Naturalmente
“E’ la vecchiaia.”
E il dottore nuovo, giovane, lanciò uno sguardo saputo alla Benedetta, l’infermiera del turno di giorno. Quella scosse la testa, che sembrava dicesse: eh, che brutta malattia che ha preso questa, la vecchiaia, guarda te.
“Son le polpette”, mormorò Antonia, che il mal di stomaco così forte aveva cominciato a sentirlo il giorno prima, dopo il pranzo del giovedì.
“Come, scusi?”, il dottorino sgranò gli occhi. Si vede che all’università le polpette non erano nel programma.
“Ho il mal di stomaco per le polpette di ieri”, sillabò lei, a voce bassa ma chiara.
“Le polpette sono buonissime”, ribatté l’infermiera, con stizza.
“Non importa, non importa, vedrà che domani o dopo starà meglio”, tagliò corto il dottorino, intascando lo stetoscopio e scribacchiando qualcosa sulla cartella clinica che affidò alle mani grandi e rosse di Benedetta. Uscirono, lasciando Antonia a massaggiarsi piano lo stomaco con una mano e a frugare con l’altra sotto il cuscino, dove aveva nascosto il pacchetto di sigarette.
Due ore dopo, sentì uno struscio alla porta, e Giuseppe che metteva dentro la testa.
“Cosa c’hai?”, domandò, cercando di attutire il vocione.
“La vecchiaia”, rispose.
“Non dire balle, non sei vecchia, fai solo finta per non mangiare la sogliola del venerdì”, e dicendo questo entrò, chiuse la porta e si mise a sedere di fianco al letto.
“Naturalmente, niente giro stasera.”
“Niente giro, Beppe, se mi vede la Benedetta mi strapazza. Facciamo domani. Domani sto meglio di sicuro”.
“Naturalmente – , fece lui, – e per domani ho un’idea.”
“Basta che non sia la solita, lo sai, siamo vecchi per quell’idea lì.”
Giuseppe si avviò verso la porta:
“Mi sa che hai studiato insieme al dottorino, tu”, disse, e mentre lei rideva augurò la buona notte e se ne andò.
Alla fine, non le dispiacque rimanersene da sola, quella sera. La mensa era sempre un bailamme, e i filetti di sogliola limanda sapevano sempre di sapone. Aveva provato a dirlo a Carlo, quando era venuto l’ultima volta, ma il figlio aveva scosso la testa e spiegato:
“È la vecchiaia, mamma, con i lustri si cambiano i gusti, qui fanno da mangiare bene, lo sai.”
Buonanotte, aveva pensato Antonia, un altro con la fissa della vecchiaia, e non si era più lamentata. Aveva continuato a ingoiare latte scremato al mattino, risottino bianco a mezzogiorno e pastina con crescenza la sera. Tanto, adesso, tutto era condito dalle chiacchiere di Giuseppe e andava giù più facilmente.
Giuseppe l’aveva trovato lì, nella residenza “Anziani in forma”, che garantiva un’assistenza medico-sanitaria di prima qualità e servizi alberghieri di altissimo livello.
“Ospizio di lusso, eh?”, le aveva detto non appena si erano riconosciuti. E poi si erano messi a chiacchierare, a dirsi quanto erano stati stupidi a perdersi di vista, e il mal di stomaco di lei e l’artrite di lui, leggi ancora così tanto, scrivi ancora i tuoi fumetti, e i tuoi figli?, e la tua casa al mare?, ti ricordi di quella volta a Torino, ti ricordi tutte quelle lettere, ti ricordi della bolletta del telefono, ti ricordi perché ci siamo persi…
“Ora che ci siamo ritrovati -, le aveva detto Giuseppe dopo pochi giorni, – naturalmente facciamo quello che non abbiamo fatto allora.”
“Tipo gli esercizi con la fisioterapista?”
“Piantala, tirati su di lì e andiamo a farci un giro.”
Così, se ne erano andati in collina, avevano fatto venire il mal di fegato a Benedetta che non li aveva trovati pronti per la gioiosa attività del laboratorio della memoria. Li aveva cercati per tutto l’ospizio e quando erano tornati a momenti sveniva. Non dalla contentezza, dalla rabbia.
Il dottorino li aveva chiamati e aveva fatto la predica, poi si era girato verso l’infermiera, aveva buttato gli occhi per aria e aveva mormorato:
“Eh, la vecchiaia, sa…”
Loro si erano guardati la punta delle ciabatte ed erano stati zitti, poi
suo figlio Carlo era arrivato di corsa per vedere se l’aria delle colline le stava dando alla testa.
“Ma… mamma!, cosa devo fare, con te?”
Alla fine si era arreso e avevano concordato con la direzione di concederle queste piccole scappatelle, eh, signora Antonia?, però faccia la brava, poi.
E lei aveva fatto la brava. Bravissima. Anche se Giuseppe insisteva.
“Non lo abbiamo mai fatto sul serio. Ne abbiamo soltanto parlato. Perché adesso non ne approfittiamo?”
“Perché siamo vecchi bacucchi.”
“Vecchia bacucca sarai tu.”
“Grazie, allora, ciao.”
“Dai, vieni qui.”
“Domani.”
“Domani lo facciamo?”
“Smettila.”
“Se lo facciamo, la smetto, naturalmente…”
Erano andati avanti così per due settimane, fino al giovedì delle polpette, fino al venerdì della sogliola, fino a quel sabato mattina in cui il dottorino era tornato per vedere come andava e le aveva spiegato:
“Vede, signora, è la vecchiaia.”
Di nuovo, aveva pensato lei. Se mi viene il morbillo questo mi dice ancora che è la vecchiaia. E così aveva deciso. L’avrebbe fatto.
Lo disse a Giuseppe, che non fece neanche vedere quanto era contento, perché sapeva che lei sapeva.
“Lo sai, vero?”, le chiese. E lei annuì.
La domenica mattina si preparò per andare a messa, poi sgattaiolò fuori insieme a Giuseppe (“Perdonami, Signore, te che sei meglio della Benedetta e del dottorino”) con la busta dei soldi e un pacchetto di sigarette.
“Questo lo buttiamo”, fece lui. E lei annuì di nuovo.
“Dove andiamo?”, chiese.
“Non so -, rispose lui. – Non so dove. Non andiamo in nessun posto. Andiamo verso un tempo.”
“Che tempo?”, chiese di nuovo lei, e sorrideva.
“Verso ieri, – rise lui. – O forse verso domani, vediamo.”
“Mi piace -, assentì lei. – Vengo con te.”
“Naturalmente”, disse lui, e si incamminarono.