Un libro trovato per caso, dimenticato. L’incipit (preceduto dal titolo del primo capitolo, “Come Bonnot piccolo funzionario del crimine andò a Parigi a dar fuoco alle polveri”), l’incipit, dicevo, è questo.
Madame Thollon sobbalzò. Le era parso di udire un leggero rumore contro le imposte della camera: come il fruscio insolito di un ramo o come se fossero stati lanciati dei sassolini. Trattenendo il respirò sollevò la testa e si mise in ascolto. Ma non udì altro che il brusio uniforme della pioggia, interrotto a ratti dal fischio del vento che indovinava gelido tra gli alberi.
Il titolo del libro è La banda Bonnot, la casa editrice è Forum editoriale Milano, 1968, in quarta di copertina non c’è nemmeno una parola, in copertina, sotto il titolo, La banda Bonnot c’è scritto “La rivolta disperata e totale di “banditi tragici dell’anarchico Bonnot. La belle èpoque terrorizzata dal grido “Morte alla borghesia”. Una ricostruzione minuziosa, partecipe, appassionante”.
(Si vede che tirava aria di sessantotto).
L’autore è un certo Bernard Thomas. Cerco di lui in rete: c’è niente.
Il nome di Bernard Thomas mi fa venire in mente (semplice assonanza) il grande Thomas Berhard.
E la sua scrittura: o la ami alla follia oppure non la digerisci, nemmeno col malox.
Incipit di A colpi d’ascia, Adelphi
Mentre tutti aspettavano l’attore che aveva promesso di arrivare alla loro cena nella Getzgasse verso le undici e mezzo, dopo la rappresentazione dell’Anatra selvatica, io osservavo i coniugi Auersberger dalla stessa bergère in cui stavo seduto quasi ogni giorno nei primi anni Cinquanta, e pensavo che accettare l’invito degli Auserberger era stato un errore denso di conseguenze. Ho inontrato al Graben gli Auserberger, che non vedevo da vent’anni, proprio il giorno della nostra comune amica Joana e ho accettato, senza tante cerimonie, l’invito alla loro cena artistica, come i coniugi Auserberger hanno chiamato quel loro pranzo serale. Per vent’anni non ho più voluto sapere niente dei coniugi Auserberger. e per vent’anni non ho mai più visto i coniugi Auserberger, e in questi vent’anni…
Un editore mi fa, sai perché Il cacciatore di aquiloni ha venduto così tanto?
Perché è scritto semplice, la gente ama le scritture semplici, mi ha detto prima che io rispondessi.
Mentre mi diceva questo io pensavo a Thomas Bernhard, che semplice non è (o a Manchette, che a mio avviso è troppo semplice: preferisco Izzo).
Per cui all’editore non ho detto niente, e non è vero che chi tace acconsente: chi tace a volte riflette.
E comunque: io devo ammettere che col passare del tempo mi faccio sempre più paranoie. Se scrivo qualcosa e vedo che ho usato periodi lunghi cerco conforto: e faccio leggere quel che ho scritto a qualcuno che non è un grande lettore, a qualcuno che legge mettiamo tre, quattro libri l’anno.
Conosco una donna, giovane sulla quarantina, che da qualche anno legge meno.
Legge meno perché oltre a lavorare e badare a casa sua deve, ogni giorno, assistere i suoi vecchi, che non sono più autosufficienti. Leggeva un libro al mese, anni fa, ora ne legge uno ogni due (mesi).
Quando finisco il mio romanzo le farò leggere le bozze e, son sicuro, che se mi dirà che non ha capito qualcosa io le darò ascolto.
Sbaglio?
Sulla scrittura, in particolare, ma non solo: ho appena letto questo post di Solimano, brillante come al solito.
e quindi? Cosa vuol dire: sbaglio? Per me non ha tanto senso chiederlo. Se ti dico che sbagli che cambia? e se dico che hai ragione? Ognuno scrive come può, come sa. Tu non sbagli e neanche chi non fa come te sbaglia.Ma se anche sbagliasse: potrebbe cambiare?
Assunta, Giulio Mozzi e anche Remo sostengono ciò in cui io da sempre credo: che scrivere è un atto di comunicazione. La scrittura implica in sè la lettura di altri, sempre. Esiste in quanto esistono i lettori. Il libo nasce epr essre letto.
Tuttvia, io sto qui, in questo mondo, da otto anni, di cui i primi cinque passati a fare la editor gratuita degli aspiranti scrittori. Il 98% dei quali a spiegarmi che scrivono per se stessi: ma nel momento in cui lo mandano a me – e mi chiedono “secondo te meglio inviarlo a sellerio o adephi” – si sono già smentiti.
Sarò anch’io inquietante come Assunta, ma ritengo che nessuno che sta su Internet scriva per sè e ritengo anche che molti aspranti autori dovrebbero leggere di più e scrivere di meno.
Consiglio che peraltro negli ultimi due anni ho messo in pratica in maniera esagerata nel senso che ho solo letto. E alla domanda “perchè scrivi” non saprei proprio rispondere, ammesso che a qualcuno freghi qualcosa, mentre se mi venisse rivolta l’altra – perchè leggi -potrei tenere una conferenza.
Quindi, per me, il lettore è la ragione di tutto. E quando mi metto a scrivere, ogni volta, faccio delle scelte. A volte sono io ad aver bisogno di… una storia semplice. Semplicemente narrata. Non è una scelta per forza commerciale.
grazie gea
semplificare va sempre bene, secondo me. ma per togliere il superfluo, fondamentalmente. per chiarire un concetto. non per tendere ad un ipotetico lettore di minima.
sei come scrivi, scrivi come sei. puoi forzare in un senso o nell’altro, ma la forzatura traspare, e stucca. e sulla lunga comunque non regge.
proust scriveva periodi di pagine, ma non sarebbe lo stesso se avesse abbreviato. joyce non è per tutti, ma è seminale. loro erano così, pensavano così.
la prima volta che ho parlato con te, remo, ho trovato esattamente la persona mi aspettavo stesse dietro ai tuoi libri. quella che avevo immaginato leggendo. e nel tuo sguardo c’è la penna che li ha scritti.
qualunque lavoro tu faccia sulla tua scrittura rimane tua.
e questo è quello che conta.
un abbraccio
Mario, io amo la poesia surrealista. E il teatro dell’assurdo. E trovo che alcuni gialli contemporanei non siano poi meglio di alcuni fumetti.
