Raccontiaquattromani/22

La rotonde

Una pennellata dopo l’altra.
Gli occhi giallo febbre. Intenti. Come se avesse davanti un piatto di brodo e dovesse difenderlo da una torma d’affamati.
Scosta dalla fronte aggrottata un ciuffo di capelli con gesto delicato e automatico. E noncurante. Quel gesto lo sporca di colore ma continua il suo lavoro.

Su una poltroncina, un lenzuolo a coprire les nudités.
Bella.
Carne sensuale, erotismo di occhi marrone terra calda del Sud, seni tondi, capelli d’indefinita tinta, ambrati al sole che penetra dal lucernario.
Immobile, impassibili le ciglia.
No, ecco, alza un braccio e lo poggia sulla spalla. Scivola il lenzuolo. La stoffa carezza la pelle scopre un seno ricade tra le cosce.
Impercettibilmente inclina il capo. Intenzionalmente. Vuole mostrare il collo delicato, lungo, sottile, che dà profondità alla simmetria del volto morbido che tante volte ha visto posarsi addosso mani desiderose ed eccitate, e labbra bagnate dalla voglia anche di un solo contatto.

Quel giorno su Boulevard Saint-Michel fu proprio quel viso a colpirlo, un viso stanco segnato da clienti insoddisfatti, e da una notte gelida che l’inverno parigino accentua e da cui lo scialle che tiene sulle spalle non protegge abbastanza.
Seppure estenuate, le sue movenze non perdono fascino e sensualità. Le anche ondeggiano, scampanella il vestito blu che imbriglia a stento le forme sul punto di straboccare dal bustino che appena le trattiene.
Un passo dopo l’altro e arriva a La Rotonde, un bistrot che ospita i migliori artisti del quartiere, ma anche vagabondi e perditempo. In fondo è quasi la stessa cosa, no? Ma è questo il lavoro che le offre un pasto caldo al giorno, sì, perché Céleste mangia solo quando e perché si offre agli uomini che cercano un po’ di compagnia, e canta e balla per divertire il pubblico, e si diverte o finge di farlo – anche a loro capita lo stesso? Troppe domande oggi – e… qual è la specialité du jour? Richard le rifilerà il solito manzo stufato.

Origini italiane forse, forse la madre, una ragazzina tutta pancia e ossa, dalla Sicilia cercò fortuna all’estero, le avevano parlato di una grande città, un nome solo un nome ma le sembrava grande solo a pronunciarlo. Parigi. Strana gente accoglie Parigi e forse in questa città c’era, un posticino per una come lei. Ma chi vuole se la crea, la fortuna. Si cerca la fortuna, è una puttana la fortuna ma non ti viene incontro sbattendoti in faccia le tette come fanno le puttane come fece sua madre e come fa pure lei, Céleste. Un po’ d’amore dis francs, meglio che au cinéma, qui tocchi ed è vero quello che vedi.
Céleste, ou la belle italienne, luminosa la carnagione, oscura di paternità di passato di destino.

Quel giorno, a spettacolo finito, pochi clienti annoiati assonnati abbuiati d’assenzio. Si arrampica su uno sgabello, davanti un piatto di stufato fumante e un bicchiere di rosso del Midi che le tinge le guance già sfregiate dal belletto scadente che le regala Richard.
Una cucchiaiata dopo l’altra, trangugia la brodaglia in silenzio, senza fretta.
La porta de La Rotonde – oh, perché Richard non ci passa un po’ d’olio? Sembra una porta da bordello di provincia – si spalanca. Entrano una folata di vento e la grossa risata di un uomo che bercia un altisonante Bonjour.
Lo riconosce, ne ha sentito parlare, pare sia un pittore promettente mais oui oui perseguitato dalla malasorte, la solita storia il solito imbianchino morto di fame. Eppure si vocifera che la sua vita sregolata – un lunario di alcool, oppio e donne, di un mal di petto che lo tormenta e ad ogni colpo di tosse lo strattona verso la morte – non lo strappi comunque alla ricerca di perfezione, a creazioni insolite. Sorprendenti.
Céleste continua, una cucchiaiata dopo l’altra. Niente la sorprende, a La Rotonde.
Il manzo raffredda.

Encore, Dedé, je t’aime Dedé…
Oui, Dedé, mon amour…
Encore…
Pomeriggi di sole di colore sulla tela sulla pelle sul divano. La modella il pittore il pittore la modella il quadro il divano pennelli colombi sul lucernario troppo tardi per dipingere baise moi non è ancora notte

L’ha lasciata Dedé.
Altri corpi, stesso divano per nuovi quadri.
Me lo sentivo, nelle ossa me lo sentivo, l’ho capito quando ha preso il pennello per firmare il quadro, dieci lettere, piccole, pure io so leggere e scrivere un poco, Dedé non lo scrivere Dedé, non…
Lo sapevo, lo sapevo, sei una stupida puttana, questo sei, e dire che per te pure le botte di Richard mi sono presa, e ora dovrò pure strisciargli davanti perché mi riprenda in quel foutu bistrot
Modigliani è morto.
Il mal di petto se l’è portato.
Ha lasciato quei quadri bislacchi di femmine cigno a collo lungo e puttane affamate in cerca di un nuovo pittore a cui allargare le cosce.

