Amazon, le recensioni più belle e quelle più brutte

I miei libri su Amazon. Alcune recensioni dei lettori.

La Suora (Golem)

La più bella (di impressionidilettura)
Remo Bassini, con le sue storie malinconiche, con i suoi personaggi mai del tutto vincenti e mai del tutto sconfitti, non mi delude mai.
Romolo Strozzi, protagonista e voce narrante di questa storia di amori non vissuti e di amori possibili ma meno attraenti della solitudine, è di quelli di cui da lettrice mi innamoro.
Un mistero dai cupi risvolti si svela a poco a poco, senza improbabili effetti speciali da serie americana, con il passo lento delle storie vere, in cui la determinazione e la pazienza, se anche la fortuna collabora un po’, arrivano infine alla verità.
La provincia con le sue atmosfere, le sue malinconie, i conflitti sotterranei, le maldicenze e le prepotenze, non è un fondale, è una dei protagonisti della storia.
La più negativa.
Per ora non c’è. Qualcuno, comunque, ha messo le due stellette nelle opzioni di voto (che vanno da 1 a 5).

La donna di picche (Fanucci)

La più bella (di Susanna Raule, scrittrice)
Premetto di non aver letto il titolo precedente (che ora mi procurerò), ma da questo sono rimasta colpita. Bassini usa gli stilemi del giallo per dar vita a una narrazione avvolgente, avvincente, centrata sui rapporti interpersonali e quasi priva di avvenimenti. Detto così non sembra un pregio, lo capisco, ma lo è. Nel libro, all’apparenza, non succede quasi nulla, se uno si aspetta la trama action e adrenalinica di certi gialli americani. Ma in realtà succedono un sacco di cose, che entrano nel cerchio della narrazione in modo naturale, tenendoti avvinto da una narrazione sempre di parte, che non si allontana mai dai personaggi per permetterci di guardare la storia dall’alto. Ed è così che è la vita, no? Non puoi allontanarti e guardare le cose dall’alto, magari. La donna di picche ti rapisce, ti fa venir voglia di continuare a leggere, scorre via e ti trascina nel flusso. Più vai avanti più hai voglia di entrare nell’universo personale di personaggi umanissimi, dolenti, ma anche pieni di una speranza nel futuro quasi recalcitrante. Davvero molto consigliato.
La più negativa (angela)
Romanzo globalmente accettabile, ma non mi ha coinvolto né la vicenda, né i personaggi.

Forse non morirò di giovedì (Golem)

La più bella (annarita)
Sono tornata volentieri a immergermi in uno scritto di Remo Bassini perché oramai lo segue da alcuni anni e attendo sempre con piacere ogni sua nuova creazione. In questo romanzo facciamo la conoscenza di Antonio Sovesci, direttore con la schiena dritta di un piccolo quotidiano di provincia. Ma questa storia nulla ha di provinciale nel senso più vieto del termine; attraverso gli occhi, le parole e i gesti di Sovesci entriamo nel mondo di un piccolo giornale in cui il temperamento del direttore fa la differenza, la notizia è sempre oggetto di attenta analisi e se degli errori si fanno, con Antonio sono sempre e solo in buonafede. Questa vicenda, che si dipana nell’intreccio tra l’intervista che con una certa ritrosia il direttore concede a una sua ex giornalista e i fatti del giornale, viene sviluppata con mano sicura ed esperta da Remo Bassini, forte della sua esperienza di giornalista, ma soprattutto con abile scavo psicologico dei personaggi, che ci conducono per mano fino all’epilogo della vicenda. C’è tutto un mondo in quella redazione in cui ogni giorno Antonio Sovesci lotta contro i tagli al budget dovuti all’ottusità dell’editore e del suo manipolo di azionisti; un mondo di provincia denso e umorale, in cui ogni componente della redazione viene fuori a tutto tondo con pregi e difetti. C’è amore, c’è sofferenza, c’è onestà, ma ci sono anche calcoli e tradimenti, colpi bassi e fughe. Insomma un bel romanzo sul giornalismo onesto e leale come il direttore Sovesci. Una bella lettura.
La più negativa (giuseppe riccardi)
Il titolo mi è stato consigliato da amici, avevo grandi aspettative ma non ho trovato interessante la storia, trita e ritrita, la scrittura e i salti temporali secondo me fuori tempo. Magari riproverò con un altro lavoro dell’autore.

L’anno che non dimentichi

Quando mi dissero che sarebbe uscito il mio primo libro, quando, anni prima, superai in fabbrica i dodici giorni di prova, quando, anni dopo, fui assunto come redattore al giornale La Sesia e, ancora dopo, quando fui nominato direttore del giornale furono giorni belli, da ricordare, certo, ma non me ne curo troppo. Più o meno ricordo l’anno, la stagione.

