Serena vorrebbe…

Ciao Mariastrofa.
Altro non serve dire, o forse, forse altro non so dire, io.
O forse sì, ci provo.
Dico che Carlo Berselli è stato un uomo fortunato.
Perché ha avuto te, Serena (che mi stai leggendo, dopo averlo salutato). Mi hai incantato, commosso, ieri, quando mi dicevi di lui (del resto ci avevi già commosso…)
Continua se vuoi; che ti staremo ad ascoltare.

(Serena vorrebbe tenere in vita il blog di suo padre. Non ha la password, però. Spero che splinder provveda.
Serena vorrebbe incontrare gli amici di suo padre. So che Carlo Berselli aveva amici ed estimatori.
Io lo conoscevo come lo conoscevano altri blogger. Mi faccio da parte, ora, sperando di aver interpretato al meglio il pensiero di Serena; a Serena comunque ho detto, e lo ribadisco, che resto a sua disposizione.
Ringrazio Lucia (Cronomoto), che mi ha permesso di rendermi utile.

Un saluto a tutti quelli che passeranno di qui per salutare, ancora una volta, Mariastrofa.
Un saluto a tutti.

Ricordo che la mail di Serena è:
audrey-88(chiocciola)hotmail.it

(Sto continuando ad inserire, nel post Silenzio per Mariastrofa, altre testimonianze, oppure anche solo nomi; chi vuole mi scriva
bassini.remo(chiocciola)gmail.com
molte testimonianze, le ho scovate e linkate io)
Sul blog di Gaja Cenciarelli, la testimonianza di un amico di Carlo Berselli.


Resto ancora in questo post.
Sono le 3 e 15 minuti del mattino (ma per me la notte è ancora lunga, ho orari balordi io) di venerdì 13. Ho cercato sul mio vecchio blog e ho trovato
il pensiero della morte a volte.
Buone cose a tutti

(Contnuerò ad aggiornare il post Silenzio: Per Mariastrofa, con testimonianze su Carlo Berselli; ultima, in ordine di tempo quella di Lucio Angelini)

Sono le 13 e 39 di venerdì 13, c’è il sole, in questo momento, ma ci sono anche nuvole minacciose, qui da me.

Allora.
Stimo e sono affezionato a Lucia (Cronomoto). So che è una persona speciale, malata di mitezza. Non vorrebbe che io scrivessi quel che sto scrivendo, lo so. Ma l’ho sentita nei giorni scorsi. Lei, come altri, era legata da amicizia profonda con Carlo Berselli, Mariastrofa.
Non si sono mai incontrati ma si sentivano spesso, al telefono. E grazie al suo numero di telefono, che la mamma di Carlo aveva, è iniziato questo tam tam.
Comunque. Lei, come altri, ha avuto in mente solo una cosa (e io spero di esserle stato utile): essere vicina a Serena e alla famiglia di Carlo Berselli.
Quindi, ora, pensando che sia cosa giusta do maggiore visibilità al suo commento.

Mi permetto di utilizzare questo spazio solo perché mi è stato chiesto da parte di Serena di rispondere pubblicamente, visto che se ne parla pubblicamente: Serena ringrazia ma mi chiede di riferire che per quanto riguarda eventuali difficoltà con splinder c’è già chi la può sostenere e non desidera che il progetto per bookwsweb sia rispreso in mano, rispettando così la volontà del padre.
(Lucia)

Silenzio: per Mariastrofa

Ci siamo scambiati solo poche mail.
Gli regalai un mio libro.
Mi ha fatto conoscere Gino Patroni.
Ma di lui, io, so niente.
E’ giusto che siano quelli che lo hanno conosciuto bene ed apprezzato a salutarlo.

