E’ notte, non ancora fonda.
Invece di scrivere vi propongo il frammento – ma in realtà è l’essenza – di un post.
Leggete un po’, parla di scrittura, questo frammento-essenza di Deborah Gambetta.
Scrivere è fatica. Scrivere non significa accostare parole e raccontare una storia. Scrivere significa montare e smontare quello che si è scritto, avere il coraggio di tagliare l’inutile, significa anche impiegare interi pomeriggi su una frase, significa perdere il sonno perchè quella cosa non torna e se non torna i casi sono due: o non serve o non è stata sviluppata. Scrivere significa andare il più a fondo possibile, non solo dentro il nocciolo della storia ma anche dentro ogni singola scena che si racconta. Scrivere significa leggere e rileggere quello che si è scritto, tornarci su di continuo, aggiustare e poi vedere come questa cosa su cui ci perdiamo sonno si combina col resto. Se quello che stiamo scrivendo non produce sofferenza, se quello che stiamo scrivendo non ci occupa la mente giorno e notte, se quello che stiamo scrivendo non ci obbliga a lavorare sul testo, sulle parole, sulle frasi, sulla struttura, su ogni singolo personaggio, se non ci fa incazzare o gioire quando tutti i fili che sembravano slegati finalmente si riannodano, se non succede tutto questo, quello che stiamo scrivendo, allora, sappiatelo, è una merda.
Il resto del post (che sottoscrivo, e che mi ricorda quanto andava dicendo Fenoglio slla sua scrittura) lo trovate qua.
Oggi sono a Bologna, liberia Zammù, ore 19,30; Francesca Bonafini mi farà un po’ di domande su La donna che parlava con i morti e su altro.
Buone cose
grazie rossomoleskine, un abbraccio
e grazie e benvenuta, atleir di scrittura
“Questo non è un libro. E’ libello, calunnia, diffamazione. Ma non è un libro nel senso usuale della parola. No, questo è un insulto prolungato, uno scaracchio in faccia all’arte, un calcio alla divinità, all’uomo, al destino, al tempo, all’amore, alla bellezza… a quel che vi pare. Canterò per voi, forse stonando un po’, ma canterò. Canterò mentre crepate, danzerò sulla vostra sporca carogna. Per cantare bisogna prima aprire la bocca. Ci vogliono un paio di polmoni, e qualche nozione di musica. Non occorre avere fisarmonica, o chitarra. Quel che conta è voler cantare. E dunque questo è canto. Io canto”
(Tropico del Cancro, Henry Miller)
D’accordissimo, ma scrivere è una necessità interiore, di cui non puoi fare a meno!
Benissimo, ti scrivo in pvt. Il libraio che mi piacerebbe tu incontrassi è uno scrittore con i fiocchi, Giorgio Bona te lo può confermare, in quanto in una raccolta di racconti le loro firme sono presenti entrambe. E’ Enzo Macrì. Bella persona ( e bella libreria..:-).
Ha creato un luogo d’incontro polivalente in cui le iniziative culturali sono di vario genere ( dalla lettura, alle presentazioni, al teatro “da camera”, alla musica), ma soprattutto è una bella persona ( parla con Giorgio, te lo confermerà!).
flavia, si può fare, certo.
ciao
Insomma, vai dappertutto e non vieni qui a un tiro di schioppo. Mi devo offendere?
Guarda che ce l’abbiamo la libreria giusta, con la sala apposita ( tra l’altro con un libraio scrittore….:-)
Il giornale locale è della medesima società del tuo ed anche la pubblicità non sarebbe un problema, nel tuo caso, no ?:-)
Mi pare di capire che l’avventura bolognese sia stata piacevole e foriera di buoni incontri. Mi fa piacere:) Buona settimana.
deborah è schietta (avete presente anna antichi?)
Comunque, per evitare equivoci e chiarire, sono andato sul blog di Deborah Gambetta.
Aggiungo che, fortunatamente & correttamente, la scrittrice suddetta non si nasconde dietro fumi, ma chiaro parla col suo nome e cognome.
E’ ciò trovo buono, pulito. :-)
Deborah suppone, presume che non abbiam capito: già.
E se, invece, avessimo capito?
Ciao Remo,
dimmi perchè dovrebbe dispiacermi che hai riproposto un frammento di un mio vecchio post? Anzi, mi sento molto onorata. :)
Mi dispiace che i tuoi commentatori non abbiano capito niente, però.
:)
Che a Enrico scrivere non costi fatica è cosa nota.
