zingari di merda

È lì che ci porta il viaggio di Moresco, sulla soglia del silenzio e della morte. Dove arrivano anche le fotografie di Giovanni Giovannetti, che chiudono il libro (leggo su Orasesta)
Ringrazio Aitan per la segnalazione di questo post.

Estate 2006. Sono a Ravenna per presentare Lo scommettitore.
Pernotto in una bella pensione, la prenotazione l’ha fatta Fernandel, la casa editrice.
Ne approfitto, Ravenna è bella, la Romagna è bella; è vivace. Mi fermo due giorni e due notti, quella di venerdì e quella di sabato.
Sabato, mentre faccio colazione, parlo con il marito della signora che gestisce la pensione. Fa il fotografo, lui. Mi dice che ha una passione, Posso farle vedere, mi fa?
Ma certo, dico, e lui arriva con degli album, mi pare di ricordare.
Di scuro erano tutte fotografie che lui aveva scattato tra i rom. Vorrei che la gente sapesse che questo popolo è un popolo dignitoso come lo erano i pellerossa d’amercica, mi disse.
Guardi qua, non le sembra un’indiana?
Mi fece vedere una foto di una bellissima ragazza, Avrà vent’anni, mi disse lui, Vede come mi guarda, un po’ fiera e un po’ arrabbiata? I Rom non amano essere fotografati, ma i bambini sì.
Erano infatti foto soprattutto di bambini.
In Europa, mi disse, sono milioni e milioni, quanti uno stato della comunità europea, solo che noon hanno voce, né al parlamento né da nessuna parte. E l’ingiustizia, nei loro confronti, si perpetua.
Quel fotografo, poi, mi dice un’altra cosa. Mi dice: Ho imparato a conoscerli, e solo quando li conosci li capisci.
Era commosso. Ricordo che guardai sua moglie che a sua volta lo guardava, sorridendogli, come a dire Ti capisco, io ti capisco.

Non è facile parlare degli zingari. Nella mia città, alcuni sinti, soprattutto la sera, entrano nei bar di periferia e fanno paura, soprattutto quando bevono (e bevono: non c’è sera).
Sonospacconi, cercano la rissa. E contro di loro si scatena la rabbia delle periferie, e non solo. Anche di chi non li ha mai visti.
A volte sembra che il male peggore non siano corruzione, smog, il lavoro che non c’è, lo spaccio di droga che aumenta. Il male peggiore sono loro, che davanti ai supermercati e alle chiese chiedono l’elemosina.
Poi rubano, certo.
Ma come vivono? Come sono nati, cresciuti?

Quando frequentai per due anni un locale della periferia, che mi ispirò il racconto Tamarri, avrò avuto una quarantina d’anni. C’era qualche pensionato senza pensione, un paio di miei coetanei che la sera non sapevano dove sbattere la testa, e c’erano tanti ragazzi, dai quattordici e diciott’anni. Figli della disperazione. Alcuni erano zingari. Bevevano birra, certo. Una, due, tre Moretti. Ma non erano interessati né alle canne né alle pasticche che, sapevo, giravano alla grande, lì.

Credo ci sia un problema, serio, in Italia: a differenza di altri paesi europei, come la Germania, spendiamo tanti soldi per la repressione e pochi per l’integrazione.
Zingari di merda, appunto.
(Quando, domenica scorsa, al Salone del libro sono andato allo stand di Effigie, Giovanni Giovannetti, spiaciuto, Mi ha detto che Zingari di merda era ormai esaurito, – ma io son contento per lui, Moresco e il libro).

Poi, vi prego, leggete questa poesia di Mariella Mehr sul blog di Lino Di Gianni.
Faccio che incollare le note biografiche di questa poetessa (pubblicata da Effigie).
Mariella Mehr è stata vittima della persecuzione del suo popolo in Svizzera (il famigerato programma “Kinder der Landstrasse”, del quale poco o niente si sapeva fino a una ventina di anni fa): tolta alla madre nella primissima infanzia, passata per famiglie affidatarie, orfanotrofi e istituti psichiatrici, è stata soggetta a violenze di ogni genere, compreso l’elettroshock, e, come già successo a sua madre, a diciotto anni l’hanno sterilizzata e le hanno tolto il figlio. Autrice di romanzi, opere per il teatro e poesie, dal 1996 vive in Toscana.
La sua letteratura è una lotta permanente contro l’intolleranza, il razzismo e la discriminazione.