E mi piace tanto leggere Berhard quanto Izzo.
Se scrivo, però, mi pongo dei quesiti.
Remo, quando ero giovane leggevo ogni cosa che sapesse d’avanguadia, tutti gli scritti del gruppo ’63, ad esempio, per dire di letteratura italiana, oltre a stranieri tradotti, specie da Einaudi, in quelle edizioni grigie e rosa.
Ora, ti domando, per chi scriveva o scrive Edoardo Sanguineti, Guglielmi, Nanni Balestrini (etc.) che ancora oggi lavora continuamente?
Non dico che mi piace ciò che fa Balestrini, però per fortuna gli si da spazio, per fortuna!
Per chi scrisse “Vita e opinioni di Tristram Shandy” il signor Laurence Sterne, intorno al 1760?
E’ un libro stranissimo, bellissimo praticamente senza trama, per me, e non solo per me, un capolavoro vero, ristampato continuamente.
grazie Alessandro, Simi merita queste attenzioni.
Cinzia, su Bufalino e Manganelli non ho mai sentito dire che “scrivono semplice”.
Ma di altri autori – prendiamo Manchette – ho sentito di tutto: grande scrittura, scrittura banale.
come mi ha detto prima una persona al telefono questa discussione, alla fin fine, si attorciglia, e nessuno ha torto o ragione del tutto.
io ho fatto un post ponendo un quesito: sbaglio a chiedere che legga un mio manoscritto anche una persona non addetta ai lavori e sbaglio, poi, ad apportare correzioni così da rendere più fluidia la mia scrittura anche per questa persona?
morgan e altri, per esempio elisabetta bucciarelli, han detto che no.
qualcuno ha fatto il nome di scrittori innovatori, come Gadda.
Gea ha citato Mari, che a differenza di Pontiggia (scrivere è riscrivere) afferma di scrivere di getto (e la sua è una scrittura raffinata e ricercata).
Sciascia è uno scrittore semplice?
Dipende.
Sono ripetitivo, ma la scrittura, per me, è sempre un incontro. Ed è per questo che io son sempre cauto nei giudizi: se un libro non mi piace magari è colpa mia e non del libro. Colpa delle sue parole, delle sue metafore, della sua struttura.
Oggi “Viaggio” di Céline è considerato un capolavoro, ma quando uscì no. Questione di incontri, credo.
“Una delle cose più importanti che so sulla scrittura me l’ha insegnata un allenatore di calcio. Magrini, si chiama, un romagnolo tosto che fa l’osservatore per le nazionali giovanili. “IL campione”, disse una volta, “è uno che fa sempre bene le cose semplici.” Sorbole, pensai, fammi capire. Il colpo di genio o di fortuna, la sassata nel sette possono capitare a molti, o rimanere fini a se stessi. Ma il vero fuoriclasse è quello che non sbaglia mai uno stop, neppure quando si gioca nel fango che ti succhia le scarpe dai piedi. Il vero fuoriclasse vede la cosa più semplice e razionale, laddove tutti gli altri si intestardirebbero in soluzioni cervellotiche. Si potrebbe però obiettare che il fuoriclasse fa anche apparire semplici cose che per tutti gli altri semplici non sono. Ma è una considerazione che ci porta comunque a diffidare dei funamboli e dei telecronisti che ululano “numero!” al più barocco e inutile dei dribbling. Che ci fa capire come mai il grande talento David Beckham (33 anni) è negli Stati Uniti a fare il marito di sua moglie mentre i grandi talenti Paul Scholes (34) e Ryan Giggs (35) stanno per vincere una roba seria chiamata Coppa dei Campioni.
Questa cosa qua è vera anche per la scrittura, secondo me.
La frase giusta, il guizzo felice, lo stato di grazia possono capitare a molti. Sarebbe terribile che così non fosse. Ma lo scrittore vero è un’altra cosa. Lo scrittore vero non fa il numero. Non cerca l’applauso. Lo scrittore vero fa sempre bene innanzitutto le cose semplici. Soggetto-verbo-complemento. Poi, magari, aggettivo. Poi, se serve, avverbio. Ma se inizi a stivare la frase di aggettivi e avverbi come riempiresti una stanza di ammenicoli, soltanto per non farla apparire spoglia, significa che c’è qualcosa di sbagliato nella struttura elementare della frase. E che quindi è meglio ripartire, ricominciare da capo e fare bene la cosa più semplice.
Appoggiare al compagno libero, con il passaggio più semplice e cambiare gioco.
Facile? No, difficile. Fare sempre bene le cose semplici è dannatamente difficile.”
preso a prestito dal blog del mio caro amico giampaolo simi.
http://www.giampaolosimi.myblog.it
va be’ ma allora devi spiegare meglio cosa vuoi dire, Remo. Se parli di scrivere facile e poi dici che facile è Sciascia…si vede che son troppo ignorante io, che spesso devo tornare indietro nei suoi lunghi periodi.Forse per facile tu intendi gli argomenti? O un linguaggio terra terra da parlato quotidiano? Non capisco, insomma.Per ciò che concerne la musica, uguale: non condivido. Prova a portare la contemporanea a chi non se ne intende! Vedrai che reazioni!Ma i compositori sono andati avanti, altrimenti suoneremmo ancora Monteverdi.
Non lo so, ci penso da un po’.
Istintivamente mi disturba l’idea di uno scrittore che a tavolino , scientificamente, decide/sceglie il destinatario delle sue righe.
Ma per me sarebbe anche discutibile il concetto di scrittore per professione. Cioè: uno, per essere davvero libero di scrivere quello che gli pare, dovrebbe potersi sostentare in modo indipendente dalla scrittura stessa. O no? Io ho un’idea che alcuni definirebbereo “alta” della letteratura. Qualcosa di molto vicino ad una fede,anzi ad una passione vibrante. E si sa che le passioni non si fanno studiare a tavolino.
