Covacich, denudando e denudandosi

Quando succede agli altri sembra un avvenimento limitato, facile da isolare, da superare. In realtà, quando succede a noi, ci si trova indissolubilmente sole, in un’esperienza vertiginosa, cui l’immaginazione non si è mai neanche avvicinata.
La notti che lui passa da lei, ho paura di non dormire e ho paura di dormire…
Spesso, mi sento morire dall’infelicità…
Lui mi getta uno sguardo indifferente e si allontana.

Un po’ alla rinfusa, spezzoni tratti da Una donna spezzata, di Simone de Beauvoir.
Un libro che fa male.
La storia di un abbandono.
Chi legge sente, nelle viscere, i dolori della protagonista (spezzata) della de Beauvoir.
Ti senti abbandonata-o, tradita-o, finita-o.
Non hai che una carta, l’ultima: implorare.

Il libro di Mauro Covacich, Prima di sparire, Einaudi, potrebbe, come tutti i libri del resto, avere un altro titolo, o un sottotitolo: La donna che ho spezzato.
Ho letto questo libro dopo aver letto un post, duro ma che continuo a condividere, di donna Laura.
Covacich ha scritto della sua vita. Dei giorni dell’abbandono vissuti ma dalla parte del torto.
E qui che Covacich stupisce: racconta e basta, e non cerca attenuanti. Si denuda, insomma, senza trucchi. E’ lui l’assassino, il malvagio. E’ lui che ha spezzato una donna: così è, punto.
Ha scritto per lavarsi la coscienza?, come scrive donna Laura. Io penso di sì: scrivere serve a sopravvivere, anche.
Io non l’avrei scritto, ne son certo.
E’ giusto raccontare, raccontarsi, denudandosi e denudando?
Non è meglio, quando si scrive, prendere la realtà, partire da lei, e poi deformarla in modo che alla fine sia vera e falsa allo stesso tempo?
(Se è troppo vera è saggistica, giornalismo, letteratura condita – magari magistralmente – col giornalismo, alla Saviano; se è troppo falsa è fiction).
Io stesso: ho fatto bene oppure ho fatto male a scrivere della mia vita, non sui libri, ma in rete?
Una volta (almeno) è successo.
Comunque: fa male il libro di Covacih, ma è un ottimo libro. Anche perché c’è dell’altro. Un’altra storia di infedeltà, il mondo della scrittura, oggi.
(Mi son chiesto: poteva andare più a fondo, Covacich, al fondo del fondo?, dove l’urlo fa ancora più male oppure ha esagerato, doveva essere più lieve, ché non si denuda così? Non lo so, quando si scrive si sceglie, razionalmente e no).
Ma sullo sfondo comunque c’è – perché è lei che emerge – una donna spezzata.

– Aspetta – le dico. – Non andartene così -. Ma lei è già sulle scale e singhiozza con la mano sulla bocca per fare meno rumore. Non si gira neanche, piange squittendo, come se ridesse e scende le scale reggendosi sul corrimano. – Aspettaa! – le urlo dietro, senza motivo. Che c’è da aspettare.
Sta’ tranquillo, non l’hai uccisa, mi dice la mia faccia sulla finestra. Vedi, è lì che cammina sul marciapiedi, è ancora viva…
Vedi non l’hai uccisa, l’hai solo abbandonata. Era questo che volevi, no?

Un prezzo da pagare, comunque, in Prima di sparire, ci sarà: e non sarà solo il senso di colpa… Poi, nell’ultima pagina, in quella dei ringraziamenti, Covacich spiega.
Ma non è giusto che io ne dica.
Però mi chiedo. Covacich cita Stranamore nel suo libro. La televisione spazzatura, contenitore di confessioni alla faccia della privacy. E’ l’epoca, questa, del grande fratello e di stranamore e dei cento colpi di spazzola. Vent’anni fa, questo libro sarebbe stato pubblicato? Se fosse stato pubblicato vent’anni fa, io credo, avrebbe fatto il botto. Ora non so. Anche nei blog si usa raccontare, denudandosi e denudando. Sta cambiando quindi il comune senso del pudore.

Buona domenica

16 pensieri su “Covacich, denudando e denudandosi

  1. A mio parere chi scrive si denuda in un modo o nell’altro, non ci sono sconti per nessuno! Scrivere della propria vita a volte è necessario. Scrivo della mia vita per fissare in modo indelebile una persona a me cara o avvenimenti che non torneranno più. Non sò quanto possa interessare agli altri, ma io ci stò bene perchè così facendo queste persone saranno eterne.

  2. ho provato a denudarmi con arte:
    ‘nteressa di più,
    tipo come faceva Rosa Fumetto, etc.

    “Val più qualsivoglia finzione fatta con arte
    che pretese verità ammanite a cascata”
    lo dissero Erodoto, e pure Ermagora di Samo,
    anche Rotari, Rosmunda, Alboino e Alessandro Manzoni.

  3. letti gli ultimi due post verrebbe proprio voglia di farla pagare al prossimo, ma di brutto.
    di passare per quella che lui ricorderà sempre come “la troia” davanti agli amici, che l’ha fatto soffrire, che l’ha preso in giro.

    credo non sia il caso di sentirsi fieri.
    le cose accadono e fanno male già abbastanza.

    ognuno nel suo ruolo si gratta le rogne che gli spettano.
    certo è che le donne, molte, sono diverse senza dubbio.
    più intelligenti, più sensibili, meno libere per colpa vostra.

    essere messa peggio è una virtù se serve a dimenticare, passare oltre.

    nessuna vuole un uomo che sta con lei per pietà, nemmeno quella messa male.
    a quel punto farebbe pietà lui, o no?