Fabio Turchetti – Mariella Mehr: Mio angelo di cenere

24 pensieri su “zingari di merda

  1. signor cache di merda lei come si permette a parlar male dei rom che neanche li conosci lei si deve lavare dentro l”acito muriatico è se ne riesce a uscirne vivo allora puo giudicare,
    cache di merda chi parla male dei rom che gli potesse cascare tutta la famiglia in discrazia
    è che ti deve prendere una paralisi facciale cosi non puoi piu muovere quella boccuccia di merda è una cancrena alle dita cosi non puoi piu digitare la tastiera.CIAO MERDAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

  2. a scuola ho due fratelli rumeni spesso infilati in parole offensive ed esclusioni. sono diventati sempre più scontrosi e arrabbiati, il non riuscire a farsi accettare ha portato una rabbia difficile da gestire. certe volte chiedo del loro paese, non hanno voglia di rispondere ma dicono che noi qua siamo matti. dicono che ci sono troppe regole, che le deleghe sono una cosa stupida, dicono che sono in grado di andare a scuola da soli. certe volte gli altri si dimenticano della loro nazionalità, sono momenti di gioco spensierato. possibili.
    m.

  3. Il Primo Maggio (festa del lavoro) ho scritto un post nel blog del cinema sul film “Furore” di John Ford. Il film è del 1940, sessantotto anni fa. Su questo problema (perché è un problema), dice e fa vedere delle cose che qui non ho trovato fra tante parole, di cui molte condivisibili, ma pur sempre parole.
    In California arrivavano i disededati del Kansas, in balìa di violenza, fame, lavoro assente, degradazione. Che fece Roosevelt col New Deal? Dei campi gestiti, con un responsabile per ogni campo e con regole generali di dare ed avere. Tu fai così rispondo così, tu fai cosà ripondo cosà. Non leggi (in America le leggi da sempre sono pochissime) ma responsabili, ad ogni campo il suo.
    Durante la campagna elettorale si è detto che a Roma ci sono 85 campi ROM. Non so se sono troppi, sono comunque tanti. Occorre gestire, non parlare, dire dei sì, dire dei no. Lo capiscono il sì e il no, tutti.
    Ma a noi piace dare aria alla bocca, magari una bell’aria, così ci sentiamo tutti belli, alti, biondi, con gli occhi azzurri.
    Mi rifiuto di credere che l’80% dei comaschi siano brutti, bassi, con i capelli e gli occhi neri. Idem per il 60% dei monzesi. Le percentuali di chi ha votato a destra. Ma siccome dire i sì e dire i no costa fatica, facciamo dei discorsi bellissimi. L’hanno capito il nostro gioco, tutto qui, e gli dà fastidio. Oltre ai sì e ai no, occorre una cosa intelligentissima, la capacità di distinzione da parte del responsabile. E l’autonomia. E un’altra che non richiede intelligenza, ma coraggio: misurare i risultati con un contatore non farlocco.
    Ma non credo che si farà, me lo ricordo come fosse oggi il giorno in cui raccontavo a un amico come funzionava la multinazionale, mi guardò con aria di compatimento e ni disse: “Non credo proprio che l’efficienza sia importante”. Continuo a pensare (ed a verificare nei fatti, anche in rete) che l’efficienza sia importante (ancor più l’efficacia), solo che ho imparato che nel nostro paese è scomoda, perché non concede alibi: il problema è sempre un altro, non quello che c’è nel piatto, volenti o nolenti.