CARLO BERSELLI, UN UOMO MERAVIGLIOSO
SCRIVE SERENA
La figlia di Mariastrofa

Ciao Carlo Berselli, e ciao Serena, da
Lucia Cronomoto
Lostangel
La tenda rossa
Gaia Cenciarelli
Fruscii
Paolo Ferrucci
Contenebbia
Ilaria
Ibridamenti
Pralina
Flavia
Letteraturalenta
Biancanera
Pispa
– Alfio Squillaci
Zop
Giuseppe Iannozzi
Dianalove
Lucia Marchitto
Elisabetta Bucciarelli
CalMa
Percy
Arimane
TipTop
Criscia
Triana
Lucio Angelini
Fioredicollina

ed altri (chi volesse: bassini.remo(et)gmailcom

E poi:
– grazie ad Alfio Squillaci, segnalo questo intervento di Mariastrofa
– Una vecchia cosa scritta da me
– E poi c’è il blog di Lucio Angelini che, per Mariastrofa, era una lettura quotidiana

MA LA MAIL PIU’ IMPORTANTE E’ QUESTA, di Serena, figlia di Carlo Berselli
audrey-88(chiocciola)hotmail.it


canzoni (ricordando)

Quando penso a una belle canzone mi viene in mente
Vulesse addeventare nu brigante (vorrei diventare un brigante).
Dal momento che più passa il tempo e più dimentico quel po’ che ho studiato di inglese (per la verità imparai più inglese in due anni di reception in un albergo che in cinque anni a scuola) questa canzone mi permette di ripassare un po’ di napoletano; napoletano imparato in una fabbrica, qui al nord, con alta percentuale di maestranze (termine orribile) di origini campane.
Figli di quelli che arrivarono con le valigie legate con lo spago.
Come quella di mio padre e di mia madre.
Che lasciavano la mezzadria per la fabbrica. Lasciavano anche Cortona, che oggi è una cittadina ricca di turismo, soprattutto. Allora no, allora
la noia l’abbandono il niente son la tua malattia
paese mio ti lascio io vado via

(tanto per ribadire che Que sarà è dedicata al mio paese)

Passo invece a una canzone che mi ricorda il 1983.
Tutte le mattine prendo il treno delle 6,55 per andare a Torino, ché mi sono iscritto a Lettere a Torino (a mezzogiorno avrei ripreso il treno che mi avrebbe riportato a Vercelli, mi aspettava la fabbrica, turno fisso 14-22).
Arrivavo sempre con un po’ di anticipo alla stazione. Un caffè, un pacchetto di Ms, una canzone sul juke boxe. Sempre Vacanze romane, per un anno. Divenne la mia canzone portafortuna.

Anni dopo (dopo un periodo di disoccupazione) mi ritrovo portiere di notte in un albergo.
Studiavo quando l’ultimo cliente aveva preso l’ascensore ed era salito in camera.
E cercavo il silenzio assoluto. Una volta, però, mi accorsi che riuscivo a studiare bene, e forse studavo meglio, ascoltando jazz e blus. Non sono un intenditore, purtroppo.
Ma Billie Holiday mi piace davvero tanto.
Summertime, soprattutto.
(Mi ricorda i primi anni di lavoro in redazione al giornale: altro tormentone, al mattino, appena alzato).

Nel 1986, frequentando un corso di Storia dell’Europa Orientale, conosco un docente innamorato dell’Unione Sovietica. Mi fece conoscere Vissotskij. All’inizio fu dura. Ma poi è successo che Vissotskij mi è entrato nelle viscere (e devo, appena posso, comperare il nuovo cd di Finardi che lo interpreta).
Visotskij era un grande attore, un grande cantautore, un grande poeta.
La gente conosceva le sua canzoni grazie a registrazioni alla buona, con i vecchi registratori.
Quando morì, nonostante il regime sovietico gli avesse impedito di incidere dischi, la gente conosceva le sue canzoni. D’amore, di rabbia, ma anche piene di ironia, dissacranti.
I defunti, gli ex-umani, hanno stabile fermezza
Mica fatti come noi sono proprio un’altra razza
Poi in quanto a sangue freddo non si fanno compatire
Non li vedi mai scomporsi, mai avranno da ridire
Sanno star nel loro ambiente, quieti quieti fino in fondo
Non si sente anima viva, proprio cose d’altro mondo
Perché, senza entrare nel merito è soltanto questione di spirito
Là nel regno delle ombre non si sente una parola
e di notte una signora ci può andare anche da sola
Che non corre nessun rischio, né pericoli di sorta
qui nessuno la importuna o le fa la mano morta
De profundis di Visotskij qui interpretata da Giorgio Conte (non parte subito).

