il giornale e la notte, anni fa

Per caso, ho trovato questa cosa qui sulla rete.
lasesia

Foto e parole di ragazzi in visita al “mio” giornale.
Dietro le loro spalle, appunto, la redazione, disposta su tre piani (se ne vedono solo due).
Oltre il cancello, ci sono i posti auto per i giornalisti.
Insomma, è il posto dove da anni (s)corre la mia vita.
Mattino tardi, pomeriggi interminabili fino alla chiusura del giornale
(la rotativa s’affretta, me ne vado col bavero alzato dietro il fumo della sigaretta*).
Anni fa (e a volta ancora adesso) ci ho trascorso anche le notti. Alcune pagine dei mie romanzi le ho scritte lì.
Alle cinque del mattino, quando rincasavo, incrociavo i primi pendolari che andavano verso la stazione.

… e stasera, per caso, parlando, mi è tornato in mente un ricordo.
si parlava delle tre di notte.
un’estate, era fine agosto, a Cortona, in campagna.
mio padre che dice, domattina mi sveglio molto presto e vado per funghi a Ruffignano.
cortona_ruffignano1 io che dico, Vengo anche io.
lui che dici, No, che ci sono le vipere.
andai a dormire, ma con l’orecchio teso.
e quando lui si alzò, mi feci trovare bell’e vestito.
dimenò la testa, fece i caffè: erano le tre.
(svegliarsi presto, allora, per mio padre ma anche per me significava le tre del mattino. adesso sono le 2 e 26 minuti…).

trovammo un bel po’ di porcini, nessuna vipera.
e verso le sei ci presentammo a casa della sorella di mio padre, che era sveglissima.
era estate, ma eravamo infreddoliti.
lei accese il camino, poi si presentò con un tegame su cui fece friggere un numero incredibile di uova, almeno una decina.
ho un’immagine sfuocata, del tegame, del camino.
ma risento il profumo di quelle uova fritte nell’olio di oliva e il calore della legna arsa.
e il silenzio, rotto o dal gallo o dall’abbaiare di un cane.
le tre di notte mi ricordano quella notte.

lo scimpanzé

Lui, lei, un figlio piccolo
E uno scimpanzè, trovato un sabato nella foresta, siamo in Nigeria.

E lo scimpanzé
… col tempo imparò a preparare la tavola, a stendere il bucato… persino ad accarezzare il gatto fino a fargli fare le fusa.

Una scimmia sensibile, capace di riconoscere, fiutare, quando uno di noi era triste….
… un giorno salvò Immanuel
(il bambino – np) dal morso di un serpente velenoso…
Una volta portò a Erella in regalo un magnifico scialle colorato che aveva rubato per lei chissà dove e noi non sapevamo a chi restituirlo. Se uscivamo in jeep…, correva dietro la jeep e piangeva con voce straziante, come un bambino.
Quando si prendeva una sgridata… si offendeva e spariva…, ma dopo faceva la pace, cercava a ogni costo di riconquistarci, compensadoci con favori e gentilezze quali lucidare gli occhiali di Erella e meterli sulla testa del gatto.

Poi – però – lo scimpanzé diventa adulto.
E si sente attratto da Erella, e si strofina contro di lei quando lei si abbassa, e quando Erella e il marito sono in camera da notte, lui ulula disperato.
Per due volte abbracciò Erella con una stratta troppo forte. A nulla valsero le inziezioni di estrogeni…
Senza dire nulla alla moglie e al figlio, il capofamiglia prende una decisione:  di riportare lo scimpanzé nella foresta.

Per strada ci fermammo a far benzina e lui, come al suo solito, infilò il tubo dentro il serbatoio e azionò la pompa…
Lui capì e durante il viaggio, quasi tre ore, si accoccolò sul sedile accanto al mio tenendo il braccio sulla mia spalla…
Man mano che ci addentrammo nella foresta, calò sudi lui  il silenzio: Si rannicchiò sul sedile e cominciò a tremare forte…
….
Così giunsi finalmente a una piccola radura. Lui venne a sedersi in braccio a me e posò una guancia sulla mia spalla. Gli dissi di scendere e di andare a prendere dei bastonicini…. indugiava. Dovetti riproverarlo brutalmente… e mentre lo sgridavo ancora speravo che non si fidasse…