    grazie Remo e saludos
    Solimano

  4. La poesia è bellissima. Ho letto anche l’intervista all’autrice sul sito di Lietocolle, che fa venire un po’ la pelle d’oca e molto fa pensare.
    Gli “zingari” (che non vuol dire niente, lo so, ma non esiste un termine generale che riunisca in modo corretto rom e sinti e questo basta a far capire come l’idea di un “campo nomadi” sia profondamente sbagliata)sono anche nei miei pensieri, in questi giorni. Leggo molto, soprattutto testimonianze di persone che hanno avuto a che fare con loro, come il tuo albergatore. Perchè il problema è anche questo: gli “zingari” (sempre tra virgolette) sono un popolo praticamente senza voce.
    Mi sono chiesta: ma loro, davvero, cosa vogliono?
    Alcune risposte le ho trovate qui:

    http://sucardrom.blogspot.com/2007/07/cecina-il-comitato-rom-e-sinti-insieme.html

    E’ lungo ma forse vale la pena leggere.

    sabrina

  5. Ecco perché non riesco a trovarlo da nessuna parte Zingari di Merda.

    (E’ davvero interessante questa discussione. I vostri commenti confermano quanto vado pensando, dicendo e scrivendo da giorni: meno male che la rete c’è. Da un blog all’altro rimbalzano punti di vista diversi dall’imperversante voce della maggioranza governativa e dai loro slogan xenofobi.
    Io poi mi trovo d’accordo soprattutto coi dubbi di Sabrina e continuo ad augurarmi che attraverso questi spazi di autonoma riflessione si possa risvegliare il senso critico e seminare altre incertezze.)

  6. Io sono stata in campi rom… ho trovato un mondo molto variegato, interessante. Un’accoglienza ed una volgia di raccontare che mi ha commosso. Non mi capacito di tanta violenza, di come si sia fomentata prima la paura e poi strumentalizzata. In una scuola un’insegnante volontaria che doveva appunto seguire un ragazzo rom di 14 anni, l’ha trovato in classe in mezzo all’aula con tutti i compagni che lo prednevano in giro in cerchio intorno a lui… E ho sentito tanti altri episodi di ragazi a caccia di romeni.
    Sono indignata e penso che dovremmo fare qualcosa, dovremmo fare senetire la nostra voce. Giulia

  7. questo post e tutti i suoi commenti sono una perla, una serie di testimonianze degnissime.

    ne approfitto per raccontare quanto mi è accaduto ieri: è stata la prima uscita ufficiale in bici con la mia bambina, per strada. una cosa per lei molto stancante, sia per i chilometri fatti che per lo stress di affrontare il traffico.
    al ritorno, sulla via di casa, un po’ per il caldo, un po’ per la stanchezza, è caduta, ma così niente di grave.
    uno zingarello fermo al semaforo, non più di sei anni, tutto fetente, si è avvicinato e con fare adulto si è messo la mano in tasca, tirandone fuori un kinder cereali: tieni – mi ha detto – è per la tua bambina, guarda come è stanca.
    ma no, insistevo io, mangialo tu.
    ma non c’è stato verso, mi ha detto: io l’ho già mangiato, non ne ho bisogno. lei invece sì, è piccina e stanca, prendilo su.

    mi sono commossa moltissimo.

  8. …spendiamo tanti soldi per la repressione e pochi per l’integrazione.
    Zingari di merda, appunto…
    Il vero problema in Italia è che se lo rubano il vile denaro.

