Raccontiaquattromani/11

Stellamadre


Ho scelto questo angolo di cielo per nascere. Una volta strappata la volta celeste – così veniamo al mondo noi stelle – la vista era magnifica.
Non c’erano ancora molte compagne, ma i vortici di materia brillante che di lì a poco le avrebbero generate erano splendidi, nel loro avvolgersi silenzioso. Mi affascinavano di più i vuoti, però: di un nero concreto, irresistibilmente attraente; li vedevo come un porto sicuro. Pozzi d’inchiostro, avrei pensato, se invece di stella fossi stata bambina, a guardare stregata il calamaio innestato nel banco, col sogno di intingervi il dito.
Mi è piaciuto, dopo, danzare in rivoluzioni e rotazioni, sentire il rumore del cielo, e incendiarmi, voltandomi a guardare gli scampoli di fuoco che lasciavo dietro di me, a spegnersi lontano: mi divertivo assai a vederli esaurire la spinta, esitare, fermarsi e mettersi a ruotare. Raffreddavano, ciascuno a suo tempo e a suo modo, prendendo colori diversi. Fossi stata bambina – più grande, adesso – e non stella, avrei pensato che fossero fatti delle stoffe ruvide o vaporose, granulose o finissime, che esplodevano di vermiglio o di cobalto, di pervinca o di turchese leggero sul telaio di mia madre, quando lavorava accanto a mio padre, maestro di colori.
E vorrei esserlo, la bimba dell’inchiostro, per usarlo e dire con quello del più bello dei frammenti, che si è intiepidito lentamente, crepandosi tutto in valli e montagne e ha mischiato atomi semplici, a far liquido e a fare il cielo azzurro come altri cieli non sono. Come una madre, l’ho allevato, quel pezzo di me, l’ho scaldato piano, illuminato. Giocava, splendendo di ghiaccio, poi ostentando orgoglioso la chioma verde, l’elmo di un guerriero. Correva, quasi ruzzolasse da una pietraia, a sbucciarsi le ginocchia, imprudente, a cercare un destino diverso dagli altri. E infatti: presto divenne folle di esseri microscopici e laboriosi.
Non fossi stella, direi ciò che oggi m’inquieta. Il tempo è passato, e tanto; invece del soffio del fuoco avverto ora, profondo, un brontolio sordo, un turgore che cresce. So cos’è, ma a chi dirlo? So che marcio da un tempo che sembra infinito verso il momento in cui la fornace che mi anima finirà di ardere tutto.
E’ oggi, il giorno. Se non fossi stella, ma la bambina dell’inchiostro e delle stoffe, e la donna che ha allevato le sue creature, la mia fine sarebbe semplice, anche se dolorosa. Mancherei al mondo, forse. Ma sono stella, e sarà il mondo a mancare a me.
Resterò taciturna e pesantissima in questo angolo di cielo a raffreddare anch’io, dopo avere avvolto di fuoco e fatto svanire in un attimo il corteo di piccoli compagni che m’hanno girato attorno per tanto tempo. Senza mai avvicinarci, quasi fossimo timidi innamorati; paghi, loro, di vedere i miei lunghi capelli di luce sciolti nel cielo, e io di osservarli nei loro giochi cangianti.