L’uomo torna a casa. Missione compiuta, forse.
E così, l’ultima cosa che sentì da me fu quella brutta sgridata…

Il corsivo è tratto da Non dire  notte, di Amos Oz, Feltrinelli.

mangiare bene per vivere meglio

Vado avanti io, a panini a mezzogiorno (inoltrato) e pizze quand’è quasi notte fonda.
E, son sicuro, la colazione per me com’è sempre stata sempre sarà: un cafè, poi un secondo caffè, poi un terzo caffè che coincide col mio arivo in redazione.
E quand’è notte fonda per davvero e sto scrivendo un libro e qualche frase non torna, oppure devo rivedere lo schema di un capitolo, oppure son fermo e aspetto un’idea, oppure ancora devo battere i tasti in fretta che di idee ne ho troppe e ho paura poi di scordarle e poi però subentra il sonno, e la testa va giù, be’, risolvo tutto con uno spuntino con quel che c’è nel frgorifero: formaggio, un’insalata, succo di pomodoro (a cui aggiungo tabasco)…
E poi basta.
Sull’alimentazione, io, predico bene e razzolo male (o forse non predico solo male perché io, potessi, vivrei di legumi, aglio e cipolla e un piatto di pasta con aglio olio e peperoncino ogni tanto), comunque: questo video è siuramente più importante di tati post.

l’urlo bestemmiato

… a un certo punto si voltò di scatto verso di me disse: E torna a casa presto la sera.
E poi si rigirò tra le lenzuola, dandomi la spalle. Di sicuro, in quella camerata d’ospedale con otto posti letto, tutti sentirono il rimprovero di mio padre.
Pensai, Vaffanculo.
Lo penso ancora adesso. A casa, mica mi sentiva rincasare, lui. Che fossero le undici o le due di notte lui, beato, ronfava. A mia madre no, non sfuggivano eventuali minuti di ritardo.
Sei arrivato dopo mezzanotte, cosa credi ti ho sentito?, e poi al mattino fai fatica a svegliarti.
Quell’estate del 1972, però, fu diversa. Era luglio, non ci sarebbero state ferie. Mio padre era stato ricoverato per un’ernia inguinale.
Ho ripensato a quei giorni, ieri e l’altro ieri.
A com’è mio padre. A come io, almeno un po’, gli somiglio. Nelle non reazioni e nelle reazioni.

Negli ospedali si sa come vanno le cose.
Se prima di ricoverati passi dal primario, a pagamento, hai la precedenza e un trattamento migliore.
Se il primario è troppo caro, puoi andare, rigorosamente a pagamento, dal numero due o dal numero tre o dal numero quattro; più scendi e peggio di tratteranno, era così nel 1972 ed è così – almeno un po’ – ancora oggi.
Mio padre non volle sentire ragione.
Vado all’ospedale con l’impegnativa del dottore, fanculo.
Gli rodeva essere ricoverato proprio a luglio.
A luglio lui viveva tra fabbrica e orto.
Comunque, lo ricoverano.
Sembrava un’altra persona, in peggio. Lui, che non è capace a stare fermo e che non è capace a stare in casa, sembrava un leone demoralizzato in gabbia.
Però era gentile, con infermieri e medici, così mi aveva insegnato, così era lui.
E intanto aspettava, fingendo una pazienza che non aveva.
Passò una settimana.
Dottore quando mi operate?
Presto, abbia pazienza.
Passò una seconda settimana.
Dottore quando?
Abbia pazienza.
La terza settimana s’interruppe a metà.
Allora mi dite quando mi operate?
Era più o meno il ventesimo giorno e mio padre aveva visto che alcuni pazienti, ricoverati dopo di lui pure loro per ernia, erano stati operati e dimessi.
Io ero fuori, quando il chirurgo disse a mio padre, abbia pazienza, quel giorno.
Quando lo vidi uscire dallo stanzone, entrai.
Mio padre era tesissimo, non mi disse una parola.
E quando lo salutai non mi rispose. Mentre mi allontanavo sentii un urlo, tutti sentirono un urlo, ma non era un urlo di dolore, era un urlo: una bestemmia urlata e prolungata che attirava l’attenzione di tutti, soprattutto delle suore.
Dopo la prima, ne seguirono una seconda, una terza, una quarta…
Il giorno dopo lo preparano per l’intervento, il giorno dopo ancora venne operato.
Con le buone bestemmie si ottiene non tutto, ma qualcosa.