Che confusione! Mi sa che è meglio che continui a pensarci.
Quando vieni nelle Marche fai un fischio, Remo?
Saluti piovosi.
Mi sono gustato con piacere il post di Solimano. La sua reale crudezza assai essenziale è disarmante. Che condivido in più punti.
“Quando finisco il mio romanzo le farò leggere le bozze e, son sicuro, che se mi dirà che non ha capito qualcosa io le darò ascolto.
Sbaglio?”.
Non sbagli Remo, non sbagli.
bisogna essere semplici,
ma non più di così
Io scrivo di solito per un lettore. Raramente lo stesso. A volte quel lettore sono stata anche io, a volte ho scritto quello che avevo bisogno di leggere.
Ma poi ci sono state persone, fino ad allora sconosciute (più di una questa volta) che mi hanno detto, di questo ultimo libro: hai scritto la mia storia, ci sono io dentro qui (alcune citandomi anche passaggi precisi).
E io non me l’aspettavo, nè l’ho cercato. Ovvio che mi faccia piacere, un po’ anche mi mette a disagio.
Io credo che il lettore trovi la sua storia, ma non penso che ci sia, nè ci possa essere premeditazione dello scrittore in questo.
Non potrei mai pensare “voglio scrivere per le casalinghe”, oppure “voglio scrivere per i single”. Non ci riuscirei, verrebbe una porcata, sono sicura.
sabrina
ciao Roberto,
io ricordo di aver proposto aspettando godot a un gruppo di carcerati.
chi aveva studiato tanto aveva fatto la terza media.
beckett piacque, esenza nemmeno troppe spiegazioni.
(chiaro che per loro Godot rappresentava la libertà, il riscatto).
la scrittura, poi, è fatta di percezioni.
io per esempio trovo Bernhard molto più facile di Dostoevskij.
la complessità di un libro è data anche dalla struttura, dal numero dei personaggi.
cinzia, quando si suona si suona.
ma per esempio quando si recita – e c’è di mezzo la parola – è già diverso.
negli anni settanta a torino fecero una bella operazione di decentramento culturale, portando il teatro nelle fabbriche, per strada, in periferia, portandolo insomma dovec’era un basso livello di scolarizzazione.
lavorarono sui copioni, su cosa e come dire.
come dice Nietzche, la musica è linguaggio universale.
la parola è cosa diversa.
se io fossi un editore vorrei che la gente capisse quel che finisce nel mercato.
chi scrive per una élite, per critici o scrittori si rivolga altrove, direi.
il periodare di Sciascia non mi poare eccessivamente elaborato.
sciascia alterna un periodare lungo a frasi brevi e secche: personalmente penso sia la cosa migliore.
si danno indicazioni di ritmi diversi.
Questo settembre, a Pordenonelegge, ho ascoltato Trevisan leggere un brano tratto da Antichi maestri di Bernhard, insieme a un altro di Beckett e a un altro ancora dello stesso Trevisan.
Ovviamente la scrittura/lettura non era delle più facili: inizialmente si poteva restare scettici.
Personalmente dopo dieci minuti ero incantato e lo sono rimasto per più di un’ora, sino alla fine.
Scrivere è riscrivere, diceva Pontiggia.
è quando si riscrive che ci si interroga.
caro marco salvador ho corretto il mio refuso (teta-testa).
ti racconto questa.
annunci funebri sul mio giornale, mezzo secolo fa.
composizione a piombo (i correttori di bozze leggevano al contrario).
muore un personaggio importante.
la famiglia fa scrivere una cosa lunga: alle sue spalle, una carriera di…
quando il giornale è già stampato un tipografo casualmente legge:
alle sue palle, una carriera di…
ristamparono, ovvio.
erano i tempi del piombo, quelli
no, no Assunta: son d’accordo, è chiaro che si scrive per un lettore ideale!Mentre scrivo è ovvio che immagino un lettore con i miei stessi gusti, si scrivono i libri che si vorrebbero leggere, in fondo. So bene che le mie storie non andranno bene per chi ama il fantasy, i rosa o…Non era questo che intendevo, almeno io.
Scrivere per un lettore è cosa diversa da scrivere per vendere. Invece mi pare di capire che molti sono convinti che si tratti della stessa cosa.
Scrivere per un lettore significa, innanzitutto, avere la consapevolezza di ciò che si sta scrivendo. Se scrivo un leggero romanzo d’amore, sono sciocco a pensare che un lettore di saggi “si farà scegliere” dalla mia storia. E dovrò avere la consapevolezza che questo secondo tipo di lettore penserà/dirà che ho scritto robaccia.
Scrivere per un lettore significa conoscerne l’animo, significa saper comunicargli sensazioni. E’ un dono. E non regalereste un accendino a chi non fuma.
Invece, ogni volta che si parla di lettori ecco che ci si corazza dietro il “scrivo quel che mi pare”. Certo che possiamo scrivere quel ci pare, ma non perché si mettono in fila parole si è uno scrittore. Si è uno scrittore se qualcuno ti legge e capisce e condivide ciò che hai scritto. Se qualcuno ti percepisce come tale. Altrimenti non si è uno scrittore, ma solo la proiezione di un desiderio. Non è una malattia, non bisogna farne un dramma. Se mi si rompe il tubo dell’acqua e armeggio con una chiave inglese riuscendo in qualche modo a ripararlo non sono un tubista o un idraulico. Sono uno che sa armeggiare con una chiave inglese.
Però quando si parla di arte ogni esempio è profanatore!
Eppure, secondo me, non partire dall’animo del lettore è la vera profanazione. E’ complesso, certo, ma è proprio qui che sta la differenza fra lo scrittore e la massa di aspiranti tali.
ih Marco, ti pensavo ieri: eri sparito! Mi hai fatto ridere!
