Raccontiaquattromani/21

Quattromani

Sono andati, passati, i tempi in cui si viveva. Adesso è solo una lunga attesa. Attesa poi di cosa non ci è dato sapere. Se finora non ha gettato tutto è perché ogni tanto le piaceva venire a piangere sui ricordi. Ora non fa altro. Che piangere. La sento. Di là. Le sue mani, quelle mani bianche, lunghe e ossute, così eleganti, così curate, sensuali, non profumano più di limone. Sanno di fumo stantio e disperazione.

Siamo arrivati in questa casa con Lui, dentro un grazioso pacchetto di carta blu. Le aveva detto, mentre lei ci estraeva compiaciuta e felice, che con noi non avrebbe mai avuto freddo. Capretto bianco ammorbidito come si deve, lavorato dal migliore guantaio della città, rinomato anche oltre confine. Sottili, delicati e abbelliti da una fila di piccoli bottoni di madreperla a chiudere i lembi sull’esile polso, creando un’asola in cui Lui amava passare il dito accarezzandole la pelle sensibile. E lei era percorsa da brividi. Come sono caldi, aveva sussurrato quella volta, indossandoci e facendoci assorbire il suo lieve profumo.
Siamo stati regalati per le ore d’amore. Siamo stati testimoni delle carezze fatte in parchi invernali. Eravamo le sue mani di battaglia, della sua personale battaglia d’amore. La sua seconda pelle. E ricordo come scivolavamo sulle dita bianche, lisce, sottili.
Ne abbiamo fatte di cose insieme. Era eccentrica, senza limiti, teatrale. Così unica. Così irresistibile. Speciale. Tanto da poter indossare guanti di pelle candida, le aveva detto Lui. E davvero si voltavano tutti a guardarla quando camminava per strada. Erano tempi di splendore. Di spensieratezza.
E lei era così presa. Persa. Di Lui, per Lui. Era felice in quei tempi, era innamorata.

Vorrei avere ancora il mio compagno. Chissà che fine ha fatto. L’ultima volta lo vidi sul sedile dell’auto mentre Lui le stava spezzando il sorriso. Credo lei abbia dimenticato lì il mio gemello e anche se stessa. O almeno i suoi sogni e la speranza. Quando siamo stati separati e mi sono trovato a essere un ricordo doloroso da chiudere in un cassetto, l’inverno stava finendo e non faceva freddo, ma lei ci aveva indossato ugualmente. Hai belle mani, perché le copri sempre? aveva detto Lui insofferente, quando eravamo arrivati al parco, di fronte allo stagno, dove era solito aspettarla. Sai che indossarli mi ricorda te, sono caldi, aveva risposto lei, con voce pacata. Ma quella fu la mattina in cui tutto naufragò contro gli scogli aguzzi dell’incomprensione. All’improvviso Lui era cambiato, non era più così sicuro.
E lei soffrì molto. Uscì veloce dall’auto parcheggiata sulla riva scappando fra gli alberi, dimenticando il mio compagno.
Mi usò per asciugarsi le lacrime, venni appallottolato nella borsetta, scagliato sul tavolo di casa.
Un giorno di sole come lo è oggi, mi ha preso con delicatezza, come se il dolore e la sofferenza avessero trovato un luogo mite nella sua mente dove riposare, e mi ha deposto con cura in questo cassetto.
Ora è il nulla di ore interminabili ad ascoltare i rumori di fuori e i sussurri degli oggetti che sono qui. Andati, passati. Delle volte mi perdo nei bisbigli delle lenzuola riposte in altri cassetti che raccontano storie di letto. Ricordi, solo ricordi. Nulla più.