Poi.
Preghiera in gennaio invece è una splendida, triste canzone di De Andrè. Le primevolte che l’ascoltai, però non mi piacque. Poi seppi che era dedicata all’amico suicida, a Tenco.
Venite in paradiso là dove vado anch’io
perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio

De André lo ascolto sempre. Il primo 45 giri che comprò mia madre fu La guerra di Piero. Piano piano, comperai tutto di De Andrè. I miei quindici vent’anni erano gli anni dei Beatles, dei Genesis, del Rolling Stones, dei Deed purple, dei Pink floyd.
Tutti a canticchiarle. Io no. Io sapevo (e so, ad eccezione delle ultime) tutto De André a memoria; poi, ma distanziate, avevo due passioni: per Gli alunni del sole, va a sapere perché, e Georegs Moustaskj. So bene perché, invece.
Comunque. Degli alunni del sole la più bella in assoluto, per me, è
Canzuncella.
Moustakj invece mi piaceva per altro. Avevo letto che aveva una moto, una Honda mi pare. Avevo letto che aveva preso parte al maggio francese. Poi aveva una barba che io, guardandola, dicevo: quando invecchio la voglio anche io una barba così. E infatti.
Di Moustakj ho trovato questa.

Infine (sto procedendo a zig zag).
Nel 92 uscì Favola Blues. La sentii per radio.
E piove e cerchi il mare…
Non identificai chi fosse a cantarla, ricordo solo che mi piacque. Così comprai la cassetta (erano Peppino di Capri, che non mi era mai piaciuto, e Pietra Montecorvino, che non conoscevo). L’avrò ascoltata mille volte, in macchina, la sera.
Quando allagano le risaie è bello viaggiare per le strade del vercellese.
Ci si specchia la luna, dentro.

(Poi, passando il tempo, ho recuperato i Genesis e i Pink Floyd. E anche Made in Japan dei Deep Purple:
questa è Child in time).

Dimenticavo:
poi c’è Bella ciao (qui cantata dai Modena City Rambler) che, chissà perché, da un po’ di tempo è tornata in vetta nella mia personalissima hit parade.

PS
Scrivere, per me, significa (anche) dire: andare contro.
E sono d’accordo con questo sfogo di Cinzia Pierangelini.

La scrittrice, blogger, amica mia Barbara Garlaschelli sta, da tempo, valoizzando belle scritture. Come questa.

la resistenza al baratto: Simon mago

Se mia vita è prezzo
di non venale acquisto,
accettala quale pallido
raggio rarefatto
della tua luce gratuita
dolce figlio di Maria
e fammi degno
di sedere a mensa
dei santi martiri
di questa terra
che ha nome
Resistenza
(don Luisito Bianchi)

Ieri, domenica, se non fosse che in questi giorni sto “rincorrendo parole” (ho scritto nel bel-blog di donna Laura, ché le parole van rincorse, corteggiate) sarei andato a Cremona.
Dove, per Cremonapoesia, si è svolto uno spettacolo sulla gratuità (o resistenza alla tentazione del baratto).
Simon Mago è un’opera poetica di don Luisito Bianchi.
Qui, sul blog Orasesta, potete vedere qualche immagine e sorattutto avere altre utili informazioni.
La resistenza al baratto…

Avete letto – e qui passo di palo in frasca – di quei due giovani (La Stampa, Liberazione in prima pagina) che non possono sposarsi in chiesa? Il vescovo di Viterbo si è infatti opposto, dal momento che l’uomo, essendo paraplegico, non sarebbe in grado di procreare.
E’ straordinariamente innovativa la chiesa di questi tempi.
(Sì lo so che sbaglio: secondo il diritto canonico – ha ricordato Liberazione – il matrimonio ha finalità copulative).

