… raccontami una storia, e scrivila: sì, ma con quali parole?
e poi.
… raccontati una storia, e va bene, ma poi questa storia, come andrà avanti? lo vedi tu, un finale? che ne sarà di e di e di?
…. raccontati una storia e poi, poi di questa cosa qui che forse diventerà un manoscritto tu che ne farai? penserai mica di essere diventato uno scrittore? son sogni da ragazzo, quello, non illuderti.
erano, queste, alcune domande che mi ponevo scrivendo Il quaderno delle voci rubate.
facevo altre cose, intanto.
leggevo altri libri e, leggendo, scattava sempre il raffronto.
mi sentivo perdente quando (ri)leggevo Il quartiere di Vasco Pratolini, o Il piano infinito della Allende, o una pagina qualsiasi di Scott Fitzgerald (un maestro, insieme a Calvino, nei dosaggi: il cosa dire e il cosa non dire al lettore… perché la vera arte, dopo aver scritto, è tagliare).
mi sentivo vincente rispetto ad altri libri. di autori contemporanei, giovani per lo più.
ma, dipendeva dai giorni.
ci siete passati tutti, credo.
a un certo punto è indispensabile il giudizio degli altri; e così, si comincia con gli amici, i colleghi, eccetera.
ho imparato due grandi lezioni dopo aver scritto Il quaderno delle voci rubate.
La prima: ad ascoltare tutti e a non ascoltar nessuno (e ho imparato anche, che è stupido fare quello che facevo io: scrivere in gran segreto, senza dirlo a nessuno; tanto poi arriverà il momento che quello che scrivi sarà messo in piazza).
La seconda: a diffidare soprattuto degli scrittori o degli aspiranti scrittori.
son più le meschinerie che le generosità.
e poi.
vivere in provincia, poi, ti fa sentire ancora di più isolato. soprattutto se non vai mai alle presentazioni, ai salotti.capisci una cosa: che se fai parte di un gruppo hai più possibilità.
non li ho mai sopportati, io, i gruppi.
ed è forse questo l’unico motivo vero che mi ha portato a star lontano anche dalle scuole di scrittura creativa.
allora.
Il quaderno l’avevo scritto, e ogni tanto lo rimaneggiavo.
Nella mia città c’era un corso di scrittura creativa.
Un grande scrittore, un editor.
Un milione allo scrittore, mezzo milione all’editor: a lezione.
Mi venne il voltastomaco, dissi: piuttosto…
(Piuttosto: mi sembra che sia stato generoso Giulio Mozzi che mise in rete, e a disposizione di tutti, gli appunti delle sue lezioni).
Mi fermo, sto andando fuori-post.
Riprendo il primo quesito
… raccontami una storia, e scrivila: sì, ma con quali parole?
Feci una scelta. Precisa.
Da tempo andavo dicendo in giro che, a mio avviso, il bravo scrittore è quello che si fa apprezzare tanto da chi non ha fatto le scuole medie quando da chi ha due lauree in materie umanistiche.
Con Il quaderno delle voci rubate feci così: pensi di raccontarmi una storia che io poi a mia volta avrei raccontato soprattutto ai ragazzi che, magari dopo un diploma o una laurea, avevano lavorato con me in fabbrica.
La fabbrica mi ha condizionato.
Leggete qua.
Da “Come un atomo sulla bilancia” di Luisito Bianchi, Sironi
Un’altra grandiosa scoperta fu che Giovanni mi parlava con un linguaggio che non era il mio ma che io ugualmente comprendevo. Mi rincresce dirlo, ma qui la filosofia non c’entra, in nessuna maniera. Le cose di ogni giorno erano chiamate con il loro nome, come quando Adamo disse: Questo è un cavallo, e fu un cavallo per sempre. Questa è una donna, e fu una donna per sempre. Mi parve che Giovanni mi riportasse alle origini, all’aria frizzante e pura del primo giorno. Hai moglie? Nemmeno io ce l’ho. Vuoi mezza arancia? E mi dava mezza arancia. Sono cose da ridere, lo so. Ma bisogna avere provato, a quarant’anni, per la prima volta, la familiarità dei termini semplici…
grande lezione, per me, quella di Don Luisito:
di umanità, di semplicità, di ascolto di sè e del mondo, partecipazione e impegno civile.
così grande (la lezione) che si impara il silenzio.
“giuste”(?) parole,
ognuno ha un suo pubblico,
una fetta di lettori proporzionale al linguaggio che usa,
alle storie che conta,
ed alla pubblicità mediatica,
ed altro ancora
MarioB.
alessandro, perché mi fai domande che non c’entrano una cippa con il post?
enrico, le parole giuste sono “il problema”, da sempre.
consolo dice (disse) che la scrittura è influenzata dalla comunicazione, da televisione, internet, cellulari, insomma, e che quindi non è più letteratura.
penso che consolo, dal suo punto di vista, avesse ragione.
però m’interrogo, io, su questo.
per me letteratura è (anche) impegno: che si traduce nel raccontare l’oggi.
poi si sceglie, quando si scrive.
credo che per farsi capire da tutti non servano belle parole o parole efficaci, ma solo parole “giuste”. credo anche che, poi, ogni storia, ogni romanzo, ogni libro abbiano le loro “giuste” parole. ecco. ma quali sono le parole “giuste”?