  9. Sono d’accordo con Cinzia, basta molto meno di un paese diverso per sentirsi culturalmente lontani. Basta abitare in un altro quartiere o appartenere ad un contesto sociale differente. Per non parlare del semplice fatto che c’è molta gente,come il mio vicino di casa, che credono che il loro modo di ragionare e vivere sia l’unico possibile o, in seconda istanza, l’unico giusto. Per fortuna ho avuto la possibilità di confrontarmi con diversi luoghi e situazioni e ciò che mi ha stupito all’inizio (ero davvero molto ignorante, molto più di ora, che è tutto dire)è che persone che vivevano con ritmi e priorità diametralmente opposti ai miei considerassero come me, il loro modo, l’unico possibile.
    Credo che la tolleranza (ma questo termine sa comunque di una presunta superiorità) ma soprattutto il dubbio, ecco, il dubbio sia da rivalutare. Davanti a tutto ciò che ci è sconosciuto, che non capiamo, poniamoci delle domande, chiediamoci se potremmo concepire di vivere in altro modo, con altri valori, o talvolta, con gli stessi ma mascherati sotto altre apparenze, chiediamoci che cosa ci spaventa tanto in queste divergenze.
    Sono stata cattolica (per cultura e famiglia) per tanto tempo per accorgermi poi che credente non lo ero mai stata e, improvvisamente, mi sono ritrovata dall’altra parte della barriera, quella dei diversi (in Italia, non certo in Francia). Ho compiuto scelte che scandalizzano la mia famiglia e talvolta gli amici (il non matrimonio, il non battesimo di mia figlia) ma siccome la mia famiglia e gli amici mi amano, questo amore reciproco ha dato luogo al dialogo e questo dialogo ha permesso a tutti di capirsi e accettarsi o almeno di comunicare, ci ha arricchito tutti.
    Questo lungo pippone su di me solo per dire che ci vuol poco a esser considerati diversi ma ci vuole molto meno ad avvicinarsi all’altro una volta eliminata la paura.

  10. Posso aggiungere questo: con la classe dove avevo Toni, il Rom, sono stata fortunata: niente griffe (ma proprio niente, mi sembra persino strano) e cellulari (cioè, i cellulari ce li hanno, ma siccome sanno che li ritiriamo, non li portano a scuola). Quindi, l’esempio e il modello arrivavano da fuori e, in modo a volte un po’ buffo, era Toni che portava in classe certi pessimi modelli.
    Detto ciò, apro una parentesi per dire che nella scuola è frequentissimo il caso del “cellulare sì-libro di testo no”, anche quando il cellulare costa 100 euro e il libro 10.
    Questa cosa è peggiorata con la riforma Moratti, che ridotto l’orario scolastico e ha introdotto le ore opzionali facoltative. Per qualche percorso perverso (o forse naturale) tutto ciò che riguarda la scuola sta diventando opzionale e facoltativo.
    Questo non aiuta.
    Poi: il caso mio, di Toni, non è il caso di un ragazzino con difficoltà di apprendimento e occhiate torve, ecc. So che esistono, ma io sono ancora in una realtà dove son più i genitori a lanciare occhiate torve, che gli alunni. Toni, poi, nato in Italia, da famiglia residente fissa nel paese dove insegno, con fratelli passati tutti dalla nostra scuola, e lui che è stato compagno di classe alle elementari di molti compagni delle medie, non so, forse verrebbe classificato come perfettamente integrato.
    In realtà, non lo era. Anche quando si sforzava di essere attento, si vedeva che era fuori, che faceva uno sforzo per lui incomprensibile, che lo faceva per me, perché glielo chiedevo, non per sè. In fondo, viveva in una famiglia di buoni mezzi, dove nessuno aveva una preparazione scolastica sufficiente, e dove tutti riuscivano a fare e comprare quello che volevano. Perchp avrebbe dovuto faticare per avere in futuro ciò che aveva già senza fatica?
    Quando, infatti, siamo diventati insistenti sulla frequenza (era spesso a casa) e sul rispetto di certe regole scolastiche, è semplicemente sparito.