Raccontiaquattromani/10

Con gli occhi spalancati

Sillabavo quelle parole. Sillabavo “malattia” e “morte”. Ma-lat-tia, mor-te, e poi di nuovo e di nuovo: ma-lat-tia, mor-te. Contavo le lettere, le volevo imparare a memoria, sentire il loro suono, capirle finalmente quelle stronze di parole. Le volevo sciogliere tra le labbra, nasconderle, farle morire anche loro.
Pensavo a quelle parole ma l’unica parola che avevo in mente davvero era Amore. L’unica che volevo sillabare urlare ingoiare era amore.
A-mo-re, a-mo-re, a-mo-re. L’unica cosa che avevo in mente, mentre lei era ancora davanti a me, con gli occhi spalancati e stesa su quel letto dove avevo consumato l’infamia più grande e ti avevo amata tramite il suo corpo, eri tu. Avevo lei lì davanti, morta e stesa sul nostro letto e mentre piangevo per lei e per la nostra vita in frantumi, e per chi eravamo stati, l’unica cosa che volevo eri tu!
Lui la guardò con ansia come a cercare conferma al suo impeto. Lei era silenziosa ma attenta, lo capiva da come si toccava le mani e si rigirava l’anello con la pietra turchese, quello che lui le aveva comprato un giorno, e lui si sentì incoraggiato a proseguire.
Sei tu l’unica cosa che ho in mente da sempre. Tu quella che ho cercato in ogni donna che ho incontrato in questi anni, tu l’unica che sa chi sono e non ne prova disgusto. Solo con te posso essere chi non ho mai potuto e solo tu mi permetti di dilatarmi e di confluire in te.
Questi anni sono stati un macigno al collo ma non potevamo distruggere le nostre famiglie e derubare i nostri figli dei sacri valori in cui non crede più nessuno. Ma ora che lei non c’è più, niente ci terrà lontani. Vieni qui e abbracciami. Non posso attendere oltre. Non possiamo permetterci di sprecare altri minuti regalandoli al tempo che è sempre pronto a derubarci delle persone e dei momenti.
Rendi vero tutto ciò che ho desiderato in questi anni. Rendi vero l’uomo che posso essere.
Fai di me e di te quel noi che dobbiamo diventare.
Lascia tutto ciò che sei, annienta il me che sono stato finora e lasciati amare finalmente.
E amami, finalmente.
Lei alzò gli occhi solo a questo punto, proprio come se stesse leggendo un libro e, finita una pagina, si preparasse a voltare per proseguire la lettura. Si alzò in piedi e lo fissò.
Ma perché gli uomini sono così cattivi? Ho letto queste parole in un libro, non chiedermi il titolo, non me lo ricordo più, quello che so è che mi scorrono continuamente davanti come in un display.
Sostieni che mi ami e non ti accorgi che lentamente mi hai ucciso. Hai ucciso la donna che ero, quella che con fatica e sacrificio e rabbia, sì, tanta rabbia, ho costruito in questi anni.
Continui a ripetere che l’unica parola che avevi in mente davvero era Amore, ma io credo che tu non conosca il vero significato di quella parola.
Pensi che corrisponda a questa sorta di ossessione che ci ha resi ciechi facendoci precipitare in un abisso senza via d’uscita, senza speranza?
Qualcuno ha detto che solo chi diventa cieco, solo chi si muove ad occhi chiusi, riesce veramente a vedere. Un tempo anch’io ci credevo. Ora non più.
Se chiudo gli occhi non è la verità quella che mi compare davanti ma l’inganno, l’inganno delle tue labbra che sussurrano incantesimi alle mie orecchie che credevo sorde, per poi scivolare esperte lungo il mio corpo che brucia e rabbrividisce in balia di queste avide esploratrici, l’inganno delle tue mani così furiose quando prendono i miei fianchi e delicate mentre giocano con i miei seni, delle tue dita che seguono linee invisibili tracciate sulla pelle fino a frugare dentro me alla ricerca di quell’essenza miracolosa che tu credi ti possa ancora salvare. La tua voracità insaziabile goccia dopo goccia mi ha svuotato l’anima.
Pensi davvero che tutto questo sia l’amore, l’amore che redime, che salva, che lenisce ogni dolore?
No, non sto rinnegando quello che c’è stato tra noi. Avevo bisogno di te come tu di me.
A volte vittima, a volte carnefice: la nostra è stata una recita con ruoli intercambiabili.
A forza di nutrirci l’uno dell’altra eravamo diventati identici: un solo essere, una sola anima. E’ stato allora che ho aperto gli occhi e mi sono spaventata. Come potevo amarti, annullandomi completamente? Non ero più io, e questo non potevo accettarlo.
In realtà, non era di me che tu avevi bisogno ma di un sogno d’amore che ti potesse salvare.
Il mondo che ci siamo inventati tu ed io è un mondo che non esiste, un mondo costruito con fili di fumo: è bastato un alito di vento e ci siamo ritrovati allo scoperto con indosso soltanto le nostre miserie.
Ma adesso tutto è chiaro e all’improvviso è così squallido. Cerchiamo di essere sinceri, almeno ora che lei è morta. L’abbiamo uccisa noi, l’hai uccisa tu giorno dopo giorno con la tua indifferenza costringendola a diventare invisibile mentre ascoltava le tue parole false e ironiche cariche di disprezzo. Sentiva la tua repulsione ogni volta che la sfioravi solo per dovere coniugale. Tremo al pensiero di come dovesse sentirsi umiliata e sola. Prima non mi preoccupavo del suo dolore, per me era come se non esistesse. Ma ora che è morta, ora che non c’è più, provo per lei una grande e dolorosa compassione. Chiamala come vuoi: solidarietà, rispetto, ma ora non posso più ignorarla e se da viva non era per me un ostacolo, accecata com’ero dalla passione, ora so che non potrò più tradirla.
Ora so che non possiamo stare insieme. Ora so che è tutto finito. Tra noi niente può più esistere. Noi non ci siamo più, capisci? “Noi” non è mai esistito davvero. Era solo frutto del tuo egoismo, del tuo volermi come fossi un prolungamento di te, del tuo essere.
Perciò me ne vado. Con gli occhi spalancati

allora

Allora, sono arrivati 14 racconti.
9 li ho postati, il decimo lo posto dopo questo.
per la verità ne sono arrivati di più, ma c’è stata qualche defezione concordata; e io ringrazio chi si è tirato indietro, per var motivi.
comunque.
chi ha partecipato (ripeto: anche solo partecipato), alla fine, mi indicherà i sei racconti migliori.
voteremo anche io, monia e criscia (che, ricordo, insieme a me leggono).
e poi procederemo con un e-book.