Il 1982 lo ricorderò sempre, e qui spiego perché.
Non ce la farai, mi dissero in tanti. Ce la farai, mi disse mia madre.
Fu l’anno della grande scommessa. Mi iscrivo a lettere e se per caso mi bocciano a un esame smetto e lancio il libretto dal finestrino del treno.

Il libretto è nel cassetto dei ricordi, la storia del 1982 è questa qua.

Farinetti, voce regina del giallo

Per me un buon giallista deve anche scrivere bene. Di sicuro scrivono bene De Cataldo, Varesi, Carlotto e altri, famosi e non.
Del compianto Renato Olivieri, di cui ho scritto (vedi il post) giorni fa, piaceva tutto: le storie, l’ambientazione milanese, il personaggio principale (senza nessuna forzatura: un commissario non deve essere necessariamente un comunista o avere problemi) e, sicuramente, anche la scrittura. Elegante e sobria.
C’è un altro giallista contemporaneo che, a mio avviso, ha una scrittura bella tanto e scrive degli ottimi libri: Gianni Farinetti, nato a Bra nel 1953.
S’incontrano le Langhe di Fenoglio, nei libri di Farinetti, e i riflettori, spesso, sono su personaggi gay.
Ecco un’intervista.
https://www.culturagay.it/intervista/195

Da Il ballo degli amanti perduti, Marsilio.

Potrei ucciderlo, pensa con stupore sapendo che lo ha già immaginato – ma come di sfuggita, senza sostare sul pensiero – altre volte in tanti anni. E corregge fra sé: vorrei ucciderlo, vederlo finalmente morto. Guida piano nel traffico delle sette e mezza di sera. Piove e le auto intorno si muovono lentissime in un’esausta coda in uscita dalla città.
Ucciderlo e liberarmene. Impedirgli di nuocere ancora, di continuare a trasformare ciò che tocca in sofferenza, in sporcizia. Intorno a lui tutto diventa laido, grossolano, volgare. È come se fosse venuto al mondo per far del male. Oh, non è il male impersonificato, macché, non c’è niente di grandioso nel suo essere maligno. Uno stupido giullare, un piccolo prepotente, una semplice merda d’uomo. Che spande dolore, smarrimento, desolazione.
Sarei capace a farlo? E perché no, basterebbe tendergli una trappola – inventare come non sarebbe difficile –, attenderlo di notte, sparare un colpo di pistola e guardarlo morire. Potrei farlo, si dice mentre la coda di automobili si dirada, si smembra opaca. Ancora una rotonda, un viale. Palazzi, portici illuminati, insegne, gente intrappolata in altre macchine.
Dove andranno? A casa, a fare le ultime commissioni prima di preparare cena, al cinema, da un amante che li aspetta, lo smemorarsi di una sera passata insieme in questo tedioso inverno. Ah, le braccia degli amanti che si cercano nel buio. La pioggia si fa nevischio e poi neve.
Sta piangendo? Non lo sa o non se ne cura. Sente freddo come fosse una ferita che non si rimargina mai. Imbocca l’autostrada.

Un torneo di basket all’aperto, tra code e smartphone e ancora smartphone

Sabato e domenica la squadra di basket in cui gioca mio figlio ha partecipato a un torneo all’aperto, nella vicina Novara.
C’ero anche io. Chiaro, lo seguo, ma la mia presenza è comunque appartata, quando gioca non urlo mai il suo nome, lui sa che ci sono, e non credo che i ragazzi – sto parlando di dodicenni – con genitori urlanti al seguito ne traggano beneficio.
Ma non è di basket che voglio parlare.
Allora, faceva caldo. Ed era tutta una coda. Coda all’unico bagno (uomini, donne, giovani atleti) per due, trecento persone, code al bar, code per la poche panchine all’ombra.
Per ammazzare il tempo la gente faceva due cose: parlava, ma soprattutto guardava lo smartphone.
Anche io. Leggevo i whatsapp, le mail, stop. Su facebook preferisco trafficare quando sono a casa, con il mac. E instagram lo uso poco. E non si sta male, pensavo sabato e domenica, lontani da facebook, che è una cosa strana, tanto strana.
Mi è venuto in mente il mio professore di storia del teatro Gian Renzo Morteo. Una volta andai a trovarlo in ospedale. Mi disse: Tra i ricoverati c’è un mio vicino di casa, sono quindici anni che ci incontriamo, magari aspettando l’ascensore, e ben che vada ci scambiamo un saluto. Qui ci siamo raccontati di tutto… potenza dell’ospedale.
Anche io ho dei vicini di casa di cui so niente. Nome, cognome, poco altro. Scambio due parole con chi ha il cane, come me. So molto di più di tanti vicini…. di facebook.
Certo, se un giorno facebook sparisse non saprei come rintracciare tutti quelli con cui, da anni, scambio like, saluti, messaggi privati.
Non avrei la loro mail, né il numero di telefono.
Il mondo di facebook già…
Domenica, secondo giorno di gare di basket, ho visto una cosa strana. Una giovane madre, sdraiata sul prato, leggeva un libro.
Un libro, centinaia di smartphone all’opera, tra una partita e l’altra, tra una coda e l’altra.
Rispetto a vent’anni fa siamo più liberi o abbiamo una “protesi” in più? E tra vent’anni?