Io di certo sbaglio ma quando scrivo al lettore non ci penso proprio. Sarà una deformazione artistica, quando si studia musica non si pensa mica alla faccia dell’ascoltatore in prima fila! Se così si facesse l’arte rimarrebbe bloccata, ferma.Quanti artisti sono rimasti incompresi per decenni? Non è stato forse il loro lavoro a imporre, poi, la sterzata? Certo, questo non è del tutto aderente al discorso ma neanche troppo lontano. Scrivere semplice dovrebbe essere obbligatorio sui libri scolastici, nelle leggi, nei discorsi dei politici in tv, sulle ricette mediche etc.; per il resto chi scrive,chi dipinge, chi compone etc. dovrebbe scrivere come sente, con quella voce che, nella mente, detta (o perlomeno: la mia detta e io trascrivo). Si venderà? non si venderà? alcuni capiranno altri no? che importanza ha? Si scrive per il lettore? Dipende: sì, se sto facendo ‘propaganda’ di un pensiero e desidero arrivi a tutti (per es. i rom sono uomini come noi!), sì: se scrivo per bambini. Ma nel resto dei casi… A me, lettrice, per es., la frase breve dà l’orticaria. Io desidero leggere cose che ne stimolino altre, amo tornare indietro (in Sciascia per dire) per afferrare la complessità d’un pensiero che pretende assoluta concentrazione e in dono apre a una visione, un approfondimento. Ginnastica per i pensieri, per le idee.Ginnastica per cervelli addormentati. Poi, ogni storia vuole la sua scrittura, all’interno della stesso libro apprezzo periodi semplici o no. I personaggi cambiano, le situazioni, i pensieri, le emozioni pure.Sul dire degli editori, poi, avrei molto da dire. L’editore è un venditore ed è ovvio che il suo interesse sia vendere libri a tutti.Ma io lettore, tranne che il libro non rechi un messaggio straordinario (tipo la parola di Gesù, per intenderci)voglio anche godere esteticamente, visceralmente. Voglio sentire una voce che non è quella del tigì, un pensiero articolato dietro la frase,una frase che rimandi a un mondo sotterraneo, a una filosofia, a un’anima. Con ciò non intendo valorizzare la poesia astratta, inconcludente, la scrittura fine a se stessa, che si bea del suono vuoto e ho citato Sciascia proprio per chiarire il mio concetto di scrittura ‘non facile’. Insomma, penso che quando si scrive il lettore non sia affatto da tenere in considerazione, comunque si scriva.
be’, amico mio, non te la prendere ma involontariamente mi hai messo di buon umore. oggi ci voleva.
‘sollevò la teta e si mise in ascolto’ e sarebbe meglio ‘sollevò la tetta e si mise in ascolto’. spendido! te lo dice uno che invece di chiedere ‘consigli’ chiede ‘conigli’. oppure: invece di ‘pazzo furioso’ scrive ‘cazzo furioso’.
un abbraccio.
Da lettrice quando cerco nuovi libri da leggere mi domando vagamente che cosa voglio leggere. Una storia allo stato puro? Una biografia? Un saggio? Quando si parla di romanzi, fiction, come si dice ora, voglio una storia avvincente, che mi porti via con sé. Se lo scrittore non riesce a far passare la sua “poetica” attraverso la storia stessa e la infiocchetta con incursioni ed escursioni, dev’essere davvero bravo, altrimenti, dopo un po’ comincio a fare come la gallina nell’aia, svolazzo qua e là, chiocciando e infine, salto pagine, così, brutalmente.
Ma quanti tipi di lettori esistono?
A quale tipo di lettore ci si vuol rivolgere?
E sopratutto che cosa si vuole scrivere quando si scrive?
che dio la benedica, sire
in effetti, assunta, il primo pezzo del mio post era diretto a te, la seconda parte era una “parabola” riportata per tutti, in generale.
non capisco però con chi mi sarei allineato, quando ho definito inquietanti le tue idee sulla letteratura: è la prima volta che ci parliamo e non so chi sei, mi è venuto spontaneo. devo desumere che forse qualcun altro la pensa come me. (per inciso: l’ho scritto senza nessun intento di offendere, meglio precisare).
invece, sul fatto che avrei dovuto usare altri linguaggi e termini per controbattere le tue tesi, permettimi di dissentire: è da tempo che non mi ficco più in discussioni inutili: credi che dovrei perdere del tempo per confutare stupidaggini tipo “… Invece lo hai scritto per il popolo di Internet ben più orientato verso la lettura di post/commenti che inneggiano allo scrittore incompreso e relegano al ruolo di sciocchi illetterati i lettori che non apprezzano la loro letteratura…” ?
Io credo che qualsiasi narratore “cosciente” dello stile che sceglie, su cui opera, delle storie che inventa( mah..? visto che le storie, gira gira, son sempre le stesse) sappia che non può piacere a tutti.
Se crede questo è sciocco.
Esistono intorno a noi tante predilezioni di genere e stile, per cui è meglio indirizzarsi già verso lettori che possano avere sensibilità, culture e gusti affini ai nostri.
E, tuttavia, si possono prendere cantonate colossali.
Possono convivere sia il pensar di fare un prodotto per un determinato pubblico sia illudersi di essere scelti, non sono opposti i fatti.
Per esempio questa è farina del sacco di Giulio Mozzi:
“L’errore più comune è: dimenticare che un’opera letteraria è prima di tutto un gesto di comunicazione verso altre persone. Un gesto di comunicazione particolarmente importante, particolarmente responsabile, particolarmente intenso. Non si scrive per sé. Si scrive per gli altri. Non voglio dire che si debba scrivere in base a esigenze di mercato. Voglio dire che si deve scrivere con il pensiero rivolto a chi leggerà, con il desiderio di far apparire nella mente di chi leggerà le stesse cose che sono apparse nella propria mente”.