Allora, due giorni fa ho proposto la simulazione se io fossi nato rom…
M’ha detto che ho sbagliato, qualcuno.
Persevero.
Mi immagino d’essere io nei panni di chi, dopo aver avuto un incidente, dopo mesi e mesi e mesi di riabilitazione pensa che forse non è più il caso di sposarsi, come aveva programmato prima dell’incidente, e lo dice alla fidanzata.
La quale, però, perseverante pure lei, invece, insiste, e gli dice, al fidanzato, che i modi per fare l’amore son diversi, e che poi magari col tempo chissà, metti i progressi della medicina, in fondo in fondo trent’anni fa si moriva ancora per un’ulcera.
Ecco, io mi immagino, anzi non so immaginare lo stato d’animo di quel ragazzo a cui la chiesa ha detto, questo matrimonio non s’ha da fare perché ti mancano le facoltà copulative.

zingari, qualcosa da leggere

«I rom fanno paura perché fa paura la povertà che rappresentano, la povertà dalla quale muovono, vivono nelle buche, nelle case di fango, tra i topi. La verità è che la politica strumentalizza la questione, a destra e a sinistra. C’è stato uno studio del Censis nel quale era chiaro come il tema della sicurezza non figurasse nelle questioni che hanno spostato il voto verso Berlusconi, in Italia i nuovi poveri hanno il problema di arrivare a fine mese, non quello della sicurezza. Ma sono sempre loro a essere le vittime del consenso a buon mercato che, complici i media, cavalca le emergenze o le crea. Siamo di fronte alla depressione economica più drammatica da 50 anni a questa parte, e la politica usa i suoi metodi per spostare l’attenzione dai problemi veri. I rom sono adattissimi allo scopo, perché nessuno li difende».
Queste sono parole di Giovanni Giovannetti. (un’intervista al Tirreno).
Condivido al cento per cento.
Non è la paura che ha fatto vincere il centrodestra; il centrodestra ha vinto perché – come ha ricnosciuto l’ex ministro Paolo Ferrero – il governo Prodi ha risanato il deficit ma si è dimenticato dei pensionati, dei disoccupati, delle fasce deboli.
Ma restiamo alla questione zingari.

Questa è la storia di una fabbrica del cancro che si fonde a quella dei rom.
Il luogo è lo stesso, i colpevoli no.
Già chi è il colpevole?
Io credo che la sinistra italiana non è meno colpevole del centro
destra o della Lega.
Leggete questo articolo tratto da Primoamore.
L’ha scritto lui Giovanni Giovannetti, che ho conosciuto recentemente al
salone del libro.
Ma è come se lo conoscessi da anni; so (grazie ad una comune
amica) della battaglia che ha condotto a Pavia al fianco dei Rom.
So, insomma, della sua onestà intellettuale.
Comunque: questo è qualcosa a leggere e su cui riflettere.
Ma non solo solo parole (che a volte leggo) di qualche intellettuale.
Sono le parole di una persona che il problema rom l’ha visto da
vicino, e si è sentito in dovere di denunciare, lottare, indignarsi.
Non solo. Giovannetti ha ospitato dei rom a casa sua, ed altri hanno seguito il suo esempio.
Questo è l’articolo di Giovanni Giovannetti.
Grazie.
Questo il testo che vi segnalo.
Poi Giovannetti, lo ricordo, è quello che con Moresco ha fatto un viaggio e, da questo viaggio, in Romania, è nato un libro.
Zingari di merda.
(Grazie t.)

