Raccontiaquattromani/1

Rugiada

[solitaria moltitudine a tre voci]

1. [lui]

Alla visione delle sue gambe lunghe e affusolate, distese ed allargate sull’erba umida di rugiada, cominciai a perdere l’equilibrio. E dovetti stringerle il ventre e le cosce per riprendere coscienza di me.
Lei articolò un paio di parole in una lingua straniera, tra mugugni rantoli e sospiri. Ma io non mi preoccupai di capire. Sentivo le sue mutandine bagnate nella stretta delle mie mani, e cominciai a strofinare cercando tra il cotone e i peli umidi. Ora le ero disteso accanto, con la bocca all’altezza della sua bocca, una mano tra le gambe e l’altra tra i capelli. Ma non pensavo a lei. E quando la sua mano incontrò la patta dei miei pantaloni, chiusi gli occhi ed ebbi, in un lampo, quell’altra nella mente. Poi solo i sensi miei. Il desiderio di svuotarmi fino all’annullamento. La voglia matta di dimenticarmi. Riuscire per qualche attimo a non esserci.
Non importa con chi si affronta il viaggio verso l’oblio. L’arrivo è sempre solitario. Tutto il resto, finzione.

2. [lei]

Era bastato che allargassi le gambe, su quel manto d’erba intrisa di rugiada, per attirarlo a me come una condanna irreversibile. Mi stava addosso e frugava nelle mie mutande che pareva cercasse qualcosa di essenziale alla sua stessa vita, il respiro dopo l’apnea dell’immersione. Per fortuna non avrei capito quel che avrebbe potuto dirmi, ma l’unica lingua che desideravo comprendere, allora, era quella che usava per leccare i miei capezzoli e il mio ombelico. Dalla gola mi salì un sospiro compresso, sillabai un nome per subito ricacciarlo in gola. Non era il suo, non poteva esserlo. Lui era uno sconosciuto.
Dopo, mi riassestai le gonne, la mano di piatto a lisciare le pieghe di stropiccio, e senza dire nulla, senza un saluto o un cenno, ritornai da dove ero venuta. Raggiunsi il tavolino al dehor, dove avevo lasciato gli altri dicendo che sarei andata a fare due passi nella pineta, ché avevo bisogno di stare un poco sola, e guardai negli occhi l’unico e il solo uomo, da cui avrei voluto ricevere un battesimo di sangue e seme, un nuovo nome, il palmo caldo sulla vena giugulare, il battito profondo dell’inguine dorato. Lo guardai come se niente fosse, come una donna qualsiasi che gli passava accanto per la via. Mi porse, distratto, un bicchiere freddo di mojito e le nostre dita, per un momento, si sfiorarono, mescolando la condensa fredda ed il sudore. Sentii un vuoto nel petto che era un urlo, niente, a confronto, quel piccolo sospiro di piacere, un serpentello verde salvia, che era affiorato come una macchia di sangue sul cotone, sotto le labbra di quello sconosciuto senza nome, mentr’io pensavo che avrei voluto solo riuscire per qualche attimo a non esserci, sparirgli tra le gambe, lasciarmi mangiare dall’impeto della sua fame.

3. [L’altra]

Cos’è che la infastidiva tanto, di lui?

Era quel suo modo di far l’amore, dottoressa.

Cosa provava, lei, quando succedeva?

Gelosia. Una gelosia feroce.

Gelosia? E verso chi, mi scusi?

Verso un qualsiasi corpo che non fosse il mio. Ho sempre avuto il sospetto che pensasse ad un’altra quand’era con me.

E che cosa glielo faceva pensare?

Era il suo modo. Era quella sua fame d’affamato che non trova scampo. Era quel suo serrare gli occhi, alla fine, quando si abbandonava col viso tra i miei seni. Era come una nave che salpava, il suono della sirena che annuncia il distacco dalla banchina, il fischio del capostazione, le ruote che si sollevano dalla pista, il rombo dei motori.

Forse era la resa dell’abbandono. Nient’altro. Non lo crede anche lei?

No, no, quello era il suo modo oscuro per tradirmi. Era la sua cattiveria nel disconoscermi. Era tutti i nomi che non sapeva darmi e quegli altri che mi cuciva addosso. Era il bambino dalla faccia ottusa che allontana il granchio dal mare. Con un bastoncino, tanto vigliacco da non usare la mani per paura della stretta delle chele, ne devia il percorso. Un bambino cattivo, con un grosso neo sulla guancia sinistra, un marchio di propensione al male. E io, una piccola carne nascosta da un duro carapace con delle ridicole tenaglie piccole piccole, puntate verso il cielo.
I suoi occhi chiusi, dottoressa, erano tutto questo ed altro ancora. Erano tutte le donne del mondo, donne qualsiasi, le straniere, le sconosciute da scopare sopra un’erba intrisa di rugiada; ed io ero un calco, una cosa piccola, piccola la mia carne rinchiusa in un guscio, lontana dalla sua vista, dalla vista dell’unico, l’unico e il solo uomo, da cui avrei voluto ricevere un battesimo di sangue e seme, un nuovo nome, il palmo caldo sulla vena giugulare, il battito profondo del suo inguine dorato. Ma lui non mi vedeva. Chiudeva gli occhi, come se niente fosse, ed io diventavo una donna qualsiasi, una di quelle che gli passavano accanto per la via.

Bene, ne riparliamo la prossima volta. Per oggi, il tempo è scaduto.

si parte, quasi

Diciamo che
1. Il tempo per aderire a raccontoaquattromani è scaduto; ma se entro domenica arriva qualche ritardatario non faccio il fiscale (e diciamo anche che se per caso che se nascono… problemi di coppia, se ne possono formare altre, ma a due condizioni:avere già aderito e riuscire a scrivere il racconto di 5500 battute più biografie più illustrazione del sistema di lavoro adotattato entro il 15 di agosto. Sarò fiscalissimo su questa data).
2. Da domenica (credo) comincerò a postare il primo racconto. Proseguirò alla spicciolata, postandoli qui, in forma anonima, ma dal 15 di agosto in poi proseguirò più spedito, così da pubblicarli tutti, prima possibile.
3. Dopo un paio di giorni che avrò postato l’ultimo racconto (anonimo), riproporrò poi il tutto, in questa forma, con note biografiche e note sul sitema d lavoro adottato (e poi chiederò a un’amima pia di farmi un ebook).
4. Quando avrò riproposto il tutto chi ha partecipato potrà, inviandomi una mail, votare i sei migliori racconti (degli altri).
Voteranno anche le persone che mi hanno dato e mi daranno una mano nella lettura.
E se la cosa va a buon fine si riparte con altro, altrimeti arrivederci e grazie.
I racconti tutti restaranno qui, come pagina del blog.