Dimentico spesso il cellulare a casa, il mattino, così poi, mentre vado a lavorare, son costretto a fare retromarcia. Almeno una volta a settimana.
Una volta, dopo aver bevuto un aperitivo, faceva un caldo boia, me ne andai senza pagare, e la cameriera mi inseguì (ero giustificato però: stavo leggendo l’sm di una mia amica che diceva: Domani vengo sola, Lui mi ha lasciato, si è innamorato di una psicologa in chat)
due volte, solo due volte, mi è successo di cercare disperatamente gli occhiali che erano… ai miei occhi.
persi il floppy, forse in una birreria, del libro Dicono di Clelia; fortuna che avevo un’altra copia (poi, era su star office, quindi chi l’ha trovato mi sa tanto che non è riuscito nemmeno ad aprire il file).
quando scrissi Dicono di Clelia dimenticavo di mangiare, a volte, e questo era bene.
quando scrissi La donna che parlava con i morti dimenticai (o forse no) che non si mangia alle 4 di notte, e questo non era bene.
ho perso un assegno, nel casino della mia scrivania, in ufficio. Lo sto ancora cercando, da sette, otto mesi. Temo che sia finito in qualche cassonetto.
e dimentico le chiavi di casa mia: le lascio appese alla serratura, così evito eventuali scassi in caso di eventuali furti.
(quache mese fa, mi telefona mio padre, e mi dice: Va bene che sei incasinato e che hai tanto da fare, ma sei uscito di casa e hai lasciato la porta spalancata).
quando ero caporedattore dovevo chiudere le pagine di Vercelli. Una sera, prima di mandare il giornale in tipografia, ci accorgemmo che le pagine del giornale anziché 48 erano 47: avevo dimenticato di farne una.
Mi avrebbero ucciso, gli altri.
però compensai: due, tre mesi dopo, al momento di spedire le 48 pagine ci accorgiamo che sono 49; ne avevo fatta una in più.
Risero, gli altri.
la più grossa, però, è questa. Una volta ho fatto il prelievo al bankomat, 300 euro (e il bankomat della Popolare di Milano è nella seconda piazza di Vercelli). Faccio tutto, ma dimentico una cosa: i soldi. Me ne accordo la sera. Il giorno dopo – botta di culo – vado in banca, controllano, e vedono che il bankomat ha risucchiato le banconote prché nessuno era passato di lì (il santo dei disordinati che santo è?).
poi una dimenticanza classica, di chi dimentica tutto. Avrò avuto trent’anni (le altre elencate sono recenti), ero solo in casa. Mi telefonano dall’asilo di mia figlia (che è nata quando io avevo 22 anni e mezzo): Si è dimenticato di venire a prendere sua figlia.
quando avevo 26 anni – tanto per restare al passato – mi operarono ai calcoli alla cistifellea. Avevo un amico infermiere. La notte pima dell’operazione ci dimenticammo che dovevo stare senza cibo (o forse no, non è che ci dimenticammo veramente), e ci facemmo un bel piatto di pastasciutta. L’intervento è riuscito bene.
dimentico le password, così poi le scrivo da qualche parte, ma dimentico dove si trova “da qualche parte”.
a volte faccio la doccia senza avere biancheria o pigiama e senza l’asciugumano (perché quando lo metto a lavare penso, Tanto c’è tempo per metterne uno pulito). Quando la doccia è finita, dal momento che la faccio sempre di notte, poi son cazzi.
di sicuro ne ho dimenticate un po’, ecco.
(a natale ho dimenticato di fare gli auguri ad alcune persone, due in particolare, a cui dovevo farli; mi spiace).
(e poi ci sono le dimenticanze classiche, che condivido con tanti: come non trovare la macchina parcheggiata chissà dove).
E infine.
Avevo sei anni, facevo prima elementare e andavo al doposcuola: triste, per i più poveri. I figli di operai venuti del sud, i ragazzi del’ospizio, quelli dei quartieri poveri peveri (col cazzo che erano i favolosi anni Sessanta, scusate).
Un giorno succede che mi rubano una biro, o che la dimentico.
A Casa.
– Mamma ho perso la biro.
– Tieni i soldi.
Il giorno dopo riperdo la biro.
– Mamma, ho perso la biro.
– Ancora, tieni ti do i soldi ma fai attenzione.
Il giorno dopo ancora.
– Mamma ho…
– Hai perso la biro? Allora, io ti do i soldi ma se domani la perdi ancora non farti vedere.
Il giorno dopo non mi feci vedere. Avevo perso per la quarta volta consecutiva una biro. Mi trovarono verso le 10 di sera. Rivedo mia madre, che non piange mai, con gli occhi rossi, che mi abbraccia.
Si arrese.