Céleste continua, una cucchiaiata dopo l’altra. Niente la sorprende, a La Rotonde.
Il manzo raffredda.

battute, gatti e libri

Numero di battute (in eccesso, poi basta per favore eh).
Avevo scritto 5500 battute, ma avevo scritto anche che avrei accettato racconti con 100 o 200 battute in più. E ho portato avanti il tutto senza pensarci: davo per scontato che i racconti avessero quelle dimensioni.
Poi una sera ne prendo uno che mi sembra lungo e verifico: son mille in più.
Poi faccio un’altra cosa: in dieci minuti, ripeto dieci minuti, taglio avverbi, aggettivi, frasi che possono essere tagliate. Guardo le battute: non sono 5500, ma se ricomincio so che in dieci minuti ulteriori di potatura ce la posso fare. E penso anche che il racconto sta diventando più leggibile (parere mio, certo).
Guardo altri racconti: qualcuno c’è stato nelle 5500, qualcuno no.
Qualcuno (come la mia amica Lucia Marchitto) ha pensato spazi esclusi, altri, suppongo io, magari sono andati a occhio.
Così penso.
Potrei lavorarci io, oppure rispedire a chi ha sfondato e farmeli rispedire: però mi chiedo: che male ho fatto?
Dal momento che di escludere non mi andava, decido di lasciare così, indicando però il numero delle battute.
Certo che mi spiace, poi, quando leggo che Sabrina Manca ha chiesto al suo socio di stare entro il tetto previsto. La capisco. E ho capito il suo sfogo.
Ma tutto il gran casino che ne è derivato poi, no. Perché – ripeto – bastava un mio supplemento di lavoro, e nessuno – ripeto nessuno – avrebbe potuto dir niente, dal momento che l’editing è ed era previsto.
Spero d’essermi spiegato.
Concludo dicendo che Enrico Gregori ha scritto: a me non disturba (e lui è stato dentro le 5500) ma se qualcuno quando si vota vuol penalizzare chi ha sfondato io lo posso anche capire.

Alla ricerca del mio gatto scomparso mi son fatto una cultura di gatti e gattare.
Perché mi son rivolto alle gattare della mia città.
Una mi ha rimproverato. Mi fa. Se i gatti li si lascia liberi prima o poi non tornano.
Sono stato zitto.
Ma non sono d’accordo. Se il mio gatto ha fatto una brutta fine posso consolarmi, pensando che ha avuto una casa ma è stato anche libero di scorazzare, combattere, cercare femmine.
Se io fossi nato gatto avrei voluto così.

Mercoledì a Imperia sono stato intervistato prima da Radio Rai, per i notiziari regionali, poi dai Rai Tre Liguria. Hanno ripreso anche parte della mia presentazione. MI hanno chiesto, sia radio che tv, del mio prossimo libro.
L’ho spiegato in un minuto, poi ho detto anche il titolo.
Bastardo posto.
Qui non l’avevo mai scritto. Qui avevo solo scritto che è il titolo più corto, scelto per un mio romanzo.
Durante la presentazione ho detto, tra le altre cose, che le televisioni di Berlusconi ci hanno rincoglionito, e rincoglioniscono, e quindi influiscono anche sui gusti dei lettori e sull’editoria. E era vado a spiegare perché, ora, ho scritto questa cosa.

Le mie ferie son durate due giorni, fino a oggi. Imperia, ospite di Marino Magliani per la presentazione del libro, e poi – per poco più di un giorno – Narbonne, in Lingua d’oca.
Dove vado, vado sempre a vedere le librerie.
Propro nella piazza centrale di Narbonne ce n’è una, imponente, grande, ben fornita.
Mi son detto: voglio vedere chi sono gli italiani tradotti.
In mezzo a tante e tante Vargas (che sarà brava ma per me è anche sopravvalutata: meglio Mankell) non vedevo italiani. Nessun Manfredi (che in Spagna avevo trovato dappertutto), Camilleri, Lucarelli. Dopo venti minuti vedo il primo, evviva.
Moccia.
L’unico italiano ben visibile, ben distribuito, insomma.
Così mi son chiesto: ma è davvero colpa di Berlusconi? E qui, allora?
Comunque. Poi, nascosto, di dorso, ho trovato un Dante Alighieri e poi, uscendo, tra i libri religiosi (sic), c’era un libro della Tamaro che ho letto, che non è religioso, e del quale libro ora non ricordo il titolo né mi importa di di ricordarlo.
Preferisco ripetere: Moccia.
Poi, nascosti, Dante e Tamaro.
Che Moccia sia tradotto mi fa piacere per lui. Che sia l’unico italiano ad essere visibile mi ha fatto pensare.
Come fa pensare che in Francia trovi soprattutto autori francesi.
Noi invece…
Forse la sapete. Ma  si dice si dice, so mica se è vero, ma me l’han detto in tanti, compreso un critico) che alcuni editori italiani facciano scrivere gialli ambientati negli usa da scrittori italiani, che poi si firmano Robert, o Tom, o Harry.

E buona domenica

PS E’ arrivato il racconto numero 22; penso di postarlo stasera.