Al buio, con il pelo del collo del cappotto che copre il mignolo, le piume stanche del boa sul palmo bucato.
Quando mi ha messo qui dentro lo ha fatto con attenzione, non mi ha gettato in malo modo come è capitato alla cintura di seta o alle calze verdi, mi ha steso in un angolo, quasi fosse un rituale. Ha sospirato e poi ha chiuso il cassetto.
Sarebbe stata dura, per Lei, separarsi definitivamente da me. Il cassetto ogni tanto lo si può aprire.
In questo caos di lacrime e sorrisi io sono senz’altro il ricordo più dolce e doloroso. Il boa spennato è il retaggio di una festa di fine anno, il collo d’ermellino una fugace vestigia da mercatino delle pulci, la cintura, le calze, la penna stilografica sono solo oggetti dimenticati, ma io rappresento il ricordo più intenso e passionale. Non il solo, certo. C’è il guanto bianco. Ma io racchiudevo, proteggevo la mano di lui.

Un tempo, eravamo in due e avevamo un senso di funzionalità. E’ stato lui a comprarci, in un laboratorio di una simpatica magliaia che cantava l’Aida mentre ci creava. Ci ha presi insieme a Lei, è stata Lei che ci ha scelti. Diceva che anche lui doveva indossare guanti per le carezze d’inverno. Le piaceva la morbidezza del nostro tocco sulla pelle, le dita passate tra i suoi lunghi capelli. E lui ci usava per racchiuderle il viso nel calore della lana riparandola dal vento. Riscaldandole le gote e il respiro. Erano felici. Fino al giorno in cui lacrime e dolore hanno invaso l’abitacolo dell’auto. Quando Lei ha aperto il cassetto del cruscotto per cercare un fazzoletto capace di arginare quella sofferenza, per sbaglio mi ha afferrato. Nessun fazzoletto nel cassetto, ma nel caos del momento mi ha riposto in borsa e non vicino al mio pari. Ore dopo, a casa, quando mi ha trovato, mi ha scagliato con rabbia per terra, sventrandomi il palmo con le unghie, per raccogliermi subito dopo e annusarmi cercando tra le mie pieghe tracce di lui.

E ora se ne sta di là. Tra fumo stantio e disperazione. Forse se pensasse che lui, quella sera, trovò nell’auto due di noi, quattromani di un amore invernale, e che lui da quella sera custodisce con nostalgia due di noi, quattromani di un perduto amore, forse si asciugherebbe le lacrime con quelle sue belle dita e uscirebbe a passeggiare nel caldo sole d’autunno.

un po’ di tutto

Ho appena finito di autografare otto, o nove libri non so, magari dieci. Ho voglia di fumare, di uscire, di raggiungere Marino Magliani, ringraziarlo, dirgli che la presentazione a Imperia del mio libro non poteva andare meglio: quaranta persone almeno in una serata caldissima, la troupe della Rai, la signora che, alla fine della presentazione, dice che…, la gradita visita di Latifah, prima dell’inizio.
Sto per uscire, e proprio quando metto in tasca la mano per tirare fuori la camel light sento una voce che mi chiama: Bassini.
E’ il libraio. Mi chiede se conosco una certa Loredana B.
Perché sa -aggiunge – ho visto che lei di Cortona e io conoscevo questa ragazza, con il suo stesso cognome, di Cortona pure lei.
E’ mia cugina, dico. Lui mi guarda. E’ troppo poco come risposta.
Tre parole che non dicono niente. Ho più di venti cugini primi, penso, e penso anche che non c’è tempo per raccontargli la storia, che magari lui conosce, di questa mia cugina che, con altri tre fratelli, perse il padre che era piccina.
Il mondo è piccolo, comunque. A Imperia trovo, meglio ritrovo, questo ricordo, ché io e Loredana siamo stati compagni di gioco in un’estate spensierata quando si aveva sedici anni, e trovo anche una signora di Vercelli, un’ex assessore, combattiva, bella persona, che non conoscevo…
E per la prima volta, a Imperia, e c’è stata attenzione, proprio parlando del mio passato (Cortona) e del mio presente (Vercelli) ho spiegato meglio Anna Antichi, la protagonista de La donna che parlava con i morti.
Oltre al giallo, oltre alla storia d’amore: e non so mica se è giusto spiegare un libro.
Comunque.
Ho detto che tra me e Anna Antichi c’è un punto in comune che è lo stesso punto in comune che hanno tante persone, oggi.
Siamo figli dell’Italia del dopoguerra, cattocomunista, superstiziosa. Oggi siamo figli d’una tecnologia che ci fa passare ore davanti a dei monitor, io almeno.
Ho ricordato quando, ragazzo, andavo a raccogliere il grano, appunto a Cortona.
I covoni, lasciati sul campo, che noi (intendo due squadre) con i forconi caricavano sui carri (barocci) trainati da una coppia di vacche chianine.
Poi, dopo aver sudato e bestemmiato e cantato, si andava sull’aia, a bere vino.
Lì, ascoltavo storie.
Anna Antichi è un po’ così. Ha avuto una storia(ccia) d’amore grazie a una chat ma si sente attratta, e non è solo nostalgia, al mondo di suo padre.

