Asimmetrie
Si aspettavano alle dieci fuori il suo portone, al bar di fronte, non c’era gente. Era il vuoto dentro loro e il vuoto fuori per la strada gremita del silenzio dei lampioni, che sembravano scimmiottare, ridere zitti zitti sotto i baffi. Lei portava sul volto quell’aria assente di chi incontra un fantasma, uno del passato, uno che hai amato. Uno squillo, il numero non è salvato, ma tanto lei lo ricorda a memoria, non sorride, cammina muta e pensierosa, nasconde gli occhi tra i capelli. Apre lo sportello con l’aria di un’anima in quiescenza,dai finestrini aperti, si sofferma per un attimo a notare i luccichii dalla carrozzeria, l’unico segno vivace in quella notte di segreti. Si guardano per un attimo con uno sguardo buio, fermo nel tempo. Cosa darebbe per sentire il timbro della sua voce, da vicino, come quand’erano innamorati. Darebbe una ciocca di capelli per sapere cosa pensa, per saper leggere i suoi silenzi.
“Resto qui, un po’ indietro. D’improvviso ho voglia di pensare. Ti volti ed è come l’ultima volta, indossi quella maschera corrucciata che ti metti tutte le volte che la preoccupazione per me comincia a venire a galla. Le tue sopracciglia si abbassano verso il naso ed io sento la campana che suona mentre il passaggio a livello si chiude e sopraggiunge il treno dei pensieri cattivi nella tua testolina. Come al solito non c’è bisogno di alcuna parola, i tuoi occhi parlano come e meglio della tua bocca sottile. Mi stai rimproverando lo so, come si fa solo con qualcuno a cui vuoi davvero bene. Ed io avrei voglia di buttare via lontano tutti i pensieri che mi affollano ora la mente e correrti incontro, gettarti al collo le braccia e raccontarti una storia che ti faccia ridere. Poi tutto il resto perderebbe senso. Resterei ore a sentirti ridere; ridi da far star bene.
La tua risata argentina è il cibo di cui si nutrivano i miei padiglioni auricolari; i tuoi occhi, come si stringevano, quell’infinito spiraglio tra la luce e l’oblio si bagnava delle tue lacrime ed io mi perdevo nel ritmo che scandivi con le tue ciglia; poi ci sono le tue labbra che si cercavano e si allontanavano lasciando scoperti i tuoi denti eburnei e tutto a un tratto non mi serviva più nulla. Avevo già tutto quanto. Avevo già te.
Eppure questa volta non riesco a venirti accanto. Ho bisogno di un attimo. Puoi comprenderlo? Ho bisogno di trovare un senso alla mia fortuna, di trovarti un difetto che ti renda più reale. Perché sei bellissima, assolutamente perfetta ai miei occhi. Ed io, così insignificante, non ti merito. Così resto qui, a qualche passo da te e ti accarezzo col mio sguardo, alla ricerca del particolare che rompa la tua perfetta simmetria. Ma non riesco a trovarlo, forse davvero non c’è e tu davvero ti stancherai della mia sicura imperfezione.
Uno sbuffo di vento, anzi piuttosto un alito, non me ne rendo neanche conto. Non te ne rendi conto nemmeno tu, sei ancora lì ferma che stai per spazientirti. Ti guardo meglio, un’ultima volta. Incredibile. Prima non c’era e ora c’è. Un singolo, unico, capello che prima era con gli altri al suo posto, d’improvviso ha scelto di ricollocarsi. Ora è quasi al centro ma ti passa di traverso sul tuo naso terminando sull’angolo destro della bocca. È un’inezia, una stupida asimmetria ma mi fa contento. Stupidamente felice. E tu mi guardi con aria interrogativa. Io sorrido. Tu mi osservi ancora un po’, scuoti la testa, butti via tutte le maschere precedenti e sorridi anche tu. Ti raggiungo, conquisto la tua mano e ti guido lungo la strada.
Non so se è stato il vento o qualcun altro a vincere le mie apprensioni ma adesso so che ti sentirò ancora ridere e, che ancora per molto, ti sarò accanto.”
Sembra così strano rivederti qui, lei vorrebbe dirlo, ma la voce le muore in gola, come un rivolo, strozzato. Quanto ti ho amato. Quante notti della giovinezza, abbracciando il cuscino ho desiderato d’averti, di vedere le tue mani, così come toccano il volante. Come vorrei toccassero me, la mia anima. Ma è passato troppo, tutto scorre, tutto volge rapido. Dov’è lei? Stasera sembra non esserci con noi. Kill me softly. Un velo malinconico incupisce la meraviglia del rivedersi, lui accosta garbatamente, con quell’erotismo gentile, sembra innamorare anche la strada gelida. A quell’ondata scura, lei stringe la camicetta nei pugni, fa per guardare un po’ dal finestrino, lui mette a folle, si ferma decisamente, guarda lo specchietto retrovisore e sottovoce: “Mi sposo il quindici del prossimo mese, nella chiesa del mio paese, quella che anche tu conosci, volevo dirti addio, questa volta, davvero, per sempre.” Lei in fondo, s’aspettava quest’ultima mossa, l’ultimo scacco, il re che attacca la regina, l’asimmetria dei suoi pensieri con la realtà, il regno dei desideri che non coincide con quello della strada, era già passato troppo, tutto scorre e volge, rapido e anche un rivedersi termina con un addio.
