dunque

siamo a 26, ne mancano tre, di raccontiaquattromani.
– Sempre la solita storia.
– Da padre in figlio.
– Tomas senz’acca.

qualche cifra.
l’anno scorso i racconti furono 27.
due in più quest’anno.
Non so dire se i migliori di quest’anno son belli come i migliori dell’anno scorso, o viceversa. Ma quest’anno – credetemi – è migliorata la qualità. Non per altro: nella scorsa edizione non dico che feci degli editing, ma delle correzioni, anche laboriose, delle bozze sì. Quest’anno quasi nulla. L’anno scorso qualche bestialata la corressi.

Poi. Qualcuno temeva (giustamente) un calo di interesse dopo che i giurati han detto “via dalla pazza folla”.
Non è così. Oggi c’era il triplo dei visitatori di quando ho postato i primi racconti (io penso che Face sottragga, ma penso anche che Face abbia un effetto moltiplicatore), oggi c’erano gli stessi visitatori di quando, l’anno passato, postai “adesso si vota”.
Fu il giorno record di visitatori.

Poi.
Se mi sentissi all’altezza di valutare i racconti direi: Decido io chi sono i sei migliori, e se a qualcuno non va bene lo dica, che tolgo il racconto che mi ha mandato.
Certo, ho commentato, e ci mancherebbe, e ho pure partecipato, ma tenendo conto (anche) dei commenti poco lusinghieri che io e la mia socia abbiamo ricevuto, non mi metterei di sicuro tra i sei eletti.
Non faccio l’unico giurato anche perché non sono un esperto di racconti, come lo è invece la mia amica Barbara Garlaschelli, e soprattutto: non ho né tempo né voglia.

Finiti di postare i racconti dirò chi sono stati gli autori.
Le biografie e il metodo di lavoro verranno inseriti se la mia amica “t” avrà voglia e tempo di fare l’ebook come l’anno passato.
Altrimenti creerò una pagina con tutto: racconti e biografie.

aquattromani: 26

D.O.C. Denominazione di Origine Controllata

Quando vide l’indice tremante premere il grilletto, Amir ebbe il tempo di scegliere come ordinare gli eventi in quel famoso ‘istante’ prima di morire in cui tutta la vita ti passa davanti.
Si sorprese di come quella frase che aveva sentito ripetere centinaia di volte, buffa e inverosimile, fosse vera. Una frazione di secondo per rivivere trent’anni.

Rivide la propria sagoma oscura scivolare sul pavimento, lo stesso su cui ora si trovava disteso, e fermarsi a metà della stanza.
– Mi devi pagare! – erano state le sue parole.
Davanti a lui, chino su dei fogli, stava un ometto in maniche di camicia. Magrissimo e dal cipiglio testardo. Un fiotto di capelli sudati gli colava sulla fronte mettendo in mostra il cranio arrossato dal caldo. Contava a voce alta, torturando coi denti il fondo di una matita.
Quarantadue gradi, diceva un elegante ufficiale dell’aeronautica alla tv.
– Gaetano, mi devi pagare! – ripeté l’ombra nera, immobile.

Amir sapeva aspettare. Aveva imparato attraversando il Mediterraneo.
Erano partiti dalla Libia in duecento, stipati su una bagnarola di legni marci, carichi solo di disperazione, e il mare li aveva accolti in malo modo, come fosse stanco di sentire storie tutte uguali. Onde alte e corrente feroce, il vento che seccava ogni speranza.
Amir non riusciva a smettere di fissare gli sguardi terrorizzati dei compagni di viaggio e di pensare che non ce l’avrebbero mai fatta. Avevano tutti troppa paura. Ce n’era così tanta intorno che sarebbe bastata anche per lui, si era detto mentre stava aggrappato a vomitare la sua fame da una balaustra arrugginita. Allora aveva deciso che sarebbe stato meglio aspettare. Senza pensare a niente, facendo finta di non avere paura. Aspettare che il tempo cambiasse, che la barca arrivasse a destinazione o che qualcuno li soccorresse. Il terrore e le preghiere non servivano a nulla. Il mare, come l’uomo, non conosce pietà.
Così, infine, era successo che un pattugliatore della Marina Militare Italiana li aveva intercettati e scortati fino a un’isola grande come un morso di pane, dove erano stati curati e imprigionati e dove aveva nuovamente cominciato ad aspettare l’occasione buona per fuggire.
Gaetano era stata la sua salvezza. Gli aveva procurato un lavoro e un posto dove stare: un lavoro duro e mal pagato, la schiena rotta dalla fatica e un materasso marcio dove dormire. Ma almeno era di un passo più lontano dal luogo da cui fuggiva.

Nella stanza non si muoveva un refolo d’aria. Neanche gli insetti si azzardavano a entrare in quella fornace.
L’unico rumore era lo strisciare del lapis sulla carta, lo svolgersi delle cifre in colonna.
Quando Gaetano alzò lo sguardo dai suoi fogli, svelò un ghigno tagliente come quello di una iena. I bei tratti ancora si distinguevano dietro la maschera di rughe e sudore. Doveva essere stato un bel giovane, prima che le preoccupazioni dell’azienda agricola di famiglia lo facessero invecchiare e rinsecchire prematuramente, come accadeva ai suoi pomodori quando prendevano troppo sole e troppo caldo.
– Vediamo cosa posso fare per te – disse senza più distogliere lo sguardo dalle braci di Amir.
Al telegiornale, il Presidente della Repubblica annunciava avvilito che il pacchetto sicurezza diventava legge. La bandiera alle sue spalle sembrò sbiadire, come di vergogna.
Sul viso di Gaetano comparve un moto impercettibile di maligna soddisfazione, quindi estrasse qualche banconota dal cassetto, poche decine di euro, e porgendole disse con fastidio:
– Ecco quanto ti spetta.
Amir gettò uno sguardo ai soldi ma non li raccolse.
– Non sono abbastanza. Non è quello che mi hai dato la scorsa settimana.
– Eh, ma la scorsa settimana era diverso.
– Io ho fatto lo stesso lavoro.
– Ma quando l’avevamo stabilito, tu non eri un criminale. Eri solo un negro – ghignò l’ometto.
Amir non capiva.
Non era un ladro. Aveva attraversato metà mondo alla ricerca di un modo per sopravvivere e ora lavorava. Sì, qualche pomodoro se l’era mangiato per vincere la sete di quelle giornate estenuanti di raccolta, ma non aveva mai rubato.
– E ora vattene se non vuoi che ti denunci – disse infine Gaetano, quasi ridendo. Finalmente quei negri non avrebbero più accampato pretese. Finalmente era libero di trattarli come meritavano.
Così aveva rimesso la mano nel cassetto, ma non per dargli gli altri soldi che gli spettavano.

Sul corpo di Amir il rosso del sangue si mischiava con quello dei pomodori.
Gaetano si aggiustò i capelli: non riusciva a spiegarsi come era potuto partire quel maledetto colpo. Teneva sempre la sicura inserita.