Si svegliò e, aprendo gli occhi, c choncluse che – a volte capita, no? – non ricordava che giorno fosse.
Si alzò, si sentì strano, sentiva che c’era qualcosa di strano attorno a lui, o forse no, non attorno.
Mentre scostava la tenda per guardare che tempo faceva – ed era un tempo che “non faceva” – poteva essere primavera, autunno, ma anche inverno mite o estate uggiosa…, occristo, esclamò: Ma che mese è?, (no,m questo no: non capita), e poi, poi, fastidiosa come una puttana di una zanzara, sentì l’eco di una canzone nota
che giorno è, che anno è, questo è il tempo di vivere con te…
Occristo, disse e pensò, Ma, ma… Io come cazzo mi chiamooooo???
Quell’urlo arrivò perché, mentre si stava rendendo conto d’aver perso la memoria (aveva voglia di caffè; sì, ma questa caffettiera elettrica come funziona? e lo zucchero dov’è? ma io lo prendo dolce o amaro il caffè?), fu sfiorato – percezione o realtà – da un’ombra furtiva ai suoi piedi, che gli aveva provocato una scarica di battiti cardiaci per lo spavento: era una cosa vera. era un gatto, era solo un gatto, ma – e gli venne da piangere – lui non ricordava di averne uno… era maschio?, femmina?, era….?
Ma io sono sposato?, che lavoro faccio?
Che giorno è, che anno è, questo è il tempo di vivere con te…
Vaffanculo Battisti…
Evviva: aveva ricordato qualcosa.
Mogol, Battisti…
Senza pensare qualcosa arrivava.
Più si sforzava di ricordare e più calava il sipario: su tutto.
Chiuse gli occhi, disse, Sto sognando. Li riaprì, stropicciandoli, e poi si diede un pizzicotto forte, da livido, Ahi, cazzo, cazzo, cazzo, e pianse.
Pianse mentre dalla cucina tornava in camera da letto…
Ora il gatto non gli faceva paura, piuttosto: lo infastidiva con i suoi continui miagolii, Aspetta, cazzo.
Guardò il letto: matrimoniale.
Ho una moglie, disse.
Il lato del letto della moglie però non era disfatto come il lato suo, sicché aprì i comodini: nel suo trovò una rivista pornografica, dei preservativi, gocce per il naso, aspirina, fazzoletti per il naso, un Tex Willer datato 2003. Nell’altro – quello di sua moglie – trovò il niente.
Mi ha lasciato, pensò, sedendosi sul letto.
E si sentì abbandonato, triste, sebbene quella parola, moglie, non fosse abbinabile a un volto, un ricordo, un nome, un amore.
Poi, si domandò, Ma come mi chiamo?, avrò un documento in casa….
Corse in bagno: gli scappava la pipì, forte, l’aveva trattenuta, e mentre la faceva si girò a guardare il proprio viso, dal momento che lo specchio era alle sua spalle.
Ho i baffi, pensò, Cazzo, urlò, e mentre urlò non badò al fatto che stava pisciando fuori dal vaso, Ma come mi chiamo, chi sono ioooooooooo??? disse incurante del fatto che si era bagnato di piscio mutande e pigiama.
Vide una foto appesa al muro, in corridoio.
Due vecchi e un ragazzo giovane: Ero io da giovane, ho un fratello?
Chi sono?
Quanti anni ho?
Sono sano?
Mentre si toccava le parti intime e la pancia pensò: non devo essere…
Tornò in camera da letto, si denudò e si guardò allo specchio.
Vedeva un corpo, ma non sapeva di chi fossero quelle gambe secche, quei peli sul petto, quel pene rifless allo specchio.
Sì, ricordo che a scuola un giorno ce lo siamo misurati in bagno, ma…
ma vedeva solo ombre e ri-sentiva
che anno è che giorno è, questo è il tempo di vivere con te…
Indossò nuovamente il pigiama.
Pensò che non gli piacevano la sua faccia, Non sono bello, la sua casa, Troppo fredda, ma è casa mia?, l’arredamento, il cielo…
Si sedette sul bordo del letto, accese la radio della radiosveglia, ma vide, muondo la manopola, che la sua mano tremava troppo: vide, però, due cose nella sua mano: un anello nuziale, Che mi serve se ho una moglie che non c’è?, e una cicatrice, fresca.
La palpò, faceva male.
Si alzò, si sentiva stanco, la testa pesava.
Se si sforzava non ricordava nulla di nulla, se, ma non era capace, se si lasciava andare al tentativo di non pensare, vedeva ombre di visi, sentiva nomi… quel nome, Battisti, sì, evviva, Lucio Battisti, ora ricordava nome e cognome, era arrivato così…
Esplorò la casa, inciampando. Aprì i cassetti, nervosamente,alla ricerca di foto e di documenti, che non trovava.
Nel piccolo studio, non c’era ancora entrato, vide dei libri: libri per lo più di informatica, un paio di romanzi, ne sfogliò uno senza guardare il titolo, lesse Romanzo per ragazzi, poi, Auguri Mario.
Mi chiamo Mario, pensò.
Ma: E se avessi un figlio che si chiama Mario?
Vide dei volti di bimbo e di donna… chi erano? Immagine che diventarono subito nebba, lontane.
Vide il computer, però: lì, per lui.
Lo accese.
Mentre lo accendeva si accese anche una sigaretta e mentre si accendeva la sigaretta (sulo pacchetto lesse Merit, Il fumo uccide; il pacchetto era sulla scrivania dello studio), pensando insomma che lui era un fumatore, senza rendersene conto vide – ma ma lo vide dieci secondi dopo – che aveva avuto accesso al desktop digitando una password: Annamaria1967.
Sarà mia moglie, disse fumando e tossendo.
Il computer davanti.
Un ricordo preciso (come Lucio Battisti).
Google.
Scrisse, tremando, Chi sono?
Il gatto, ai suoi piedi, miagolava.