(Spero che nessuno mai vada a raccontare quello che ho scritto a mia madre; sarebbero due culi assicurati: per me e per mio padre).

Passione, erotismo, pornografia: un mio intervento sul blog di Paola Pioppi

sai come son fatta, piccola Sara

Comunque ti vogliono bene, sai?
Ti volevano bene quando urlavi che il mondo era tutto da rifare, tutto sbagliato, ti vogliono bene ora, che ti vedono ballare.
Devo essere sincera, però, adesso.
Tuo padre e tua madre un o’guardano e un po’ fanno finta  non vederti,  però, li ho visti, sai?, le volte che la televisione ti inquadra si vede che sono contenti, la corsa settimana tuo padre è arrivato perfino a dire che la più bella del programma sei tu, e che non è giusto che ti si veda così poco.
Io sono stata contenta, perché, sai com’è fatta tua madre, se tuo padre dice bianco lei deve dire nero, ecco invece stavolta tua madre ha detto, Hai ragione Luca, hai proprio ragione, e a me è parso così bello che la nostra famiglia fosse unita come una volta avanti al focolare, ché la fiamma eri tu, tu, piccola Sara,e io, io, dalla contentezza, sai che ho fatto?, piccola Sara?, mi sono alzata di scatto, sono andata a prendere una bottiglia di spumante e ho detto, Brindiamo ragazzi?
Mica m’ero accorta che tuo nonno, sai com’è fatto lui, cammina adagio adagio, non si mai sentire, era dietro di noi.
Poveri scemi, ha detto.
Povera cretina, mi ha detto, e… ma sì te lo dico: ha sputato sul tavolo, sulla tovaglia ché la pasta stava ancora bollendo, e io avevo preparato la pasta con la acciughe che a lui piace tanto, ma a tuo padre no, tuo padre potesse vivrebbe di pomodori e fagioli e mortadella, ricordi piccola Sara?, che quando eri piccola io, di nascosto da lui, sostituivo il panino con la mortadella di Bologna con uno con la Nutella che ti piaceva tanto?
Ma è per tuo nonno, sai, che ti sto scrivendo ora.
Tu lo sai, vero?, ti ricordi com’è fatto lui, Piccola Sara? Si sveglia, e poi beve il caffè e legge il giornale senza dire una parola. Poi, se il tempo è brutto va al bar a litigare, sai com’è fatto, lui è rimasto a Togliatti, se invece è bello o anche solo così così lui fugge all’orto, e tu ricordi, ricordi vero?, piccola Sara, che io l’orto lo odio (ho i miei motivi).
Però, sai com’è, col tempo ci si rammollisce e io, erano almeno dodici anni che non capitava, io domenica sono andato all’orto. E’ sempre lo stesso orto, vicino al fiume dove tuo nonno ti portava a giocare.
Senti Sara, non volevo dirtelo ma ora che ci sono te lo dico: io dodici anni fa andai all’orto perché sapevo che lì tuo nonno si vedeva con una donnaccia. Come lui ha sputato sulla tovaglia mentre noi ti si guardava in televisione, io sputai… sul culaccio bianco di tuo nonno, aveva i calzoni abbassati il maiale, quando entrai nell baracca.
Gli dissi, Paga questa troia, e poi a casa pagherai qualcos’altro.
Invece sono stata zitta, per anni e anni.
Domenica, sai come son fatta piccola Chiara, tremavo tutta: un po’ avevo paura, tuo nonno ha settantatue anni ma l’appetito per le donne mica ghi è passato, e un po’ c’era quel brutto ricordo.
E invece, entrando, ho visto gli attrezzi di tuo nonno, sai com’è fatto piccola Sara, in casa lascia in giro di tutto, penso che nessun uomo sia disordinato come lui, ecco, invece lì all’orto era tutto a posto. Gli attrezzi, la caffettiera, una borraccia, il suo cappello da alpino, un armadio, ecco dov’erano andate a finire, con le vecchie Unità, piegate come fossero fazzoletti di seta, ma non ti ho detto tutto, sai come son fatta, mi piace far le sorprese, piccola Sara.
Sopra al banco degli attrezzi pensavo di vedere la solita fotografia di Togliatti, te lo ricordi vero Sara quando ti diceva, E’ a lui che devi pregare, non a quei bastardi dei preti…
Togliatti c’era, ma poggiato per terra.
C’era un quadro con un ritaglio di giornale dove c’eri tu, piccola Sara.
Sono scappata via, sai com’è fatto tuo nonno, si vergogna, lui è così, se sapesse che ho visto il quadro con il ritaglio di giornale dedicato a te, quello sarebbe capace di cacciare un urlo, mandare via me e dare fuoco al quadro, sai che ha comprato pure una bella cornice?
Senti piccola Sara, io lo conosco, lo conosco bene.
Io adesso son convinta che la sera, quando lo vedo rigirarsi sul letto e gli dico, Nello che pensi?, son convinto, sai com’è fatto piccola Sara, son convinta che lui sogna di vederti arrivare lì, da lui.
Lo so che non c’hai tempo, non ti chiedo niente.
Però te lo dico lo stesso, e tu non t’arrabbiare che un po’ il carattere ce l’hai come lui. Io ti dico piccola Sara, che un’ora sola, sì come la canzone che lui canta sempre (Che palle, nonno, mi pare ancora di risentirti, e lui che a squarciagola urlava, U’ora sola ti vorrei….), un’ora sola, con te, nel vecchio orto, a tuo nonno regalerebbe il paradiso.
Mandami tue notizie, piccola Sara, che son due mesi che non mi scrivi, ti bacio e ti abbraccio forte forte, sai come son fatta, a me piace abbracciarti, a me basta solo un abbraccio, un’ora regalala a tuo nonno.