Alessandro,
definire le mie opinioni sul lettore “azzardate” è già meglio di “markettare” come qualcuno ha scritto tempo fa. Ti sei allineato, tuttavia, con la sentenza di “inquietante” rispetto alle mie idee sulla letteratura. Opinione altrettanto azzardata visto che non mi conosci e non sai cosa leggo. :)
Concordo con te sulla improbabile proprietà transitiva fra le regole della pubblicità e quelle della letteratura, se non altro perché – per ragioni di tempo, oltre che culturali – semmai potrebbe essere verosimile il contrario. Che non vi siano delle analogie possibili fra copywriting e letteratura, pure è condivisibile. Ma che non vi siano analogie fra editoria e pubblicità è una cavolata che, se serve a farci dormire tranquilli, possiamo raccontarci, ma senza crederci fino in fondo. Tuttavia non è questo il topic proposto e, francamente, mi occupo di pubblicità venti ore al giorno e non ho voglia di parlarne anche nei rari momenti di tranquilla discussione.
Pensare che siano i lettori a sceglierti come loro autore è semplicemente un modo per scrollarsi di dosso la responsabilità di capire esattamente cosa si scrive. Questa sì che è paura: paura di non conoscere la dimensione e il senso della propria scrittura.
Leggo sovente affermazioni del tipo “scrivo per me”, “scrivo perché non posso farne a meno”, “scrivo per esprimere ciò che sento”… Belle affermazioni, sicuramente. Ma cosa significa esattamente “scrivere per sé”?
Se dovessi basarmi su ciò che hai scritto, per le parole usate, per la composizione e la forma dovrei desumerne che se definisci un genere e lo azzecchi, al massimo sei “fortunato”. Invece se scrivi “ciò che senti” allora fai letteratura e, siccome fai letteratura (quella vera!) nessuno ti cagherà. Ora, o tu hai scritto male quello che in realtà intendevi, o non l’hai scritto per me. Se lo avessi scritto per me, probabilmente avresti cercato uno stile differente. Invece lo hai scritto per il popolo di Internet ben più orientato verso la lettura di post/commenti che inneggiano allo scrittore incompreso e relegano al ruolo di sciocchi illetterati i lettori che non apprezzano la loro letteratura.
Inconsapevolmente, anche tu hai scelto un genere e un lettore. E io non sono in target.
Inoltre, se fosse vero ciò che scrivi dovremmo sostenere che Saramago, Marìas, Poe, Chatwin, Camilleri… ai quali sono imputabili generi abbastanza definiti, hanno seguito tendenze; hanno lavorato con le parole invece di fare letteratura.
assu
Certo che se io scrivo per un pubblico di ragazzini di dieci anni, scriverò in maniera diversa da quando scrivo per un pubblico adulto. Capita anche quando insegno: ho spiegato ai miei alunni che parlare solo con loro, insegnare soltanto a loro, inevitabilmente abbassa il registro linguistico che sto usando, perché devo sforzarmi di farmi capire.
Per questo mi piace anche parlare, o scrivere, per persone più “vecchie”, perché sono spinta ad usare un linguaggio diverso, più preciso, più, genericamente, “alto”.
Poi, certo, posso trovare qualcuno che ha cinque volte l’età dei miei alunni e capisce meno di loro, per formazione culturale ormai persa, analfabetismo di ritorno, ecc. Ma, ecco, al di là di queste differenze davvero grossolane (che attengono più a una questione di banale comprensione linguistica che alla questione del “per chi scrivi”), non riesco a pensare di scrivere ponendomi in mente un lettore preciso, o un gruppo di lettori preciso.
Certo, non scrivo per me stessa. Sono abbastanza convinta che nessuno mai scriva davvero per sè stesso, se si mette a scrivere un racconto o un romanzo o qualcosa di diverso da quattro appunti di diario. Ma non scrivo nemmeno per qualcuno in particolare di preciso. Non modifico il mio modo di scrivere in base al lettore su cui sono orientata (perché non sono orientata a nessun lettore in particolare). Se cambio scrittura, è perché cambio tono, argomento, personaggi.
Discorso ozioso, perché ovviamente, non sono una scrittrice, non ci campo per vivere, non ho la smania di pubblicare, se ciò che scrivo me lo leggono in venti persone perchè mi conoscono, va bene così. Forse, se fossi smaniosa di entrare nel giro della pubblicazione, e se pensassi di poterci entrare, e se ci entrassi e volessi rimanerci, forse cambierei tutto e mi sforzerei di scrivere comme il faut (pubblicitariamente parlando). Forse.
Ma insomma, sono felice di non doverlo fare.
(e se devo dirla tutta, quando ho letto la fine del post di Remo ho pensato: che fortuna che non ho bisogno di queste paranoie :-P)
assunta,
hai delle idee sulla letteratura abbastanza inquietanti. non esiste la proprietà transitiva tra le regole della pubblicità e quelle della letteratura (o editoria che è meglio), e te lo potrebbero confermare quelli che hanno cercato di fare il botto con romanzi scritti e pompati ad arte e invece hanno fatto un flop pazzesco. e secondo te un autore deve avere in mente il lettore standard a cui rivolgersi altrimenti non ha capito nulla di scrittura! mi pare un pò azzardata come affermazione.
io credo fortemente che siano i lettori a sceglierti come loro autore, e mai viceversa. quelli che partono con l’idea del target/lettore da prendere sono scrittori, penso, che non credono in loro stessi e nei loro mezzi, ed hanno paura di andare incontro ad un giudizio, o magari cercano solo di vendere qualche copia in più.
tempo fa, un grande personaggio della letteratura italiana, mi disse che per un autore le strade in editoria sono due: scegli il genere che va di più e lo segui, stai attento alle mode e alle tendenze; se hai fortuna diventi uno scrittore e qualcosa guadagni; oppure scrivi quello che senti di dover scrivere, alla tua maniera, e allora fai letteratura, ma non ti caga nessuno. questa la scelta: lavorare con le parole o fare letteratura.