perturbazioni

Io non so che aria si respiri a Roma, Milano, Torino, Napoli, Palermo, Bari. A Torino ci son stato un po’ di tempo fa, a vedere Torino-Fiorentina. Poi sono andato alla Feltrinelli, poi a cena con un mio amico scrittore e giornalista.
Ho visto la Torino di sempre, ma una mezza giornata non basta certo.
Qui a Vercelli ieri sera c’era una festa multietnica.
C’era un clima disteso.
C’era anche una grande esibizione di kung fu, con delegazioni cinesi in visita. Alcuni radicali hanno manifestato, esprimendo la loro solidarietà ai monaci tibetani.
Però ho sentito questo racconto.

Una signora, pensionata, va al supermercato. (Siamo in un centro di 10mila abitanti).
Uscendo incrocia il solito vu cumprà. Le mostra della calze di spugna, lei le calze di spugna non le ha mai messe in vita sua, e così, educatamente, dice al ragazzo che non ha più l’età per quel tipo di calze e che se la prossima volta lui avrà altro lei magari acquisterà qualcosa.
I vu cumprà, si sa, son noiosi a volte.
Chissà cos’ha avrà pensato la signora quando ha visto che il ragazzo le è andato dietro, avrà pensato, la signora, immagino io, questo vuol farmi perdere tempo proponendomi chissà quale chincaglieria.
Invece le ha detto: Grazie signora per aver parlato con me, da un po’ di tempo ci guardano tutti male.

se io fossi nato rom…

Volevo scrivere qualcosa sul tempo, su come ho imparato a rubare tempo al tempo, anni fa.
Propongo invece questo.
Se io fossi nato/ nata rom...
Si può dir di tutto:
anche sarebbero cavolacci tuoi.

Cose interessanti.
Don Bruno, il cappellano dei rom.
Vicende varie, sul blog Circolo Pasolini.
Testi scaricabili; tra questi c’è Zingari di merda.

Sabato 7, ore 15 e 3 minuti.
Se questa è l’aria che stiamo respirando dico che siamo messi proprio male-
Da leggere.

facciamo così, oggi

Facciamo così, oggi.

Due citazioni.
Questa mi piace:
Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Soltanto gl’imbecilli sono sicuri di ciò che dicono (Voltaire).
E questa non è male:
Il segreto per andare d’accordo con le donne è avere torto.
(Achile Festa Campanile).
(Citazioni rubate al bog di un utente di Anobii)

Zingari.
Poi, io partendo da questo appello di Andrea Inglese su Nazione Indiana sono andato a firmare.
Per i Rom.
Non è che io sui Rom abbia tante certezze. Ma parto dal presupposto che sono soprattutto vittime. I bambini, in particolare.
Un mio amico giornalista giorni fa mi ha detto: Negare che i Rom o i Sinti possano essere un problema per chi vive a due passi da loro sarebbe sbagliato, ma adesso sempre che tutta Torino viva a due passi da loro.

I sogni vengono dal mare…
Questa invece, per me, è la più bella canzoni di Vecchioni: Figlia.
E figlia figlia non voglio che tu sia felice/ ma sempre contro finché ti lasciano la voce
E so che t’innamorerari senza pensare/ e scusa, scusa se ci vedremo poco e male

E infine
Il problema è che pensiamo di avere molto tempo a disposizione. Così diciamo domani.
Domani.
E quando domani arriva, siamo irrimediabilmente deboli, vecchi.
Allora diciamo ieri.
Smettiamo di sperare e cominciamo a ricordare.
E’ così che ho visto il mio tempo consumarsi a poco a poco.
… dice, a pagina 32, la protagonista di “Alice nell’ombra”, di Barbara Garlaschelli, Frassinelli.
Buona giornata