Poi c’è chi trova nella sofferenza e nella propria fatica la propria ragion d’essere. E quello, in qualche modo, esprime. Il mondo è vario.
Il risultato a volte è del tutto indipendente dalla fatica che è stata profusa nell’opera.
Il mondo è anche bizzarro.
@ enrico
ovviamente non guidava remo.
che era ben sano ieri sera. anche dopo un Negramaro e due Dolcetti d’Alba.
Non posso dire lo stesso di me :-)
bellissima presentazione. Remo ci ha incantati con le sue storie. E bello anche il seguito, intorno ad un tavolo.
buona giornata a chi passa da qui
Non ce l’ho con Alfieri, Mario e neppure con Fleury :-)
Concordo invece su alcune sue considerazioni immortali (purtroppo) sul rapporto tra il popolo e il tiranno. La tirannia si risolve in rivoluzione soltanto se è dura, altrimenti il popolo, abituato ad essere servile, si adeguerà ad ogni richiesta con maggior servilismo, se tuttavia ha da mangiare e qualche sfizio. Paradossalmente sperava nelle crisi totali come foriere di cambiamento radicale. Era popolarpessimista.
Ho scherzato sul fatto che con quel “volli, fortissimamente volli” pretendesse d’essere legato alla sedia per essere costretto a dedicare agli studi più tempo possibile, quando in realtà avrebbe avuto voglia di essere altrove e fare altro. Il suo servo era …abbastanza servile ( appunto! Se è servo ha da servì:) per legarlo e slegarlo a comando, che se avesse voluto affrancarsi dal tiranno, l’avrebbe lasciato bell’e lì come un salame di Varzi e se ne sarebbe andato.
Questa sua ferrea volontà ( che ai miei tempi propinavano alle elementari quale esempio da seguire) non ebbe molti estimatori. Se li ha, li ha tutti in Piazza Alfieri ad Asti, dove il monumento incombe scuro, pensoso e minaccioso, ma gli Alessandrini invece gli hanno dedicato un… vicolo. Così impara a fare lo stakanovista ante litteram.
Non mi chiamare Rosanna. E’ un’offesa mortale. Mio padre ti avrebbe toccato al fin della tenzon.
“sto scrivendo mentre la macchina procede verso bologna”…..e il guaio è che temo sia tu a guidare. torna sano
OT.
@Rosanna Massa
Ecco Rosanna, vorrei sapere perché ce l’hai tanto con Alfieri Vittorio.
Io non ho letto molto delle sue tragedie, ne ho studiato qualche passo a suo tempo.
M’imbarbivo un po’ per le difficoltà che presenta.
Però la sua Autobiografia l’ho riletta due volte, e la prima parte è decisamente bella, anzi luminosa, pensando ai tempi in cui fu scritta.
Magari scrivine sul tuo blog, del perchè e del percome….
Così capisco.
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Bene un bel niente, se nevica. Di nuovo.Toglierò la pelliccia ad aprile.
Hai l’autista?
Anche lui è più bravo di Fenoglio?
Era tanto per dire.
Le cose migliori sono bellissime e scritte benissimo.
Alcune però sono noiosissime.
Flaubert è sublime.
Adoro Fenoglio.
Ho preparato la corda, occhio. Stavo pensando che ad Alfieri, nato a meno di 50 km, qui hanno dedicato una viuzza che è un po’ più lunga della targa. Ci abita un mago.Non doveva essere molto simpatico ai miei concittadini. Forse se lo avessero slegato sarebbe diventato un grande qualche altra cosa rispetto ad uno scrittore.
Vado (idealmente) a Cogne, presenta quella bella ragazza della Cavo ( cognome che mi è caro) dal mio amico libraio.
In bocca al lupo bolognese, torna a casa vincitore!:-)
La scrittura può essere comunicare emozioni,
può essere anche altre, diverse cose, Remo.
Io ho scritto quanto sopra, nei commenti precedenti, perché, ci tengo che, eticamente, non venga data troppa enfasi o si faccia apologia esagerata della fatica dello scrivere: è ovvio che si cade nel narcisismo e nel crogiolamento su ‘sta maledetta sofferenza.
Siccome la scrittura è anche un mezzo di ricerca intellettuale, del profondo attraverso l’elaborazione di un linguaggio, non vedo perché tirarla tanto con fatiche e dolori.
E’ un ovvietà che è dura ottenere un buon risultato.
Anche quelli che lavorano continuamente e duramente alla ricerca di un vaccino si fanno un culo quadro.