Hai notato anche tu, Remo, quanta paura vi sia a parlare di lettori? Lo noto spesso, sai. Per “restare qui da te”, qualche tempo fa hai scritto un post che poneva una domanda precisa: Per chi scrivi? Quasi nessuno ha risposto. La maggior parte ha lasciato un commento sul “perché scrive”. Sarà che in pubblicità se sbagli il “tiro” hai fatto spendere inutilmente parecchie centinaia di migliaia di euro ai tuoi clienti, ma secondo me, se non hai ben chiaro in mente per chi scrivi non hai capito niente della scrittura. Di quella scrittura che si pone l’obiettivo di farsi lettura, perlomeno. Un racconto (o articolo, o libro, o…), lungo o breve che sia, non può essere “per tutti”. Non può esserlo per contenuti, per forma, per stile, semplicità o complessità. Affermare il contrario, per me, è una forma di ignoranza. Nel senso di ignorare che vi sono vari segmenti di lettori, che alcuni potranno essere coinvolti dalla propria opera, altri non lo saranno mai perché non sono interessati al genere, al tono, allo stile… Capire per chi si scrive è un modo importante per avere consapevolezza di sé e della propria scrittura. Il rispetto è un’altra cosa, secondo me. Se scrivo per un lettore che ama una forma e uno stile complesso non significa non rispettare il lettore che ama una forma e uno stile semplice. Definire per chi si scrive significa anche confrontarsi con un modo di scrivere, perché può darsi benessimo che si sia più o meno capaci di utilizzare la forma e lo stile adatti al lettore verso cui siamo orientati. Ci vuole umiltà, però! Ci vuole l’umiltà di riconoscere che quello che abbiamo scritto “non è buono”, che per essere apprezzati non è sufficiente “scrivere per sé perché senza scrivere non possiamo proprio concepire la vita!”.
assu
Mah… non riesco a vdere la semplicità come il periodare breve e la complessità come il periodare lungo. La semplcità è la divina arte non solo di farsi capire, ma di prendere il lettore e portarlo via.
Sto leggendo “Kafka sulla spiaggia” di Murakami. Certamente non è un libro facile, ma se dovessi dire ora, su due piedi, se i periodi sono brevi o complessi, non saprei proprio dirlo. Dovrei aprirlo. So però che finora, sono a circa metà, non c’è una singola frase, una sola, che io non sia stata in grado di comprendere alla prima lettura. Che non mi abbia avvolta serenamente, senza dover a tornare alla realtà, attivare l’emisfero razionale per comprenderla.
E per me questa è la divina semplicità dei grandi scrittori.
Infatti, Remo, ho scritto così:
“5.Per fortuna esistono editori che rischiano e tentano, cerchiobottisticamente, di gettare sul mercato sottostante, e opere di ricerca e opere commerciali.”
Per forza, se vuoi vivere nel 2008, come editore, devi pubblicare robe commerciali (cosa degnissima, e anche tra le offerte si può scegliere), ma puoi fare un 20% di ricerca letteraria, si può e lo si sta facendo, perché il pubblico dei lettori forti è variegato (per fortuna). O hai la capacità, quasi impossibile, di scegliere un pubblico di nicchia, specializzandosi in settori particolari.
Non credo ai naif: furbi che si spacciano per ingenui perché non hanno voglia di leggere gli Autori (esistono, gli Autori, in primis Dante) e quindi di crescere.
Ci vuole talento, questo sì. Bisogna esserci portati, altrimenti meglio fare altro.
10% ispirazione, 90% traspirazione, questo succede.
Ogni scrittore ha il suo tipo di lettori, quelli che ci si trovano a proprio agio. Vendevano più Sue di Hugo, Dumas di Balzac, e il solo giudice è il tempo.
Solo che Sue e Dumas rispettavano Hugo e Balzac (che comunque vendevano molto): questa è la capitale differenza con oggi, in cui buona parte delle professoresse non ha ancora letto Gadda e Fenoglio.
Leggere necesse est, scrivere non necesse. Non solo, leggere per leggere. Poi si vede, magari si scrive, anche.
Ma il pubblico è variegato. Ognuno, in fondo, lo sa qual è il pubblico che fa per lui, e ci si attiene. Il di più viene dal maligno, e in questo caso il di più è sprezzare ciò che si fa finta di non capire. Quelli che sanno veramente cone stanno i valori non sono i critici, ma gli altri scrittori, solo che generalmente non lo dicono. Lo stesso succedeva e succede ai pittori, musicisti etc etc: competition is competition, tutto qui.
grazie Remo e saludos
Solimano
Sono giunto quasi al termine del famoso libro di Andrea Vitali: Una finestra vistalago (Non me ne volere appena terminato tocca al tuo …è splendido come ho già scritto da qualche parte quel libro mi ha fatto riscoprire l’arte del narrare e la gioia di leggere …spero che sia così anche col tuo :)
michele mari.
vorrei degli esempi di scritture che non hanno timore della complessità, però.
perché subentra spesso l’equivoco: quel che per me è semplice per altri è complesso.
ma si dovrebbe restare sugli scrittori d’oggi: perché la lingua, mi riferisco al parlato, non è più quella di pirandello.
mah, leggo e mi chiedo.
uno secondo me scrive com’è. c’è chi vive una vita costellata di asterischi note a piè di pagina secondarie delle secondarie eccetera. e chi invece vive soggetto predicato oggetto. forse un attributo ma non è detto.
in mezzo ci sta tutto il mondo.
è giusto semplificare per chiarire, non è giusto farlo se ci si snatura.
è giusto ricercare uno stile, il proprio possibilmente, ma se questo viene fatto per amor di belle lettere secondo me è una stronzata. diventa una forzatura artificiosa che puzza e infastidisce.
per fare gadda bisogna essere gadda. come per fare remo bisogna essere remo.
uno stile è tale quando ti esprime e ti rispecchia. è come quando qualcuno dimentica di firmare un intervento, o una lettera. se lo riconosci lo stesso, ecco, quello ha trovato il suo stile.
il mio è caotico e inconcludente, per esempio.
quindi vi grazio e smetto.
mario, perdonami la confidenza, qui te lo appoggio in pieno. (senza spingere, s’intende).
mi dispiace, Remo, sbagli. La semplicità non è di per sé un valore, lo diventa dal momento che si qualifica come poetica.
