racconto collettivo – 1

Allora, ora si prosegue. Chi ha commentato (tutti possono meno gli anonimi sospetti o a me sconosciuti) hanno optato per l’ipotesi numero quatro, di Gea Polonio.

Gli impreparati alla vita, come Giulio.
Anna, che di professione fa l’assistente sociale, ma se facesse altro, tipo rappresentante di tanga e ragazza cubo sarebbe meglio, mi ha detto: “Tina, cosa credi, guarda che Giulio ha quarantatré anni”.
Quarantatré, ma come quarantatré, ne dimostra più di sessanta, pensavo io.
Giulio ha dentro secoli, ma questo io non lo sapevo.
Io volevo sapere chi fosse, ringraziarlo, per questo avevo chiesto di lui a quell’oca di Anna.
(incipit)

”Ha avuto un trauma, sai?”
Aveva l’aria soddisfatta, mentre lo diceva. Appagata da questa sua diagnosi spicciola.
Un trauma spiega tutto, no? Anche i serial killers ne hanno avuto di certo uno. E bello grosso.
Ma Giulio non è un assassino.
Non quel tipo di assassino, almeno.
(Gea Polonio).

Chi vuole continuare (tutti, possono) invii il suo contributo a
raccontiaquattromani@gmail.com
(che domani si vota e si riparte, vediamo fino a dove).

Primo contributo.
(…)
Non quel tipo di assassino, almeno.

Credo. Non è che ne sapessi molto, allora, di assassini. E di Giulio, quasi niente. Che aveva 43 anni e non 60, un vestito scuro stropicciato, occhi chiari e sorriso faticoso, un’amica come Anna, e la frequentazione del suo ufficio di assistente sociale. Immaginavo non dovesse passarsela troppo bene: i sospiri e il rotear d’occhi di Anna erano stati abbastanza eloquenti. Un trauma nel passato e sospiri nel presente.
C’era da chiedersi se fosse il caso di insistere o se non fosse meglio lasciar perdere.
Ma mi sentivo in dovere, e a me il senso del dovere mi ha sempre fregato, in un modo o nell’altro.

Secondo contributo.
(…)
Non quel tipo di assassino, almeno.

Girava una storia, o forse una leggenda. Giulio che lavorò nei Servizi. Non nei ranghi ufficiali, ma che fosse comunque nel libro paga. Informatore, dicevano. E quando chiedevi come facessero a saperlo, ti rispondevano “guarda strano, come una spia”.
Se ne infischiavano, ovviamente, se quello sguardo fosse dolore. Solo un maledetto e fottuto dolore.

Terzo contributo.
(…)
Non quel tipo di assassino, almeno.

A valanga Anna, maestra del genere, mi aveva rovesciato addosso un mare di informazioni.
Oddio, informazioni. Pettegolezzi, più che altro. Gira voce che.
Che era stato sposato, che aveva perso, male, la moglie, si diceva incinta. Che beveva, o forse addirittura si drogava.
Certo era che a casa sua non c’era mai stato nessuno, che mai era stato visto sorridere o scambiare due parole con qualcuno.
Io quello che sapevo per certo era che aveva un buon odore. E che mi aveva salvato la vita.

Quarto contributo.
(…)
Non quel tipo di assassino, almeno.

Se Giulio ha mai ucciso qualcuno…ha ammazzato sé stesso. Giorno per giorno, con metodo, tra il bere, il fumare e una vita da gente così così, come cantava Vecchioni al Signor Giudice
( si mangi l’arancino, col suo pomodorino…). Non che si fosse perso in qualche guaio grosso, lo frenava una timidezza profonda, che ha il difetto di isolare da ciò che il mondo di buono può dare, ma anche dagli scivoloni netti in fondo alla scarpata delle illusioni perdute. Piccole cose, furtarelli. Restando tuttavia quel bel cuore che era nato, in un giorno di maggio e come tale era restato, pur offeso nell’età migliore. Un lampo nero nel chiarore. Era giovane, allora, Giulio. E tale sembrava

Quinto contributo.
(…)
Non quel tipo di assassino, almeno.

Non uno che avesse scelto di ammazzare qualcuno insomma, ma uno che ci si era trovato perché la vita, chissà perché, ce lo aveva portato, proprio lì, in quella famiglia, in quella cucina, quella sera.

Perché di un ragazzino sconvolto, che afferra il coltello della cucina e che, con un colpo solo, uccide il padre che da una vita ammazza di botte moglie e figli, tutto si può dire, ma non che sia un assassino.

Sesto contributo.
(…)
Non quel tipo di assassino, almeno.

Aveva le mani piccole. Ricordo di essermi soffermata tanto su quel particolare. Non stavano mai ferme per un tempo lungo abbastanza. Se le tormentava continuamente. Il pollice destro percorreva in su e in giù ogni centimetro del palmo e proseguiva il massaggio fin sulle punte dei polpastrelli. Quando aveva terminato con la destra ripeteva la stessa identica procedura muovendo il pollice sinistro alla ricerca di qualcosa che mi era ignoto. Avrei voluto fermarle, bloccare quel moto quasi perpetuo.