pensieri sciolti

Il blog è una cosa strana: come si attorciglia su se stessa oppure si sfila.
Così c’è stato un giorno e poi un altro e poi un altro ancora in cui non avevo nulla, ma proprio nulla, da dire.
Avrei potuto dire che il gatto si è procurato una brutta ferita.
O che mi sono fatto una cultura con youtube prima su annozero, che non riesco mai a vedere, poi (per par condicio) su Natuzza Evolo e sulle strane coincidenze tra la vita di Gesù Cristo e il dio egizio Horus.
Per la verità, non rammento quando, ho pure iniziato a scrivere un post sui ritardi di pubblicazione di un libro: io una volta ho aspettato due anni e più.
Poi, un altro giorno, ricordo che, davanti al pc, ho pensato: cosa racconto, Questa, questa o questa?
Avevo in mente storie sentite, viste, un ricordo.
Nel dubbio ho postato Antonia Pozzi, che è giusto conoscere.
in realtà vorrei scrivere qualcosa di più profondo rispetto ai soliti ricordi o ai soliti quadretti.
Son giorni di insofferenza, questi.
Anche perché è tempo di elezioni e io, nella veste di direttore di un piccolo giornale di provincia (ma Prima comunicazione mi ha dedicato un pezzo) sono al centro delle attenzioni dei politici vercellesi.
Alcuni di loro hanno il senso del tempo che fugge, altri no. Impiegano due ore per dirmi cose semplici semplici, basterebbero dieci minuti.
Poi.
Sono in attesa.
Di un agente. Ho aviuto un’esperienza negativa, una volta, ora sto ipotizzando di ritentare. Ho chiesto a tre, che mi han risposto picche. Hanno già un numero elevato di scrittori da seguire, e manoscritti da leggere.
Vediamo cosa rispondono altri due.
E sono in attesa di risposte da un po’ di case editrici a cui ho inviato Il quaderno delle voci rubate per una possibile ristampa.
Ma l’editoria, a sentire agenti ed editori, sta messa male, ora.
I librai prenotano meno libri, oppure prenotano i soliti libri, la gente ancora compra, ma chissà se continuerà a comprare.
La crisi che si intreccia con la paura della crisi che, quindi, acuisce la crisi.
Per i giornali la crisi c’è; ma non per quelli piccoli come il mio. E ne sono contento. Mi sento responsabile di 15 buste paghe (senza contare gli 80 collaboratori).
Detto questo, taccio, non rileggo e vi saluto, che sono le 22 e 33 e devo ancora cenare.

di voi che resta antichi amori?