Tra lavorare tanto, e ritanto per elaborare un testo narrativo e farne un pianto, poi, ce ne passa.
Nessuno ci condanna a scrivere.
Doloroso, per me, dico “per me” è vedersi un testo, a cui tanto hai lavorato, rifiutato, dimenticato, trascurato, gettato in un anonimo bidone.
Tanto nessuno mi condanna a scrivere: sono cazzi miei, me lo ridico.
è chiaro che ci sono scritture (penso a Benni
penso a Morozzi) che nulla c’entrano con quel che avete letto, sopra.
ma andrebbe letto tutti il post della gambetta.
e comunque.
nei diari del 1954 di fenoglio, nell’autobiografia di virginia wolfe e, anche, in flanney o’connor questo “male dcrivere” c’è.
e in flaubert.
quando dice che uno scrittore deve pensare come un pazzo, flaubert pensa alla sofferenza della scrittura e dei fantasmi che convivono con essa.
chiaro che non è per tutti così.
la mia amica barbara garlaschelli scrive dei bei libri divertendosi.
io no.
la fase della riscrittura, poi (come dice Morena) è cosa diversa.
è lavoro di scalpello: le 8 ore che impiegava flaubert per dare musicalità a ogni sua pagina, i mille rifacimenti di fenoglio
scriveva.
la mia miglior pagina se ne esce dopo decine e decine di penosi rifacimenti.
oggi quando io ricevo dei manscritti c’è gente che mi dice: Non ho problemi a scrivere bene, io. tutti più bravi di fenoglio.
come se la scrittura fosse fare un bel tema.
la scrittura è comunicare emozioni.
bene, nevica.
sto scrivendo mentre la macchina procede verso bologna
ma il divertimento di farlo attenua la fatica o, addirittura, la cancella. o no?
quando una cosa smette di essere un piacere, nella vita, non vale più niente. D’accordo che poi un bel prodotto è un bel prodotto, ma diverte più una gaffe d’un discorso preparato in anticipo.
Tranne nel caso in cui si vogliano lasciare messaggi ai posteri: ebbene, i posteri non sono più quelli di una volta e i messaggi sono come la lana, si restringono o si allargano se sono di lana bernarda e a lungo andare non contano un bel niente, tranne quelli biblici e sibillini.
La vita è già un dolore e sono dell’idea che Vittorio Alfieri fosse un pazzo. Se vuoi però vengo a legarti alla sedia mentre scrivi e ti slego soltanto quando sarai soddisfattissimo del tuo operato.
Facciamo quando torni da Bologna.
Aggiungo che mi pare – dico mi pare – che la frase di Fenoglio fosse un’espressione di uno scrittore che di giorno faceva il contabile per una ditta di vini e di notte scriveva, scritta in una lettera, poi resa pubblica.
Più che comprensibile.
Fenoglio era un uomo di pudore estremo.
Mai letto di Conrad, o che so io, Joyce, o Gadda, lavoratore indefesso, strenuo sulla parola, lamentarsi della fatica nel tirar giù, elaborare con la penna in mano.
Se dico che mi costa “dolore” scrivere ad un mio amico operaio rumeno, credo che gli verrebbe voglia di tirarmi una scarpa.
MarioB.
boh! cìè chi ha ricevuto una voce divina e canta con gioia e senza fatica. suvvia, non facciamola più dura di quello che è.
Concordo ma poi aggiungo tutto il resto: la bellezza di arrivare ad un risultato che soddisfa, il divertimento di smussare gli angoli e di colorare certe scene e altro ancora.
e stasera a Bologna. Avviso: la pioggia sta studiando per diventare neve. spero non ce la faccia. La libreria Zammù (per me) non è proprio dietro l’angolo.
D’accordissimo…
Scrittura è tutto questo ma dev’essere anche gioia, la gioia di creare, di dare vita ad un mondo. Come fare un figlio: le doglie sì. le nausee sì, ma poi c’è un ditino che si stringe attorno al tuo. Vivo grazie a te ma pronto a vivere di vita autonoma…
Va bene:
scrivere è fatica,
scrivere è dolore,
scrivere è…
correggere, ricorreggere, pentirsi, rifare, riprendere reinventare etc.
Ma non stiamo ad enfatizzarlo troppo questo atteggiamento, ché poi diventa stucchevole.
Diciamo, che scrivere può essere anche – ho scritto anche – un piacere, e una ricerca di consapevolezza.
MarioB.