  11. Vorrei aggiungere un’ultima cosa, stimolata dal commento di Mario: gli zingari vivono così da secoli e se vengono a scuola col cellulare da 400 euro e la catena d’oro è proprio perché il nomadismo li porta a sopravvivere incamerando la cultura del paese ospitante! Sarebbe il caso di domandarsi chi gli ha dato questi pessimi esempi! Sarebbe il caso di domandarci che modello offriamo!E che modello offrono i nostri figli griffati, stonati, incellularizzati (ho anche io allievi col telefonino e le scarpette di plastica da 180 euro che non hanno soldi per il libro di solfeggio che ne costa 7), maleducati, ignoranti e adesso anche razzisti, probabilmente. Lo zingaro rispecchia qualità e difetti del posto che assorbe, una cartina tornasole. E poi bisognerebbe mettersi nei panni di questi bambini: occhiate torve, difficoltà di apprendimento, difficoltà anche a capire perché mai debbano star lì (fatica anche mia figlia a capirlo, figuriamoci) quando la loro cultura è completamente diversa. Dice bene la prof: non li capisco e loro non capiscono me.Giusto, appunto.Purché ci si rispetti, l’essenziale è questo.

  12. Aspettavo, Remo, questo tuo intervento anzi a dire il vero ieri avevo cercato nel tuo blog le vecchie discussioni, inutilmente. Anche io ho avuto un rom quando insegnavo in Piemonte: faceva lo spogliarello in piedi sul banco, e siccome era anche bello, non ti dico le ragazzine: un putiferio.Ho insegnato troppo poco in quella classe per dire di aver perso la guerra e poi ero alla mia prima esperienza, venivo da un mondo di note-intonazione-ritmo-guerra ai propri limiti essenzialmente, non avevo idea.Adesso sarei più coinvolta, preparata (non che sia risolutivo, ciò). Allora ci mettemmo assurdamente d’accordo: io entro e tu esci, non poteva, intendo proprio che non poteva, stare fermo seduto al banco. Così finì a gironzolare nei corridoi, senza nuocere o dare fastidio, era il nostro patto. Senza concludere nulla, anche. Era peggio dei suoi compagni? di quelli che in classe si mazziavano per nulla? che piangevano per nulla? che picchiavano gli insegnanti? (testuali parole all’entrata del primo giorno, sussurrate da un paio di colleghi: non mandare nessuno in presidenza se no ti aspettano fuori e ti menano). Gli esempi e gli aneddoti servono a poco, secondo me. Giustamente ogni caso è a sé, ogni persona è persona. C’è il ladro, lo spogliarellista, l’assassino, la brava gente. Non dimentichiamolo mai.Nella mia scuola un’intera classe semina il terrore, distrugge gli arredi, ci costringe a far intervenire i carabinieri ogni settimana. Non sono rom, sono italiani, o meglio siciliani… Può darsi che prima o poi venga varato un intervento anche per noi? In fondo basterebbe che i giornali facessero come per gli zingari: i siciliani sono tutti mafiosi, poveri, ladri, assassini (guardate in tenera età cosa hanno fatto a Caltanissetta!), analfabeti. Non ci crederebbe il leghista? Non ci crede già? Via, i siciliani sulla luna e gli zingari su Marte, e che diamine.

  13. Io azzardo un ipotesi che già fu fatta da sociologhi, antropologi e ch’è forse verità.
    I popoli primitivi come certe piccole società nomadi come varie tribù, considerano sè stessi come i “veri uomini”, gli altri, quelli di fuori, quelli che hanno altre usanze, non sono uomini veri; di fatto molti indiani d’America si chiamavano tra loro “il popolo degli uomini”, un Apache non considerava uomo vero un Comanche, cosi per un Piedenero un Lakota, era “altro”.
    Gli si doveva rubare i cavalli, era giusto e bene farlo, e pure ammazzarlo se si dava il caso.
    Era “altro”, altra cosa.
    Così gli israeliti di un tempo ritenendosi popolo eletto diprezzavano vivamente i “goim”, gli altri, perchè impuri e infedeli.

    Il rom da poco arrivato in Italia, essendo da sempre, e quasi sempre, stato estromesso dalla società nei paesi dell’Est arriva qui tra gente che giudica ricca, e che per lui non è gente, è spesso cosa, barbari che non conoscono la vera vita, oggetti da depredare.