Chissà cosa mormora il vento
stasera col suo lamento
dietro la porta laggiù,
di già il caminetto s’è spento
io chiudo gli occhi e rammento
gli amori di gioventù

di voi che resta?
antichi amori giorni di festa
teneri ardori
solo una mesta foto ingiallita
tra le mie dita
di voi che resta sguardi innocenti
lacrime e risa e giuramenti
solo sepolto in un cassetto
qualche biglietto

rivedo un viso
mormoro un nome ma non ricordo quando né come

antonia

Anche dopo la tragica morte, la sua libertà, la sua integrità, vengono violate.
Il testamento distrutto, i fogli di poesia intaccati da pesanti interventi correttivi o censori, le lettere bruciate. Ma non le era stato impedito di vivere in pienezza, alle soglie della maturità affettiva, quel grande e nobile amore per Antonio Maria Cervi, il suo professore di lettere classiche? Non fu quella la prima incancellabile ferita inferta alla sua libertà morale, che posò un’ombra indelebile sull’attesa dell’amore, sempre rinviata perché incolmabile?
Inadattabile alla vita per eccesso di vita, vi si gettava con generoso gesto esistenziale, per una sfida intellettuale, sempre tra pudore ed effusioni.
(….)
Alessandra Cenni, prefazione ad
Antonia Pozzi
Parole

Garzanti
(a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino).

La vita

Alle soglie d’autunno
in un tramonto
muto

scopri l’onda del tempo
e la tua resa
segreta

come di ramo in ramo
leggero
un cadere d’uccelli
cui le ali non reggono più

18 agosto 1935
Antonia Pozz
i

quarta di copertina:
Antonia Pozzi nacque a Milano nel 1912 e morì suicida ventisei anni dopo. Nel breve arco della sua esistenza, oltre a questo “diario in poesia” scrisse un saggio sulla formazione letteraria di Flaubert, pubblicato postumo da Garzanti nel 1940.

sempre in quarta di copertina, Alessandra Cenni ricorda che
“…. siamo legittimati nel riconoscere che la poesia di Antonia Pozzi abbia avuto la sua vittoria sul tempo, come aveva profetizzato Eugenio Montale…”.

E buona giornata

ritardo

Allora, torniamo indietro alla notte tra mercoledì e giovedì, notte per me, l’alba per i più, dal momento che sono le cinque del mattino.
Sto per andare a letto, ma prima di spegnere il computer faccio una verifica: su Bastardo posto.
Trovo questa cosa, qua.
Mi son detto, Ci siamo.
Così ho scritto il post, inserito la copertina, copincollato la quarta di copertina di Massimo Novelli.

Stamattina mi sento con l’editore.
Preferirebbe, mi dice, rinviare.
Il polso della situazione (promozione, distrìbuzione)  ce l’ha lui, e dal momento che con il precedente libro (La donna che parlava con i morti) mi sono trovato bene ho detto “va bene”.

Per farla breve: Bastardo posto per ora non esce, e quindi nessuna presentazione a Torino.
Al più presto mi comunicheranno la data di uscita.