La scrittura, quella vera

Si può scrivere di tutto, romanzi, racconti, articoli, saggi usando il “mestiere”.

Anni fa, non tanti, ho sentito una persona dire queste parole: Per anni ho fatto l’editore, so cosa vuole il mercato, so cosa vogliono i lettori. Ora scrivo. Per me è stato un gioco da ragazzi pubblicare libri e vendere.

Non ho letto nulla di questa persona. Di libri così’ se ne trovano tanti, oggi, gialli specialmente.

Per me la scrittura è – anche – questa cosa: Dello scrivere oscuro, di Primo Levi.

E’ una ricerca, la scrittura. Un percorrere vicoli o viottoli inesplorati. Bui. Mai esplorati.
Un esempio, il primo che mi è venuto in mente.
Scrivere un diario, ma di una persona che non conosciamo. Forse sappiamo dove vive, ma di lui sappiamo così poco che ci vorranno ore e ore di scrittura per dire di più.

La melodia della risaia vercellese in primavera

Quando terminarono di leggere La suora i miei attuali editori (Golem) si chiesero e mi chiesero come catalogarlo: perché in effetti era un giallo, ma anche no.
Ne La Suora si fondono due storie.
Una ambientata ai nostri giorni, l’altra no. Ecco un paio di estratti.

Primo estratto.

È fredda questa notte di primavera del 1945, ma alla ragazza non importa, altrimenti si abbottonerebbe il cappottino nero, che sua mamma ha rivoltato. Una ragazza così giovane non dovrebbe andare in giro di notte. La guerra è finita, ma è ancora tempo dei regolamenti di conti, di bande di falsi partigiani, di caccia al fascista, al delatore, al fiancheggiatore che ora nega tutto. Per le strade deserte si respirano odio e paure. È tutto diverso ora. La folla che un anno addietro faceva a gara nel cercare di stringere la mano al prefetto massacratore di ebrei e partigiani, adesso applaude il Comitato di liberazione nazionale. Viva i partigiani, viva i garibaldini: ciak si gira un nuovo film.
La ragazza, ora, cammina radente al muro, c’è solo lei che si sta aggirando sotto i portici della piazza, deve stare attenta. Non dovrebbe essere lì, lo sa bene. Lo ripetono ogni giorno, con l’altoparlante.
«Per disposizione del Comando Militare Alleato il coprifuoco ha inizio alle ore 23 e avrà termine alle ore 5. Per circolare durante il coprifuoco occorre un permesso rilasciato dal Questore. Fanno eccezione le pattuglie di partigiani e quelle della Polizia.»
Se la fermeranno si inventerà qualcosa, non ha paura di loro. È angustiata da altro. Dicono tutti che lui è morto, ma lei non si vuole arrendere perché sente che non è vero. È appena stata dove c’era l’altalena, è lì che si sono conosciuti, è uno dei loro posti segreti. «Camilla, non dirlo a nessuno che te la facevi con quello là» le ha detto sua madre, ma non c’è stato verso: continuerà a cercarlo di giorno e di notte.

Secondo estratto.