Ore 17 e 16 minuti.
Una mail di una cara amica mi avvisa che sul blog di Massimo Maugeri si sta dicendo anche di me. La discussione verte sul quesito
La letteratura è più arte o artigianato? (Altri trucchi d’autore di Mariano Sabatini)

qualcosa da sottolineare

Io, quando leggo Céline per esempio, ma anche Montalban per esempio, a volte ho quasi voglia di sottolineare.
C’è qualcosa che ho letto che mi piacerebbe ricordare.
Spesso, solo una frase.
E mi dico che, forse forse, il libro che diventerà un classico è quello che ti fa venir la voglia di sottolineare.
Ho detto Cèline, e non per caso.
Nell’agosto del 2006 ero in Spagna. E leggevo contemporaneamente tre autori: Céline, Tondelli e un contemporaneo italiano (molto quotato).
Solo Céline avrei sottolineato.
Ieri ho scritto (sul mio giornale) che Luisito Bianchi è, a mio avviso, il più grande scrittore italiano contemporaneo.
Penso di non essere obiettivo: perché c’è di mezzo altro, affetto, ammirazione.
Io però i libri di Luisito li sottolinerei.
Poi ci sono i miei di libri.
Su Anobii qualcuno ha lanciato una discussione, chiedendo: se doveste salvare un libro, uno solo, quale salvereste?
Ho risposto, e non ho avuto dubbi nel rispondere.
Ho scritto: L’ultimo che ho scritto, precisando poi, Anche perché non ho mai riletto un mio libro.
Che io abbia paura di scoprire, rileggendo(mi), che non trovo nulla da sottolineare?

(Qualcosa di simile, ma riferito al teatro, lo scrisse Jean Vilar. Scrisse che lui, di alcuni spettacoli che gli erano rimasti impressi, ricordava, e citava Madre courage e i suoi figli di Brecht, un frammento o poco più. Ma da tenere a mente).

in scarpe adidas

In vino veritas, dice l’assessore (alla cultura, latinista anche)
in scarpe adidas, replica il sindaco.
Erano i primi anni Novanta. Sulla prima pagina del mio giornale c’era una rubrica satirica, L’elefante.
Con queste e altre battute.
Marco Travaglio, di quella rubrica, ne scrisse sul Giornale di Montanelli.
Ero stato io a proporre qualle firma, al mio vecchio direttore.

Tra i miei link, c’è la Banda Osiris.
L’ho inserita tra i musicisti amici.
In realtà non sono solo validi musicisti: sono attori, comici, acrobati (che piacevano a Fellini).
E Carlo Macrì (che secondo alcuni è la mente della Banda) era l’autore della rubrica L’Elefante.
Era davvero, davvero bravo.
Divenne la firma più nota del giornale (relegandomi al secondo posto).
Sua moglie, ora, è una mia collega. Scrive di spettacoli.
Sono vent’anni e più che conosco la Banda Osiris. Visti più volte. E non l’ho mai detto. E’ che certe cose si danno per scontate.
Se io ieri mattina non avessi preso il caffè con Carlo Macrì mica l’avrei scritto questo post.
Se ho tempo, prima o poi vado a rispolvere vecchie interviste che feci loro.
E comunque. Vent’anni fa erano vercellesi. Ora, di vercellese, è rimasto solo Macrì (perché altri due stanno in Toscana e uno non so).
Buona serata

Ho un ricordo di uno spettacolo della Banda, a Settimo Torinese.
La Banda Osiris non è nota come oggi. Forse perché non sono ancora comparsi in televisione. Lo spettacolo è all’aperto. C’è gente che passa, è una sera d’estate. Fa caldo. La gente, però, passa e si ferma, incantata dalle acrobazie di Gianluigi Carlone e delle gags…

Qualcosa da vedere.
Carlo Macrì presenta Stefano Bollani.
E poi: l’importante è dissacrare.
E infine: Macrì presenta il dongiovanni (carlone).