    Ci vorrà molto tempo perchè il nuovo rom riesca ad integrarsi, qui, se non si creano strutture adatte, campi organizzati, assistenza “vera”.
    L’integrazione è cosa lunga e triste, è una rinuncia alla propria cultura è un adattamento ad usi, costumi, leggi considerati altro, anzi stupidaggine, barbarie.
    Credo che le rivolte contro i rom sollecitate dai destri siano un valvola di sfogo creata ad arte, la ricerca del capro espiatorio per far dimenticare i guai grossi e veri di questo povero paese.
    E’ una tecnica che funzione: tutti i regimi totalitari lo hanno fatto e lo fanno.
    Lo fece il fascismo.

  14. Vorrei solo aggiugnere che il mio è un esempio limitatissimo per dire che non è così semplice “capire” l’altro, e se non riesco a farlo io, che sono personalmente disposta a farlo, culturalmente preparata a farlo, e desiderosa di farlo, come si potrà pensare che lo facciano altri già più chiusi e diffidenti?
    Il discorso su come, poi, oggi stia reagendo lo Stato, o gli Stati nello Stato, o i politici ecc, è ovviamente ancora un altro lato di questa enorme e sfaccettata medaglia.

  15. Ecco, non ho molto tempo per un commento articolato, ma sono abbastanza d’accordo con Aglaja, nonostante la mia esperienza con (tre finora) alunni romeni sia al 70% negativa (nel senso che i due di essi non erano né splendidi né altro, benché potrei dire che fossero normalmente integrati nel gruppo classe).
    Poi c’è l’esperienza con un ragazzino di famiglia rom ormai stanziale, che da anni mandava nella nostra scuola i figli (cinque in tutto). Parla all’imperfetto perché questi ragazzi hanno sempre fatto quello che volevano, compresi piccoli furti in classe, e quando l’ultimo è arrivato nella mia di classe, e abbiamo cominciato a chiedere che venisse a scuola con libri e quaderni, ha incominciato a stare a casa. Costretto con le buone a tornare a scuola, ho avuto un colloquio con un fratello di poco maggiore, che già conoscevo per averlo visto bei locali della scuola, ma in altra sezione, al quale ho chiesto di non mandare a scuola il fratellino con catene d’oro e cellulare da quattrocento euro (stereotipo, sì, stereotipo, ma questa era la realtà), piuttosto di comprargli i libri di cui aveva bisogno e di costringerlo a imparare qualcosa.
    Dopo due, tre settimane ci hanno detto che lo portavano qualche giorno in Romania. Non è più tornato. Sappiamo, perché alcune colleghe lo hanno visto, che vive in una città vicina, con una sorella maggiorenne con figli e una minorenne (anche lei è stata a scuola da noi), chiedono a volte la carità, altrimenti vivono grazie a due fratelli maggiori che commerciano in auto di grossa cilindrata di dubbia provenienza, e grazie alla Caritas della città stessa, alla quale hanno riferito di essere figli senza genitori (non vero), con madre appena morta di tumore (non vero, la madre vive ancora nel paese dove insegno)e senza possibilità di lavoro (quest, per le due ragazze, è vero). Abbiamo fatto presente la situazione reale a quelli della Caritas, ma non ci hanno creduto e ci hanno detto che siamo razzisti e che questi ragazzi hanno bisogno di aiuto per integrarsi.
    Perché ho raccontato tutto questo?
    Non lo so nemmeno io. Forse perché mi dà fastidio sentirmi dare della razzista perché avviso che qualcuno sta mentendo (e non mi interessa da che parte provenga, so che mente e basta); forse perché ho una classe che ormai pensa che tutti i rom siano come il nostro che se ne è andato; forse perché mi irrita pensare che non siamo riusciti a incidere per nulla su un ragazzino che era intelligente, ma vissuto in un contesto famigliare (non locale, non sociale) ordinato completamente secondo parametri che non sono i nostri ma che apparivano (e forse sono, vattelapesca) più facili; forse perché, quando i ragazzi grandi e il piccolo si sono spostati dal Paese, tutti hanno tirato un respiro di sollievo perché si son messi tranquilli e da allora non hanno avuto più timori di furti (che avvenivano, come ne sono avvenuti, piccoli, limitati, anche in classe).
    Forse perchè il problema sembra avere una soluzione diversa per ognuna delle persone che si conoscono. Forse perchè io li ho conosciuti, questi rom, sia pure solo un famiglia, e non sono riuscita a capirli. Nè a farmi capire.