Scrivere semplice, preservando la sostanza letteraria, è talento di pochissimi. Si può e si deve tendere alla parsimonia sintattica e lessicale senza mai aver timore della complessità.
alessandro.
sui paletti: magari domani o stasera proporrò quelli che Vargas spiegò alla Holden; penso ci si possa confrontare.
mario,
quell’editore ha fatto una valutazione sul cacciatore di aquiloni; quell’editore fa come tanti: pubblica cose commerciali che gli consentono di pubblicare anche libri non commerciali.
quando hai quaranta dipendenti certe scelte possono significare andare a gambe all’aria.
sai mario, un conto è fare gli editori tipo fantacalcio: io pubblicherei il tale e il talaltro.
un conto è dover fare anche di conto: pagare i fornitori e gli stipendi.
poi sul coraggio, ognuno lo interpreta a modo suo: fu coraggioso Mozzi a pubblicare Perceber?
di sicuro è coraggiosa la Sironi, ora, a pubblicare Amici miei di Luisito Bianchi. A chi interessa, oggi, della fabbrica e di un prete che dice cose rivoluzionarie e scomode partemndo dal Vangelo?
scusa remo, ma è così fondamentale per te porsi la domanda su chi è il tuo lettore, per chi dovresti scrivere? la cosa la girerei così, penserei lettore che entra in libreria e si domanda: chi sarà il mio scrittore?
il senso è che se ti poni quella domanda sul lettore è come se ti mettessi dei paletti mica da ridere, credo.
a Camilleri contesto solo una cosa…
spaccia per sicilianità la Sua idea di sicilianità
è non è solo sua la colpa
Per non parere semplicista aggiungo:
1.Il parere di quell’editore era il suo parere(poco coraggioso o donabbondiesco) e basta.
2.Se nella storia della narrativa italiana, anche presente, tutti gli editori fossero di quell’avviso la ricerca letteraria sarebbe morta.
3.La ricerca letteraria, in narrativa, pur difficilmente, prosegue. L’operazione di elaborazione di linguaggio nell’arduo tentativo di narrare storie esprimendosi (e indagandosi) con un proprio stile personale, originale che sia aderente al sentire profondo del tempo presente è la base della ricerca.
4.Non si può certo pretendere che gli editori stampino solo opere di ricerca: chiuderebbero di sicuro, di questi tempi bassi.
5.Per fortuna esistono editori che rischiano e tentano, cerchiobottisticamente, di gettare sul mercato sottostante, e opere di ricerca e opere commerciali.
6.Camilleri ha avuto il gran merito di narrare in un liguaggio suo personale introducendo il dialetto, ostinatamente e grandiosamente, nella narrativa italiana, ed è stato premiato, e gli fo tanto di cappello. Controvertendo quella regola, quindi. Non scrive semplice, no, il Camilleri. Conosco dei gran lettori che ai suoi inizi lo odiavano.
ciao alessandro, grazie.
comunque.
la “cosa” che sto scrivendo: una editor di una grande casa editrice ha letto (in amicizia) i primi due capitoli.
li ha promossi, pur facendo qualche osservazione.
ma li ha promossi.
io invece li ho bocciati, e riscritti venti volte, quei due capitoli.
posso lavorare su una frase, cercare di remderla più fluida, posso cercare sinonimi più appropriati, interrogarmi su virgole, iterazioni, anacoluti.
ma alla fin fine voglio scrivere quello che sento nelle orecchie (come ha detto sabrina).
e poi, quando rileggerò e scriverò, voglio scrivere a chi dico io.
chi sono i miei lettori potenziali: l’editor che mi leggerà, certo, ma anche le persone che mi stanno accanto,o che ho conosciuto, o degli sconosciuti, invece.
si scrive per dei fantasmi, a volte.
è una lettera con 100, o 10mila destiantari la storia che mettiamo giù, quando narriamo su carta.
ma vorrei dire qualcosa sulla semplicità.
pontiggia è un autore che scriveva con semplicità?
pratolini?
certo, silone sì.
ma semplice non semplice dipende dalla nostra cultura. e ci sarà sempre chi ne ha più di noi, di cultura: trovando semplice quel che noi troviamo complesso.
forse per questo che i grandi grandi cercano il semplice semplice, chissà.
il rispetto del lettore, hai scritto, e questo mi sembra un punto fondamentale. in quel rispetto io vedo il mio modo di scrivere e di pormi; il mio stile, quindi, basato sul mio modo di vedere le cose e farle rivedere agli altri, nessun altro filtro se non il mio, senza nessun “inganno”. scrivo ciò che sento e voglio rappresentare, e lo faccio senza l’assillo di piacere a tutti. il rispetto del lettore dovrebbe essere, per uno scrittore, seguire la propria strada con onestà intellettuale. questo sono e questo scrivo.
quello di migliorarsi e cercare di arrivare ad un prodotto “perfetto” (quindi chiamare nel cuore della notte il proprio editor e confrontarsi su una virgola) credo sia il minimo sindacale.
ciao, remo.
– annalisa,
non conoscevo. La banda Bonnot mi incuriosisce: e l’ho messa in lista d’attesa
– caro mario,
gli editori hanno anche un’anima commerciale, da sempre. O vendi o la concorrenza ti schiaccia. Libri, giornali, televisione: è così. E comunque il rapporto tra scrittura-sempliuce e vendibilità è uno dei rapporti che a volte può incidere ma spesso no. E’ triste, ma una buona copertina e un buon titolo – dicono gli esperti di editoria ai corsi – determinano il successo o meno del libro. Insieme alla distribuzione, ovvio.
.ginni, sottoscrivo:
alcuni periodi mi piace che filino via come un treno nella notte, altri che richiedano la mia attenzione.
– alessandro,
una volta ho sentito del tutto casualmente (invece di cazzeggiare…) una lezione di pedagogia, in università. Il docente era tal Remo Fornaca. Parlava di Danilo Dolci. Disse: a volte mi svegliava anche di notte per chiedermi per chiedermi di una virgola. Non prendetela per insicurezza: è rispetto del lettore.
