la vita è un plotone d’esecuzione

Leggo, guardo il mare, penso.
Ho abbracciato Anna il 2 agosto, le ho detto, Ci vediamo a settembre.
Mi ha fatto un cenno col capo, come a dire No.
Sapeva.
Ho un debito con lei: mi ha regalato il suo tempo, che sapeva essere prezioso perché poco.
Finché sarò viva sarò al suo fianco…
Non è bello non riuscire a saldare i propri debiti.
Bene, male, così così.
Si dice che la vita continua e la vita, infatti, continua.
Nel mio primo libro, Il quaderno delle voci rubate, il protagonista fa il gioco del “come va?”. Nel suo quaderno scrive le risposte furbe (che sente dire dai clienti del bar di cui è titolare) a questa domanda.
Non ne trova.
Anche nell’ultimo mio libro, La donna che parlava con i morti, la protagonista Anna Antichi dice che comunque, Come va?, è comunque una domanda stupida, ché bene, per tutti, non va mai.
C’è sempre, da qualche parte, un bimbo che piange.
Ha questo connotato crudele la vita: di cui forse bisogna sorridere.
La vita, prima o poi, è un plotone di esecuzione. C’è chi riesce a schernirlo,  a ridergli in faccia proprio quando fa fuoco, bisognerebbe.

(post fatto in spiaggia, sembra che la chiavetta telecom prenda solo qui, dove sono ora. e ora sono a rischio sabbia sul pc; meglio che riprenda a guardare il mare)

12 pensieri su “la vita è un plotone d’esecuzione

  1. ieri a quest’ora ero in salento, oggi sono sotto il sole (cocente) della Toscana (Cortona); stasera sarà di nuovo pianura padana.
    buone cose a tutti

  2. Ammesso, e non concesso, che la vita sia pure un plotone d’esecuzione,

    dicci tu, o Remo, scopo magari consolatorio,
    che si vede di bello colaggiù,
    che si mangia e si beve di bono,
    e come compito ci parlerai ampliamente del barocco leccese….:-))

  3. bellissimo “La vita, prima o poi, è un plotone di esecuzione. C’è chi riesce a schernirlo, a ridergli in faccia proprio quando fa fuoco, bisognerebbe”

  4. mi correggo, non posso cancellare : è raro che cose del genere mi facciano andare in bestia ( il ritardo dei treni e gli imprevisti che punteggiano l’esistenza e che un tempo mi facevano soffrire)

    Hai narrato uno dei pochi dolori “veri”, al cospetto dei quali la vita si prende con “filosofia”. Le perdite restano buchi neri nella nostra storia personale, purtroppo, strappi… che nessuno ricucirà.

    La vita è una malattia mortale. Nessuno le sopravvive.

  5. “Come va?” è un saluto che non prevede risposta. Diversamente sarebbe…istigazione a raccontare guai.
    “Come va?” resta lì. Rispondiamo “bene”, o “abbastanza bene” o “potrebbe andar meglio”.
    Nessuno ce lo dice se ci vede le lacrime agli occhi. Sa già che non c’è il distacco necessario per considerarlo un saluto. La vita è incerta. Mercoledì ero in giro, in Liguria. Ho accumulato ritardi nei treni di circa 1 h e 50′. Un’enormità, per un tratto piuttosto breve, 350 km tra andata e ritorno, al massimo.
    In passato mi sarei incazzata. Ora, è raro che siano cose del genere mi facciano andare in bestia. Soffro soltanto davanti all’ineluttabile, all’irreversibile, al male fisico e psichico.
    Il resto, è un nulla ben modulato di illusioni e contrattempi.

  6. Vivo da anni con il pensiero che domani potrebbe non arrivare. Lo faccio dopo aver visto mio padre consumarsi come una candela per sette mesi in un reparto di oncologia. Mio padre era una roccia salda, era quello che non era mai stato male. Era il mio papà. Quando è andato mi sono resa conto (non ero giovanissima, ma è stato comunque un brutto risveglio) che ogni giorno è buono per sparire e lasciare soli coloro che sentiranno la nostra mancanza. Ho imparato a conviverci col plotone d’esecuzione.
    Un abbraccio Remo e… pensa alla vita che arriva, quella che se n’è andata resterà vivida nel tuo ricordo.
    Laura

  7. siamo tutti davanti al plotone… c’è chi si aspetta la raffica, ecco. Questa è la differenza.
    Intanto guardare il mare, riempirsi gli occhi e l’anima di vita e bellezza, ché forse è tutto quello che ci collega ancora, ciascuno a tutti, al Tutto.
    ciao
    cri

  8. «Diego non conosceva il mare. Suo padre, Santiago Kovadloff, lo condusse a scoprirlo.
    Se ne andarono al sud.
    Il mare stava al di là delle alte dune, in attesa.
    Quando padre e figlio, dopo un lungo cammino, raggiunsero finalmente quei culmini di sabbia, il mare esplose davanti ai loro occhi. E fu tanta l’immensità del mare, e tanto il suo fulgore, che il bimbo restò muto di bellezza.
    E quando alla fine riuscì a parlare, tremando, balbettando, chiese a suo padre:
    – Aiutami a guardare!»
    (Eduardo Galeano, Il libro degli abbracci.)

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