  16. Remo, mi permetto di copincollare qui il mio intervento sul blog di un amico in merito allo stesso tema:

    Non credo si possa distinguere tout court in popoli buoni e popoli cattivi, poveri solo buoni ed oppressi e benestanti solo cattivi ed oppressori, e così via: rischieremmo di finire in un manicheismo di maniera, poco attento alla realtà. Ragionando per problemi e per individui (non masse informi), forse potrebbe essere meno traumatico arrivare a soluzioni e compromessi (io credo – pacatamente e serenamente :-) – che il compromesso sia il primo passo per non sbranarsi) a patto però di una reciproca volontà di venirsi incontro.

    Ad esempio, è concepibile che esistano campi come quelli che si incancreniscono in varie città italiane (talora sgomberati dalle forze dell’ordine, talatra cancellati dalla furia cieca dell’intolleranza o dell’esasperazione)? Lager dove non vi sono le minime condizioni di sopravvivenza? Rifugi precari sotto ponti ferroviari, lungo argini di fiumi, in fabbriche dismesse.. E’ ovvio che in questa indecenza nascano violenza, abbruttimento, sopraffazione. Tuttavia, sgomberi istantanei, come era accaduto mesi fa a Roma, o peggio gli incendi e le molotov di Napoli, nati sull’onda emotiva di episodi agghiaccianti, sono risposte nel primo caso insoddisfacenti e intempestive, e nel secondo crudeli e inaccettabili.

    Certamente – lo ribadisco – vi sono situazioni e situazioni, individui e individui. Vi sono migranti che cercano disperatamente di sfuggire alla povertà del paese di provenienza, e che si arrabattano nell’attesa di trovare il sospirato lavoro, la sospirata sistemazione. Vi sono delinquenti che, qui o altrove, seminerebbero comunque morte e violenza. Vi sono popoli che, per cultura e tradizione, non sono stanziali e che mai accetterebbero – neppure se data con le migliori intenzioni – la proposta di un “punto fermo”.

    Mi verrebbe da dire che chi più ha più dovrebbe offrire, dando – e al contempo esigendo – rispetto: se ti accolgo nella mia società e non offendo le tue tradizioni e la tua cultura, proponendoti opportunità di sussistenza dignitosa, desidero che tu rispetti la mia civiltà e ne segua le regole di buona convivenza, fino a quando decidi di fermarti.
    Non è ovviamente questione semplice: io stessa mi trovo combattuta tra idealismo (desiderio di accoglienza e di integrazione, curiosità per ogni cultura diversa dalla mia, indignazione per ogni forma di rifiuto discriminante e razzistico) e realtà sgradevoli e talora ripugnanti di cui sono testimone.

    Ad esempio, davanti alla mia scuola (in pieno centro di Genova, proprio di fronte allo stadio) c’è un grande parcheggio dove per giorni, abusivamente, campeggiano nomadi che mettono a ferro e fuoco la zona. Davanti ai grandi camper e ai macchinoni – messi in cerchio o di traverso, ad occupare tre/quattro parcheggi ciascuno – vi sono tavoli/sedie/panni/tappeti/mucchi di immondizia disseminati ovunque. I rom di questi accampamenti improvvisati defecano pubblicamente in mezzo alle altre vetture; lordano con liquami e rifiuti il piazzale; rubano i motorini degli studenti, parcheggiati sotto la scuola, li smontano e ne incendiano i resti; ragazzi/e e bambini/e spintonano e spaventano donne e anziani, al fine di borseggiarli; gli stessi danneggiano le macchine in sosta, talora per rubarvi all’interno, più spesso per il gusto di rigare le fiancate o prenderle a calci; gli adulti si introducono nei locali del quartiere facendo confusione per distrarre i proprietari e tentare il furto; nei bar entrano a branco, piatiscono cibo per i bambini e, una volta consumato, gettano a terra resti e cartacce; nel giorno del mercato, gruppi di nomadi giovani e meno giovani sono in azione per derubare i passanti e sottrarre merce ai banchi.

