avevo circa 3600 messaggi su gmail tra ricevuti e inviati.
li ho rivisti tutti, salvando i duecento circa che mi interessavano, eliminati gli altri.
mi restavano (chi ha gmail) lo sa bene, le bozze, circa 150.
allora, ho trovato un paio di racconti (dimenticati), l’inizio di un romanzo, alcuni articoli di beniamino placido che ho preso dall’archivio de la repubblica e appunti sparsi, di cui non ricordo una cippa (sono a metà, adesso).
ecco un appunto scritto non so quando né perché; posso ipotizzare per una presentazione di qualche anno fa.
comunque: da gmail
la svolta è stata salgari. mi dissi: o divento un pirata della malesia oppure scrivo cose sui pirati. poi le poesie, un amore per le filastrocche dei miei 17 anni,
se il vento fosse nero io l’amerei lo stesso
se invece fosse rosso l’ammirerei per ore
se il vento fosse piccolo me lo porterei appresso
e se fosse una donna io ci fare l’amore
poi la fabrica e l’università che mollai, a 20 anni… l’impatto con la fabbrica è duro, e che ripresi poi…
una volta partecipai a un concorso, credo organizzato dal Grinzane, avevo una trentina d’anni e scrissi il mio primo racconto (una schifezza)
bene, su 500 partecipanti io ero tra i venti premi di consolazione ma non ero, cazzo, tra i primi dieci o dodici, fanculo.
mi arrabbiai, volevo arrivare primo.
e mi fermai, no, non mi fermai: scrivevo e distruggevo, scrivevo e distruggevo,
scrivevo ma… non sapevo bene cosa.
era su cosa scrivere che mi impallavo, di notte, ascoltanto la radio, mangiando patatine, di cui la mia gatta Lilli era golosissima, fumando Marlboro, oppure toscani.
si possono scrvere due cose: o quelle vere, o quelle di fantasia.
un giorno imparai che si potevano fondere i due aspetti.
non lavoravo più in fabbrica ma lavoravo in un albergo, portiere di notte.
e dovevo laurearmi, quindi prendevo il treno tutte le mattine.
leggo beniamino placido, come sempre.
giorni dopo mi metto a scrivere e chiedo a me stesso di raccontarmi una storia.
ecco, io so che a furia di scrivere, di pensare e di leggere un giorno successe questo: che imparai a usare le cose vere come punto di partenza per poi gettarle via, trasformarle.
ma non le cose che mi passavano per la testa in cucina.
le cose che vedevo quando andavo alla finestra: vedevo ombre, sentivo voci, oppure sentivo russare, o un’ambulanza, o, cosa rara, sotto casa mia, negli anni Novanta vivevo in una strada né centrale né periferica ma comunque poco frequentata, passava una coppia….
il primo vero esercizio era descriverli: poi la storia veniva da sola…
PS Ho lasciato “l’appunto” così come l’ho trovato, ma sarebbe stato da risistemare, che ci sono delle imprecisioni cronologiche (evidentemente quando scrissi, scrissi di getto, e in tempi diversi).
quando partecipai al concorso, per esempio, facevo già il giornalista.
nella seconda parte c’è scritto: poi lasciai la fabbrica.
la fabbrica, evidentemente, l’avevo già lasciata.
son pensieri in disordine, diciamo, ma così ho voluto lasciarli.