:-)
Rilassati che non ti mangio…
Non era mia intenzione tuonare , forse hai l’udito troppo fine …
Se io sostenessi che dopo Dante, Petrarca e Boccaccio non c’è nulla nella nostra letteratura, ti pare che avrei citato Gadda, D’Arrigo,Testori, Meneghello ?
E che mi dici di Calvino? Sei proprio sicuro che sia uno scrittore apprezzabile da chi non ha fatto le scuole medie?
Pensi forse che I Viaggi si Gulliver sia un libro per bambini?
Sicuro sicuro?
Ed essere sicuri sicuri serve in letteratura?
alessandro,
nessuno, mai, ha detto o scritto, almeno qui, che il “mero accadere dei fatti” sia letteratura.
anzi, ho detto il contrario.
anche se, su questo aspetto (da Capote a Saviano) si è molto discusso.
e mi fai venire in mente le lezioni di Marziano Guglielminetti, all’università: dopo Dante, Petrarca e Boccaccio c’è il nulla nella nostra letteratura.
c’è sempre qualcuno che tuona, dall’alto: ma serve?
Gadda, D’Arrigo,Testori, Meneghello
Joyce,T.S.Eliot,Woolf,Proust..
…provate a darli a chi non ha potuto avvicinarli per gradi; Questa discriminante del “bravo scrittore” che tutti possono apprezzare è veramente il ghetto della scrittura.
In letteratura la forma del racconto è il racconto, non il nudo accadere dei fatti, altrimenti basterebbe il citofono…
Smettete per favore di fare i buoni: certi vini non si FANNO per il palato di chi non ha gusti.
Ciao Remo! Mi piace leggere questi post dove racconti la gestazione e la creazione del tuo primo libro. E’ un po’ come vedere il dietro le quinte di un palcoscenico! ^__^
@rosatiziana,
la vita in fabbrica è la vita in fabbrica, così come la vita d un insegnante è a vita in una scuola, così come, oggi, la mia vita è tra un giornale e libri.
io della fabbrica ho ricordi belli e meno belli.
svegliasi al mattino alle 5 ed essere accolti da un capannone di rumori e vapori non è piacevole.
e non è piacevole non riuscire a pulirsi le mani, perché il grasso delle macchine ti è entrato dentro la pelle e oltre, e nemmeno con la polvere lavamani, sfregando, ci si pulisce.
don luisito bianchi dice: quando un intellettuale è in crisi e ha bisogno di idee faccia una cosa: vada in fabbrica.
(la quarta di copertina di Come un atomo sulla bilancia è tutta da leggere.
banalizzo. un prete che si stupisce nel vedere i gesti di carità cristiana nella vita di fabbrica).
Mah. Mi domando se quella in fabbrica sia davvero “vita” o se invece non ne sia la caricatura o peggio ancora la beffa.
Quanto a diffidare degli scrittori…ehm…diciamo che concordo :-)))
Besitos
La tua vita di fabbrica è uno degli aspetti che preferisco in assoluto, perchè trapela sempre e perchè ne vai fiero.
Tanti si vergognerebbero.
Mi è piaciuto molto il pezzo di luisito bianchi.
Buona notte Remo
Be’ è un grande risultato riuscire a scrivere per chi ha due lauree , ma lo è di più farsi apprezzare da chi ha solo la media inferiore!
Per quanto rigurada i gruppi, non so: sono n po’ scettica; ho paura che si perda tempo a disquisire e poco a scrivere veramente…
“Feci una scelta. Precisa.
Da tempo andavo dicendo in giro che, a mio avviso, il bravo scrittore è quello che si fa apprezzare tanto da chi non ha fatto le scuole medie quando da chi ha due lauree in materie umanistiche”
Quoto, assolutamente.
Diversamente, io sento puzza di bruciato. Sia al cospetto di cose modaiole, scritte appositamente per un pubblico post radical chic perennemente annoiato ( un tempo l’avremmo definito esistenzialista), che mi ha sempre fatto venir voglia di rifilargli calci nel sedere con le scarpe a punta,sia toccando con mano il semplicismo di chi crede che chi abbia una cultura umanistica di base non abbia un buon metro di giudizio. Ce l’ha. Lapidario ed impietoso e getta i fronzoli alle ortiche.
Gruppo?
Ho fatto parte di un gruppo, tanti anni fa. Poeti. Il più vecchio aveva comunque meno di trent’anni.Tra giovani è diverso. C’è ricerca, crescita e tanto gioco. Quando viene meno la dimensione ludica, il gruppo è evidentemente soltanto una stampella di raccomandazioni a ventaglio.
Sempre affascinanti le cose che scrivi, ma, soprattuto, il modo in cui le scrivi.
Concordo appieno su due cose tra tutte:
“la vera arte, dopo aver scritto, è tagliare”
e poi
“il bravo scrittore è quello che si fa apprezzare tanto da chi non ha fatto le scuole medie quando da chi ha due lauree in materie umanistiche”.
Un caro saluto.
Mary