la scrittura più vera?
quella del “qui e ora”.
Insomma: dove sono e cosa faccio e se non faccio cosa mi passa per il cervello.
Tante cose passano, vanno di fretta, veloci veloci veloci, faccio fatica a fermarne una.
Certo: potrei raccontare quello che ho pensato dieci minuti fa. No, non vale: qui e ora.
Allora penso al mio giornale. Stampato.
Domani nelle 12500 copie stampate c’è – prima pagina – un mio articolo, che è la seconda puntata di un altro articolo, già uscito giorni fa.
Ho detto cose spiacevoli giorni fa le ho ridette, riscritte oggi.
Vediamo domani. Telefonate, lettere di protesta, lettere di solidarietà.
Piccole cose di una città di provincia, un centesimo d’Italia.
Ma in questa città se dicon qualcosa i direttori del Corriere della Sera o di Repubblica nessuno se ne accorge, se dico io è diverso.
La gente che prende il mio giornale – non tutti certo ma tanti – mi credono.
Mi credono quando scrivo che dirigo il giornale a modo mio e che se questo non dovesse avvenire io me ne andrei.
Mi credono hanno visto che, più o meno, mi hanno attaccato tutte le forze politiche: ché certe cose a nessun politico piacciono.
E mi credono perché quando sbaglio chiedo scusa.
E mi credono perché sanno che sono a scadenza: dirigo il giornale ma ogni mese che passa dico, Ho resistito un altro mese, miracolo.
Ma succederà, lo sento, che arriverà il grande attacco.
Ne vissi già uno nel 1991.
Degli anonimi confezionarono un dossier su di me.
Fu il periodo peggiore della mia vita. Rimpiansi di non essere ancora un operaio, un portiere di notte che di notte incontrava carabinieri e puttane e intanto studiava Machiavelli, Guicciardini, ascoltava jazz, e Lola, quando arrivava, guardando i libri che avevo appresso mi diceva Certo che sei proprio strano.
Come a dire: guardi loro e non me?
Ecco nel 1991 non so cosa avrei dato per lavorare ancora di notte in albergo, che poi notte non era mica: iniziavo alle 18 e 30 minuti della sera e tornavo a casa alle 9 del mattino: 14 ore e mezzo, che però passavano veloci veloci veloci, come i pensieri, cinque minuti fa.
1991, allora. Attacco il potere.
La pago.
C’è un dossier su di me. Hanno preso cose vere mescolandole con falsità.
Per esempio: han saputo che ci fu un furto anni prima, dove lavoravo. Han ricostruito: ero il palo di una banda.
Non mi restava che cercare di difendermi. Cercare chi aveva saputo del furto, chiedere solidarietà, testimonianze. Ricostruire.
Imparai una cosa.
Che quando sei nella merda assoluta, anzi no, che quando sei minacciato da qualcuno che fa paura a tutti gli amici che credevi amici si rivelano dei vigliacchi.
E quelli che ritenevi dei gran pezzi di merda, invece, si schierano dalla tua parte.
E qualcuno che ti dà una mano, cazzo, è pure fascista, oppure puzza, o è uno che…
Ma ti senti amaro amaro amaro dentro: hai letto la paura negli sguardi di chi pensavi amico, fratello.
Fu una grande lezione di vita, insomma.
E forse fu da allora che diventai anarco disfattista.
Come finì.
Bene per me.
Stava per scoppiare tangentopoli, al mio fianco mi ritrovai nientepopodimeno che Marco Travaglio, che allora era un illustre sconosciuto, mio ex compagno di università ma anche inviato del Giornale di Montanelli.
Certo, era dalla mia parte lui. Con altri.
Però successe questo.
Avevo attaccato il Potere, ho detto prima, e il Potere un giorno mi telefona e mi dice: Devo parlarti, ti prego.
Come?, penso, prima mi scanni con quel dossier e poi mi dici Ti prego?
Mi rivedo nella stanza del Potere.
Il Potere mi guarda. Mi dice: Hanno fatto una porcata, io non c’entro.
Poi mi fa anche un complimento il Potere: Tu sei uno dei pochi che non mi ha mai chiesto un favore.
(Ripenso ai miei amici…).
Poi esco. Il Potere mi ha spiegato. I suoi servi, pur di farsi belli, volevano fargli un regalo: Un falso dossier.
Lui però disse, No grazie.
E ora mi fermo, che ho scritto troppo.
Dico solo – pubblicità – che qualcosa, di quell’esperienza, ne scrissi ne Lo scommettitore; aggiungo adesso che, sempre di quell’esperienza, ora ne ho scritto ancora, arricchendola, con il noir Bastardo posto, che esce in primavera
Ho fatto una certa fatica a scrivere questo post, sgorgato così, all’improvviso, come acqua che cola da un tubo che perde.
E ho fatto fatica a scrivere Bastardo posto.
A volte scrivere fa anche male.
(E questo post, che ha raccontato in diretta quel che ho pensato, mi è venuto in mente oggi quando mi son detto, Ci risiamo. Qualche servo dei servi di un qualche potere sta preparando un attacco).