  4. e quindi siamo d’accordo sull’essenziale.

    se resti per pietà (o sensi di colpa), non rispetti chi ti fa provare questo sentimento.

  5. non credo sia azzardato.

    del resto tu hai spiegato in maniera assai chiara perchè l’uomo disprezza chi lo implora.

    implora chi è davvero messo male.

    ed un uomo rispetto ad una donna messa davvero male (ma si possono anche invertire i ruoli) sarà sempre più attratto dall’altra che in quel momento proprio messa male non è…

    anzi.

    per cui se dovesse rimanere, è proprio per pietà.

  6. mi pare azzardato dire che l’uomo disprezza chi lo implora. certo è che per arrivare ad implorare una persona devi proprio essere messo/a male, dipendere fisicamente dall’altro, non vedere futuro ma solo la morte della tua esistenza; allora è naturale cercare in tutti i modi di tenerti stretto il tuo amore, credo, anche umiliandosi; e forse – dico forse – potrebbe essere che un domani non ti perdoneresti il fatto di non averlo fatto.
    l’argomento, comunque, è troppo vasto e soggettivo, impossibile generalizzare.

  7. Non credo che implorare sia una carta da giocare.
    Una donna che implora è una donna che non perdonerà mai il fatto di aver implorato, nemmeno a se stessa.
    E l’uomo disprezza chi lo implora.

  8. Uè, se mi dispiace per lei, signor Mariobianco, ché quella faccina lì triste che vedo alla fine mi fa pensare a cose brutte che girano nella sua testa dopo che i suoi denudamenti son stati rifiutati. ‘n saprei che fare, sa, per lei?
    Magari una consulenza covachichiana?
    Una dieta?
    Un po’ di palestra?

  9. mi sta già antipatico, non lo comprerò mai, lo leggerò di sguincio in libreria saltando l’essenziale per soffermarmi sulle frasi dolorose e pensare “bastardo. sono tutti uguali”
    ecco cosa mi suscita.
    d’altronde scrivendo questo lui sa a cosa va incontro: un popolo di persone che ha subìto un’orrenda ingiustizia e non l’ha ancora metabolizzata, archiviata, dimenticata.
    e la libertà degli altri, anche quando ha motivo (e lo sappiamo benissimo, non siamo scemi né solo sfigati) ci pugnala, fa maaaaaale.
    :)

  10. Mi viene da citare, Baudrillard, Pasolini, Debord…, la società dello spettacolo, poi mi viene da pensare che anch’io, su queste pagine, di rimbalzo da un blog all’altro, anch’io ed anche i miei amici, i blog-colleghi-amici che conosco anche fuori di qui, anche noi, tante volte abbiamo intrecciato la vita con la fiction e la fiction con la vita.
    Non mi va di giudicare, constato, e aggiungo che ogni rappresentazione della realtà dei sentimenti corre sempre il rischio della teatralizzazione e la scivolata nella sceneggiata; ma può anche rasentare il sublime e toccare corde che risuonano in ognuno.

  11. Condivido quello che ha detto Remo, e quello che ha scritto donna Laura.
    Sono andata a rileggere quello che avevo già letto di Remo, e, adesso che mi sembra di conoscerlo un tantino di più,scopro che mi colpisce di più quello che, al tempo avevo letto come una bella testimonianza. Adesso mi fa più l’impressione di aver spiato in una stanza non mia (scusa, eh, Remo).
    Alessandro spiega perché ha raccontato, anche se aggiunge: a bocce ferme. Cioè a storia finita. Almeno per lui. Per gli altri, non si sa, giusto?
    E qui il discorso è anche un altro: si può scrivere così di sè, prendendo spunto da qualcosa che è successo, per trovare nella scrittura il modo per dire, o il modo per lavarsi la coscienza? Non sto discutendo sul ‘perché’ si faccia, sto chiedendo se moventi così profondi e intimi e personali consentano anche una buona scrittura. Lo c hiedo anche nel ricordo di quanto disse una volta Sandro Veronesi, che pensa esattamente il contrario: che nella scrittura non ci possa essere bellezza se è, in quel momento, solo uno sfogo (per i più diversi motivi).

  12. nel mio romanzo – imperfetto – racconto come è nata la storia con la mia attuale compagna, e come ho lasciato l’altra. l’ho raccontata perchè lei sapesse come è successo – sapevo che l’avrebbe letto – perchè non ho avuto il coraggio di dirglielo in faccia e le ho detto delle bugie. quando hai davanti una persona che soffre non riesci a dire tutta la verità. l’intenzione, nello scriverne, era farle comprendere come e perchè è successo, proporle il mio alibi, le mie attenuanti e le mie giustificazioni. a bocce quasi ferme, scrivendo, si riesce a dire tutto, calibrando le parole e l’effetto delle frasi, e magari si riesce anche a farsi perdonare, passando per vittime del destino. codardo e paraculo, va bene, ma non sono d’accordo sul fatto di lavarsi la coscienza. ma questo è il mio caso.
    ciao remo.

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