Settimo contributo.
(…)
Non quel tipo di assassino, almeno.

Ma di questo, vale a dire della strage che gli s’imputava- curiosissima moria per avvelenamento di tutte le cornacchie della Val di Non- racconterò in seguito.
Intanto, quel fatto del trauma m’incuriosiva parecchio. I principali sintomi dovuti ad un evento traumatico sono:
Flashback: un vissuto intrusivo dell’evento che si propone alla coscienza, “ripetendo” il ricordo dell’evento.
Numbing: uno stato di coscienza simile allo stordimento ed alla confusione.
Evitamento: la tendenza ad evitare tutto ciò che ricordi in qualche modo, o che sia riconducibile, all’esperienza traumatica (anche indirettamente o solo simbolicamente).
Incubi: che possono far rivivere l’esperienza traumatica durante il sonno, in maniera molto vivida.
Hyperarousal: caratterizzato da insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzate.
Dunque non c’era da meravigliarsi se l’inverno fosse calato di botto sul viso di quell’uomo. E io sono quel tipo di persona che ama attraversare le tormente.

racconto collettivo

Si vota ancora per un paio d’ore, poi posto:
incipit (mio) e continuazione (rivelando il nome dell’autore o autrice)
e poi si procede col racconto collettivo:
chi volesse provare a dare il proprio contributo potrà, ma solo dopo la pubblicazione del prossimo post, scrivere a
raccontiaquattromani@gmail.com
e poi si va avanti finché non ci si incarta.
e se ci son domande, fate.

E comunque.
Ringrazio tutti quelli che hanno provato a proseguire un incipit non facile, poco vago.

racconto a più mani: 7 ipotesi

Prima ipotesi.

Gli impreparati alla vita, come Giulio.
Anna, che di professione fa l’assistente sociale, ma se facesse altro, tipo rappresentante di tanga e ragazza cubo sarebbe meglio, mi ha detto: “Tina, cosa credi, guarda che Giulio ha quarantatré anni”.
Quarantatré, ma come quarantatré, ne dimostra più di sessanta, pensavo io.
Giulio ha dentro secoli, ma questo io non lo sapevo.
Io volevo sapere chi fosse, ringraziarlo, per questo avevo chiesto di lui a quell’oca di Anna.

Ovvio che avevo sbagliato referente. Anna, ben conscia delle sue parole, aveva denigrato Giulio ai miei occhi. Mi domandai perché. E ci misi poco a scoprire che lei lo voleva per sé. Tutto per se, la stronza.

Seconda ipotesi.

Gli impreparati alla vita, come Giulio.
Anna, che di professione fa l’assistente sociale, ma se facesse altro, tipo rappresentante di tanga e ragazza cubo sarebbe meglio, mi ha detto: “Tina, cosa credi, guarda che Giulio ha quarantatré anni”.
Quarantatré, ma come quarantatré, ne dimostra più di sessanta, pensavo io.
Giulio ha dentro secoli, ma questo io non lo sapevo.
Io volevo sapere chi fosse, ringraziarlo, per questo avevo chiesto di lui a quell’oca di Anna.

Per questo quel sabato ero lì, a chiedermi se avevo fatto bene, a guardare le scarpe troppo eleganti, a sentire i chili di troppo, a specchiarmi nella vetrina del caffè e a non riconoscermi in quella signora vestita di scuro così diversa da quella che mi sentivo.
Ancora dieci minuti, poi vado, avevo pensato.
Va bene i ringraziamenti, va bene anche il traffico, va bene quel che mi aveva detto Anna, ma non avevo tempo da perdere, io.
O se anche l’avevo, non volevo dimostrarlo così, subito, in quell’attesa.

Terza ipotesi.

Gli impreparati alla vita, come Giulio.
Anna, che di professione fa l’assistente sociale, ma se facesse altro, tipo rappresentante di tanga e ragazza cubo sarebbe meglio, mi ha detto: “Tina, cosa credi, guarda che Giulio ha quarantatré anni”.
Quarantatré, ma come quarantatré, ne dimostra più di sessanta, pensavo io.
Giulio ha dentro secoli, ma questo io non lo sapevo.
Io volevo sapere chi fosse, ringraziarlo, per questo avevo chiesto di lui a quell’oca di Anna.

Anna sa sempre di tutti; non la invidio per niente. Come faccia a stare dietro a tutti quei gossip da paese me lo sono sempre chiesta. Poi, a dirla tutta, chissà cosa racconta di me, chissà cosa andrà a dire in giro adesso. Senza sapere, senza domandare. Senza rispetto.
Rispetto mi ripetevo, Giulio merita rispetto…

Quarta ipotesi.