Tua mamma si è alzata. È una notte d’inverno, fa freddo, copre le spalle di tuo papà che sta dormendo girato su un fianco, si alza, indossa la vestaglia blu e, senza accendere la luce, si avvicina al tuo lettino per accarezzarti i piedini, appena appena. Poi infila il suo mignolo destro nella manina sinistra che tu hai portato alla fronte. La manina – sembra una magia – si chiude.
«Domani ci sarà una grande festa, tutta per te…» sussurra.
Domani è il tuo secondo compleanno. Alla festa ci sarà anche nonna Margherita, che sta dormendo di sopra, e ci saranno il giardiniere con sua moglie, il padrino e la madrina del tuo battesimo. Vivono in una dépendance della villa, si trovano benissimo con la signora e suo marito; nonna Margherita trascorre tanto tempo con loro, hanno in comune le origini contadine. È la luna che dice loro quando seminare, tagliarsi i capelli, imbottigliare il vino.
Chiude gli occhi, ora, Camilla. L’ha sentito.
Camilla non sa se sia giusto o meno, ma è arrivato ed è – da sempre e sempre sarà – il benvenuto. Se l’era portato appresso per tanti e tanti anni, poi lui sembrava essersi offeso: da quando è comparsa la bimba non si era più fatto vivo.
Camilla esce dalla stanza, adesso è in bagno. Non ha acceso la luce, le basta il riverbero dei lampioni che s’infrange sul vetro opaco della finestra. Ora può aprire la vestaglia, sedersi per terra, spalancare le gambe, anche. Lui è lì, con lei.
E a lei pare di sentire i grilli e le rane che cantano, tutto intorno. È la melodia della risaia vercellese in primavera.

Conoscersi?

..mi è capitato molte volte di vedere persone “troppo sensibili” ferire gli altri senza alcuna necessità. E ho visto anche persone “sincere e aperte” usare la logica per imporre i propri interessi, senza neanche esserne consapevoli. Ho visto infine persone “brave a leggere nel cuore degli uomini” lasciarsi ingannare senza sforzo da adulatori visibilmente insinceri. A questo punto mi sembra naturale chiedersi cosa ognuno di noi alla fin fine conosca di se stesso…

Haruki Murakami

Dal blog di Clelia Mazzini, che da tempo è sparita nel nulla.

http://aletheia.ilcannocchiale.it/

Il libro più sofferto

Il libro più difficile da scrivere è stato l’ultimo, La suora.
Tre anni fa il mio editore era Fanucci.
Un editore a cui sono riconoscente. Con lui (Sergio Fanucci) avevo pubblicato due gialli: La notte del Santo, che era andato benino come vendite, e La donna di picche.
Fanucci credeva, e molto, nella Donna di picche.
Il manoscritto di questo libro gliel’avevo inviato a fine giugno di tre anni fa. Poi, dopo alcune notti insonni, avevo avuto un ripensamento, e alla fine di luglio avevo fatto un secondo invio. C’era un nuovo finale: Sono la donna di picche, quella che non dimentichi…
Mi rispose scocciato. Non sì fa così, e che cavolo.
Ma dopo un mese mi era arrivata la sua risposta: il libro gli era piaciuto, e tanto.
Credo anche io che sia un buon libro. Sta di fatto che La donna di picche ha venduto poco, pochissimo.
Mesi dopo mi venne in mente di scriverne un altro. La protagonista è un’avvocatessa che ha iniziato tardi, a cinquant’anni suonati.
Ne scrissi a Fanucci, che mi rispose secco: Voglio un libro all’altezza de La donna di picche.
Pensai: non è possibile. La donna di picche è uno dei miei migliori.
Poi arrivò il lockdown, l’avvocatessa era l’inizio di un libro mai continuato, ma una sera scrivo un racconto, un incontro notturno ambientato a Orta che diverrà il primo capitolo de La suora.
A Fanucci non piacque. Non gli piaceva nemmeno il titolo. Fa ridere, mi scrisse.
Gli risposi che La suora era meglio de La donna di picche.
Il libro è poi uscito per Golem, casa editrice di Torino che non ha certo né la distribuzione di Fanucci né il suo catalogo, con diversi autori stranieri di spessore.
Non so se scriverò ancora (un giorno vorrei, il giorno dopo no) ma di una cosa son sicuro. Sergio Fanucci mi ha indicato la strada giusta. Se e quando scrivi un libro devi pensare che dovrà essere più bello del precedente. Mica facile.
La suora è dunque il libro più sofferto ma alla coprotagonista, Nuora, che diventerà suor Beatrice, penso ogni giorno.
Le ossessioni non sono mai belle, eccetto Nora.

Un’intervista ritrovata per caso

Ho ritrovato per caso un’intervista radiofonica del 2014. Me la fece Monica Winters per Radio onda d’urto.
Erano giorni un po’ particolari, quando la rilasciai. Avevo lasciato la direzione del giornale e dovevo riflettere sulla proposta che mi era stata fatta di candidarmi a sindaco per due liste (una civica, l’altra di Sel).
Sta di fatto che la rilasciai e poi me ne dimenticai. Stanotte l’ho riascoltata.

ECCOLA