello, incominciare la mattina con tutte queste note (non le ho ascoltate, sveglierei tutti, è vacanza, ma in qualche modo le ho sentite ugualmente).