    Rileggendo le parole che ho appena scritto, mi rendo conto che sembrano uscite dalla tastiera esagerata, parziale e razzista di una leghista del nord-est. Vi prego di credere che non sono tale, né per cultura, né per scelta ideologica che, anzi, mi vede agli antipodi. A dirla tutta, nei giorni scorsi, i presìdi intimidatori fatti dai leghisti nostrani che hanno costretto allo sgombero (temporaneo) del piazzale, pur sapendo che erano in sintonia con il malcontento della maggior parte dei residenti, insoddisfatti delle iniziative del Comune, giudicate inadeguate e insufficienti, non solo non mi erano piaciuti, ma mi avevano dato fastidio per i toni e per le parole di sfida/minaccia usate.

    E però devo anche aggiungere che ho visto diversi casi in cui (scrivo ancora una volta di quanto conosco) le scuole hanno vanamente tentato di condurre i ragazzi rom alla frequenza della scuola dell’obbligo. Il fallimento è stato sempre l’esito finale, persino dove (per miracolo) si trovava una non ostilità nei genitori degli altri alunni (spesso dovuta alla pietà per le condizioni in cui versavano questi ragazzi) e dove la pazienza e la dedizione degli insegnanti (di frequente in ambito di puro volontariato, seppur supportato dalle istituzioni) portava a farsi carico *personalmente* dell’igiene e dello stato di estrema incuria dei ragazzi. E il fallimento nasceva, paradossalmente, non dal rifiuto della nostra “società” nei loro confronti, bensì viceversa! Comportamenti insostenibili in classe e fuori, furti, botte e minacce, fino alla definitiva scomparsa dalle aule (accolta, alla fin fine, quasi con sollievo).

    Il contrario devo testimoniarlo per quanto concerne i romeni: se cliccate su questo link http://aglajage.splinder.com/post/15767631/PAROLE+-+Migranti potrete leggere di due mie splendide e integratissime alunne romene.

    In tali contraddizioni vivo questo problema: frustrazione e impotenza, rabbia e senso di ingiustizia.
    Chiedo scusa per il mio intervento, disordinato e prolisso: riflette il caos di pensieri in antitesi che albergano in me e che anche in altre occasioni ho provato – inutilmente – a risolvere.

    Aglaja

  17. Ho avuto la fortuna di ascoltare la Mehr a Mantova, e quello che ha raccontato in quell’occasione mi ha indignato, incantato, commossa profondamente. Sono molto contenta di averla ritrovata in questo tuo bellissimo post. Così come mi fa piacere trovare Giovanni Giovannetti: lui e altri suoi amici sono fra i pochissimi che prestano la loro voce agli zingari. Mi permetto di segnalare questo blog cui partecipa: http://www.circolopasolini.splinder.com/ dove molto spesso si affronta il problema (che brutta parola “problema”…) dei Rom.
    Senza dubbio è un’eccezione il tuo albergatore romagnolo. Non succede spesso di incontrare persone come lui. Io mi accorgo che quando mi capitata di parlare di zingari, anche con persone che ritengo aperte e sensibili ai problemi sociali, i miei interlocutori alzano un muro, dicono: gli zingari sono un’altra cosa…sono solo ladri, non meritano nulla. Credo che l’ignoranza, proprio nel senso di “ignorare” la storia, e avere come riferimento solo triti luoghi comuni sia più dannoso di qualsiasi altra cosa. Importante, quindi, è parlarne.
    Preleverò qualche traccia di quello che hai scritto e lo trasferirò da me, Remo. D’altra parte (che concidenza!) avevo già pensato a un post tutto dedicato ai Rom, proprio oggi.
    Un abbraccio, Remo e buona domenica.

    Milvia

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