– hai ragione red, la semplicità è un arte. Non c’è nulla di più facile che lo scrivere difficile diceva Popper. E Borges (ho perso la citazione,non la trovo più) diceva che è meglio una frase con una ripetzione rispetto a una bella ma poco chiara.
La chiarezza, innanzitutto.
– Sabrina,
io penso anche che sia una questione di scelta. Mentre scrivevo Lo scommemttitore mi chiedevo: questa frase, i ragazzi che hanno lavorato con me in fabbrica la capirebbero?
– Grazie lucycy,
il problema non è vendere tanto. Se io scrivo un libro che avrà 100 lettori il problema è: quanti capiranno? (perché, ripeto, non è la semplicità l’elemento fondamentale che fa vendere; ci son mille componenti).
– Grazie Mysya
– Pessimesempio,
io non conosco scrittori che vogliano vendere poco. E comunque: Bernhard piace anche a me, ma se tutti scrivessero come lui mi annoierei. Ricordo di aver alternato un Saramago a un Izzo: con (il) piacere (dell’alternanza).
Direi che poi c’è da considerare un altro aspetto: scritture semplici che vanno in profondità.
Ricordo quando anni fa recitavo con altri Pirandello. Sembrava facile.
– Mario, Saramago vende tantissimo.
– Elisabetta: semplice non è banale.
Lo sai che condivido.
Dopo aver scritto Le correzioni, Franzen dichiarò di avere una preoccupazione: quella di non farsi capire.
semplice non è banale. E tu non sbagli.
un abbraccio
Elisabetta
Beh, allora facciamo narrativa semplice e buttiamo i libri de Gadda ‘n tel rogho
e pure D’Arrigo, vaààà
Non è una domanda facile. A me la semplicità, per naturale inclinazione, non piace e preferisco un periodare complesso, stile Sebald o Bernhard, per intenderci, che ti costringa all’attenzione e magari alla rilettura o immediata o a distanza di tempo. Un periodare in cui puoi cogliere l’inerpicarsi della mente. Ma è questione di gusti, credo. A pensarci è anche questione di abitudine e di allenamento.
Ma se parli di vendita, il discorso cambia: perchè allora gli scrittori non si dedicano tutti alla serie Harmony?
non sbagli affatto.
la verità è spesso nella semplicità.
se è scritto in modo semplice è utile a più persone(mio modesto parere)
a proposito di semplicità…
in un articolo pubblicato sull’espresso del 15 maggio (e poi contestato con lettera dell’interessato sul numero successivo dell’espresso), Umberto Eco avrebbe dichiarato: “Due sono i filosofi pessimi del Novecento, Heidegger e Wittgenstein. Scrivevano per non farsi capire. Deleteri. E succube la cultura italiana che li ha osannati per decenni.”
Io credo sia sempre una questione di onestà.
La scrittura per me è personale come la forma delle sopracciglia. Si può certo correggere, per renderla più armoniosa, ma se esageri ottieni un risultato innaturale, che non convince nessuno.
Ci sono persone che pensano per frasi brevi, persone che pensano per frasi lunghe piene di incisi. La scrittura deve aderire al pensiero, morbidamente d’accordo, ma deve stare lì, attaccata alla spina dorsale del pensiero.
Non è detto che questo faccia sì che quella scrittura venda. Ma quella è tutta un’altra faccenda.
Diverso è il discorso della scrittura tecnica o divulgativa: in quei casi la chiarezza è la direzione assolutamente da seguire. Se scrivi per spiegare un concetto, il concetto deve essere comprensibile alla più parte di persone possibile, è nell’interesse del tuo testo.
Ma raccontare delle storie è altro, no?
sabrina
beh… la semplicità di scrittura è un’arte.
e spesso è fondamentale.
e non riguarda solo la letteratura.
per ragioni di lavoro scrivo moltissimo e sono costretta a dilungarmi su concetti e nozioni non sempre facili da capire
un tempo pensavo che un avvocato bravo dovesse essere incomprensibile
non è così
un avvocato bravo deve saper scrivere con estrema chiarezza e semplicità cose complicate rendendole credibili. deve saper convincere
e non si convince con la complessità ed i contorsionismi
così ho preso l’abitudine di far leggere i miei atti (di solito molto teorici… pareri ecc…) ad una persona “comune” che ha un buon senso del diritto e della “parola”… se capisce, lui capiranno anche i giudici, e se convinco lui… sono a metà dell’opera…
scrivere per i lettori, farsi paranoie su quello che gli altri vorrebbero leggere, seguire i gusti del pubblico… tutto questo non credo rientri nella letteratura ma in un più sano ideale commerciale, ossia voglia di vendere, in subordine nella più terrena voglia di piacere agli altri (dalla quale nessuno può sfuggire).
caro remo, spero tu non confonda la mia franchezza con l’arroganza o la maleducazione o che ne sò, ma è questo che mi è venuto in mente leggendo le tue righe.
è giusto avere persone di fiducia che controllino e aiutino i nostri lavori a crescere, che ci facciano migliorare, ma sul fatto di stare dietro al gusto degli altri proprio no.
il discorso delle vendite… bè, quello è troppo difficile da affrontare, ci sono troppe variabili, culo compreso, e sono di fretta (porto il ragazzo all’asilo).
buona giornata.
Ciao Remo, non sbagli.
Se non diventa un imperativo quello di acclarare a tutti i costi. Sono per l’et-et: alcuni periodi mi piace che filino via come un treno nella notte, altri che richiedano la mia attenzione.
“la gente ama le scritture semplici….”
e gli editori amano farsi ‘na ricetta che ci metta la cossiensa a posto,
la testa ‘n tel sacco,
e il portafollio al caldo, per dire,
tanto per generalizzare,
tanto per adeguarcisi al dir di quell’editore
No, non sbagli, credo.
A volte le persone che conosci, i lettori, vedono cose meglio di tanti editor o editori.
La banda Bonnot la conoscevo.
Conosci: l'”onore della Virginia– ovvero insane passioni ed efferate gesta di Hadrowa Oreste dello il Dottorino”?
Magari ti piace. :-)