Gli impreparati alla vita, come Giulio.
Anna, che di professione fa l’assistente sociale, ma se facesse altro, tipo rappresentante di tanga e ragazza cubo sarebbe meglio, mi ha detto: “Tina, cosa credi, guarda che Giulio ha quarantatré anni”.
Quarantatré, ma come quarantatré, ne dimostra più di sessanta, pensavo io.
Giulio ha dentro secoli, ma questo io non lo sapevo.
Io volevo sapere chi fosse, ringraziarlo, per questo avevo chiesto di lui a quell’oca di Anna.

”Ha avuto un trauma, sai?”
Aveva l’aria soddisfatta, mentre lo diceva. Appagata da questa sua diagnosi spicciola.
Un trauma spiega tutto, no? Anche i serial killers ne hanno avuto di certo uno. E bello grosso.
Ma Giulio non è un assassino.
Non quel tipo di assassino, almeno.

Quinta ipotesi.

Gli impreparati alla vita, come Giulio.
Anna, che di professione fa l’assistente sociale, ma se facesse altro, tipo rappresentante di tanga e ragazza cubo sarebbe meglio, mi ha detto: “Tina, cosa credi, guarda che Giulio ha quarantatré anni”.
Quarantatré, ma come quarantatré, ne dimostra più di sessanta, pensavo io.
Giulio ha dentro secoli, ma questo io non lo sapevo.
Io volevo sapere chi fosse, ringraziarlo, per questo avevo chiesto di lui a quell’oca di Anna.

Al solito Anna aveva commesso lo sbaglio di non giudicare, come insegnano ad ogni assistente sociale che si rispetti (si dice “sospendere il giudizio”) e con il passare degli anni si stava accorgendo che a furia di “non giudicare” spesso non “coglieva”.

Sesta ipotesi.

Gli impreparati alla vita, come Giulio.
Anna, che di professione fa l’assistente sociale, ma se facesse altro, tipo rappresentante di tanga e ragazza cubo sarebbe meglio, mi ha detto: “Tina, cosa credi, guarda che Giulio ha quarantatre anni”.
Quarantatre, ma come quarantatre, ne dimostra più di sessanta, pensavo io.
Giulio ha dentro secoli, ma questo io non lo sapevo.
Io volevo sapere chi fosse, ringraziarlo, per questo avevo chiesto di lui a quell’oca di Anna.

Facile buttar lì “quarantatré!”, a mani giunte e voltando gli occhi in su, con quel movimento del capo che indica riprovazione e sconforto.
” E’ stato un caso. Solitamente non sa quel che si fa. T’è andata bene che sarà stato ai primi giri di bianco, di bar in bar, o non avrebbe avuto i riflessi tanto pronti!”
” Sì, ma se non mi avesse afferrata per un braccio, il ragazzetto in motorino m’avrebbe presa in pieno! M’ha tratta in salvo e se n’è andato subito, quasi avesse vergogna di sé…”.
Ha vergogna di sé, Giulio. Di avere un sorriso zoppo, perché gli mancano alcuni denti davanti e guarda negli occhi, fisso, la gente, soltanto per pochi attimi, poi volge lo sguardo a terra e se ne va al più presto, col suo passo un po’ incerto, bravo a fuggire quando vede Anna ed altre come lei, caritatevoli. Ispide.

Settima ipotesi.


Gli impreparati alla vita, come Giulio.
Anna, che di professione fa l’assistente sociale, ma se facesse altro, tipo rappresentante di tanga e ragazza cubo sarebbe meglio, mi ha detto: “Tina, cosa credi, guarda che Giulio ha quarantatré anni”.
Quarantatré, ma come quarantatré, ne dimostra più di sessanta, pensavo io.
Giulio ha dentro secoli, ma questo io non lo sapevo.
Io volevo sapere chi fosse, ringraziarlo, per questo avevo chiesto di lui a quell’oca di Anna.

Non fosse stato per lui, quella sera, attraversando il parco, ché da scema avevo pensato di far prima per arrivare al parcheggio, non so che fine avrei fatto.

Lui era lì, seduto sulla sua panchina, e aveva visto quei due arrivare da dietro. Allora si era alzato, mi era venuto incontro, e prima che capissi cosa stava succedendo, mi aveva fissato con due occhi chiari, mi aveva teso la mano e mi aveva detto:”Venga, si fidi.” Io non avevo potuto fare altro che lasciarmi prendere a braccetto, come se l’avessi sempre conosciuto, e arrivare con lui al parcheggio.

Date un solo voto a una di queste ipotesi.
E poi si va avanti o si procede.
Io, renderò noto solo il nome di chi ha scritto il pezzo che riceverà maggiori consensi.
La continuazione è aperta a tutti.
Il mio contributo – lo ricordo – è l’incipit, in corsivo.
Poi vediamo cosa fare, cammin facendo e cammin improvvisando.
Notte oppure buon venerdì.