La prossima volta, comunque, “m’imparo e mi sto zitto”.
E buona serata

bastardo posto

Scheda

Paolo Limara, giornalista, vaga di notte sotto i portici della sua città. Nel suo passato un incarico di caporedattore e un’indagine sulla misteriosa sparizione di una donna e tre bambini; nel suo presente solo la notte, una carriera che è crollata a picco e il desiderio, mai sopito, di trovare la verità. Intorno a lui una girandola di personaggi e indizi sono le tessere di un ambiguo mosaico difficile da ricostruire: figure inquietanti, come Filippo Tuddia, il mafioso venuto da lontano, intoccabile e “senza sesso”; o vite distrutte, come quella di Marina, la grande accusatrice, morta in un incidente d’auto dopo aver strenuamente sostenuto che le sparizioni fossero in realtà quattro delitti.
Nessuno ricorda, nessuno indaga, nessuno dice: chi potrebbe far luce sull’accaduto non vuole o non può parlare, come il giovane prete imbavagliato dal segreto della confessione. Finché proprio la notte regalerà a Limara un incontro importante: una donna, Viola Rodesi, vittima di Filippo Tuddia e dei videopoker, può essere la chiave per scoperchiare il vaso di Pandora…
Bassini firma un giallo in cinque notti, cupo, amaro e avvincente, dedicato ai calpestati, alle vittime dell’ingiustizia, spesso infangate, derise, sole e condannate al silenzio, contro il potere più forte: di quelli che, in un bastardo posto, contano per davvero, e di cui nessuno sa.

Quarta di copertina

Fra evocazioni di Dashiell Hammett, quello di “Piombo e sangue”, e atmosfere alla Georges Simenon, Remo Bassini continua a orchestrare con lucidità e sapienza narrativa il suo nero canto dolente della provincia italiana. Dopo la politica marcia e il potere corrotto degli altri suoi ottimi e avvicenti romanzi, in “Bastardo posto” è di scena anche la mafia. Un inferno in terra – quello che ci racconta Bassini – dove raramente c’è redenzione.
Massimo Novelli
(La Repubblica)

(240 pagine, euro 9,90
a maggio in libreriHo aggiunto in neretto il completamento dell’aletta di copertina (ore 13,54).

feroce

stanno litigando, insulti e accuse anche.
loro hanno finito di mangiare, io ho appena ordinato per l’ultima cena romana (carciofi alla giudia, bucatini all’amatriciana, cicoria saltata e una bottiglia di aglianico da dividere in due).
mentre il cameriere prende la mia ordinazione, loro (lui) chiedono il conto.
appena i due camerieri, quello del conto e quello dell’ordinazione, si allontanano loro riprendono a insultarsi.
vogliono chiudere a schifio la serata.
dopo i vaffanculo e gli stronza arriva una frase, feroce.
la dice lui.
e tu allora che sei stata per dieci anni con quell’impotente?
stavolta non ribatte, lei.
si alza, deglutisce, e io ho la sensazione, guardandola per un attimo, che stia per piangere, scappa via.
il cameriere del conto, intanto, arriva.
hanno mangiato per 48 euro. l’uomo dà un cinquanta. il cameriere rientra per prendere il resto.
l’uomo aspetta, poi aspetta ancora, poi vedendo che il cameriere tarda a portargli i due euro si alza e va.
c’è un’altra tavalata, sei persone, poco distante.
ridono forte.

letture romane

nello zaino, girando per Roma, ultimo giorno.

“Vi-o-let-red”, compitò muovendo le labbra allo speccchio e ammirandone l’affetto. Teneva in mano il rossetto rosso sangue. La bocca truccata sembrava ritagliata nel velluto e a Jack, che era in garage a lavorare sulla macchina di suo padre, sarebbe piaciuta. Attraverso le finestre aperte sula calura opprimente sentiva il ruggito dell’acceleratore e il gracidio della vecchia radio.
Laura Costantini e Loredana Falcone, Viole(n)nt red, Bietti

Caro Alec
se non hai distrutto questa lettera appena riconosciuta la mia grafia sulla busta, è segno che la curiosità è più forte dell’odio O che il tuo odio ha bisogno di nuovo combustibile.
Amos Oz, La scatola nera, Feltrinelli.

queste righe, invece, son tratte da una prima pagina…
ad ammonizione del lettore: che in questo libretto che s’intitola alla memoria appunto si dispiegano gli inganni – volenti o nolenti o dolenti – della memoria. E forse anche della mia
scrive Leonardo Sciascia.
Il libro è Il teatro della memoria (Adelphi) ed un ricostruzione che Sciascia fa, basandosi su articoli e dcumenti, sullo smemorato di Collegno. Si è tornati a discutere dello smemorato, dopo il recente sceneggiato in tv. Canella o Bruneri?
Per Sciascia è Bruneri; se effettueranno la prova del Dna, vedremo. (Anche per me, leggendo Sciascia, è Bruneri).