Racconti.
A proposito del numero di battute in eccesso.
Allora, mi fa sicuramente piacere quello che ha scritto Enrico Gregori, e cioè:
C’era una regola inerente il numero delle battute, è vero. Remo ha ritenuto di fregarsene. Non riesco a dargli torto. Nè, peraltro, riesco a dar torto a chi pensa “bè, se anche il mio racconto fosse andato oltre il rigaggio, sarebbe venuto meglio”. Sì, vero. Ma la controprova non c’è. Insomma io personalmente me ne frego.
Peraltro (non che sia un invito a tale procedura) in sede di “votazione” ognuno sarà libero di ritenere se l’aver oltrepassato il rigaggio debba o no essere considerato un elemento a sfavore.
Ringrazio Enrico, e aggiungo qualcosa.
Se a me dicono di scrivere un racconto con un numero massimo di 5500 battute io scrivo un racconto di 5500 battute.
Nella sezione racconti (https://remobassini.wordpress.com/racconti/) n’è uno, il primo, (pubblicato su No Tag) che è di 5500 battute.
Avevo scritto che in caso di cento battute in più non sarei stato lì a sindacare.
Poi è successo che mi son concentrato sui racconti (un paio di editing, discussioni con alcuni, cercare il socio a chi non l’aveva), insomma:dal momento che il lavoro non mancava davo per scontato che tutti avessero mantenuto le 5500 battute. Finché un giorno, leggendo un racconto, dico tra me e me: questo è più lungo. E in effetti lo era. Mi resi anche conto, fatte altre verifiche, che non era l’unico.
Bene, pensai né più né meno quel che ha scritto Enrico, sopra.
Stavolta è andata così.

Sulla votazione. Lo peto. Chi ha partecipato, più, se vogliono, le due persone che mi hanno dato una grossa mano (cioè Monia e T) possono votare i sei racconti migliori; (do per scontato che non si vota il proprio). Più che un voto lo vedo come un atto finale: si stabilisce quali sono i sei racconti (due apriranno l’ebh, due lo chiuderanno e due staranno in mezzo) più rappresentativi di questo esperimento.
Allo stesso tempo, possiamo proporre un’altra classifica: di chi questi racconti (mi vengono in mente Carlo S e Opi) li hanno solo letti (Eva Carriego fa parte del gioco, dal momento che si era dichiarata disponibile a partecipare).

Infine.
Elena (Caterpillar)ha chiesto: fino a quando si possono postare racconti e qual è il termine ultimo per votarli?
Allora, fino al 16 agosto possono (ma con preavviso) essere spediti racconti.
Poi si vota, fino a quando si sono espressi tutti o quasi. So bene che qualcuno magari è in ferie, ma non ma nemmeno di prolungare fino a fine agosto. E poi: si tratta solo di definire l’ordine dell’ebook.
Come se fosse cosa di tutti.

Chiudo dicendo che io non voterò. Ci o pensato bene, e magari un’altra volta lo spiego.
Sono in ferie, sono in Lingua d’oca. Ora spengo il computer e guardo il cielo. E’ stellato stasera.
Buone cose a tutti (e scusate per i refusi; sto postando al buio, in un prato… prima ho visto correre una lepre, non distante).

PS. Voglio aggiungere una cosa. Qui a volte ci soo scazzi. Dal mio osservatorio, dietro le quinte ma con un potente riflettore, dico anche che da molte perso c’è stata una signorilità e un modo garbato di partecipare a questo gioco che mi ha stupito.
(Spengo)