La rotonde
Una pennellata dopo l’altra.
Gli occhi giallo febbre. Intenti. Come se avesse davanti un piatto di brodo e dovesse difenderlo da una torma d’affamati.
Scosta dalla fronte aggrottata un ciuffo di capelli con gesto delicato e automatico. E noncurante. Quel gesto lo sporca di colore ma continua il suo lavoro.
Su una poltroncina, un lenzuolo a coprire les nudités.
Bella.
Carne sensuale, erotismo di occhi marrone terra calda del Sud, seni tondi, capelli d’indefinita tinta, ambrati al sole che penetra dal lucernario.
Immobile, impassibili le ciglia.
No, ecco, alza un braccio e lo poggia sulla spalla. Scivola il lenzuolo. La stoffa carezza la pelle scopre un seno ricade tra le cosce.
Impercettibilmente inclina il capo. Intenzionalmente. Vuole mostrare il collo delicato, lungo, sottile, che dà profondità alla simmetria del volto morbido che tante volte ha visto posarsi addosso mani desiderose ed eccitate, e labbra bagnate dalla voglia anche di un solo contatto.
Quel giorno su Boulevard Saint-Michel fu proprio quel viso a colpirlo, un viso stanco segnato da clienti insoddisfatti, e da una notte gelida che l’inverno parigino accentua e da cui lo scialle che tiene sulle spalle non protegge abbastanza.
Seppure estenuate, le sue movenze non perdono fascino e sensualità. Le anche ondeggiano, scampanella il vestito blu che imbriglia a stento le forme sul punto di straboccare dal bustino che appena le trattiene.
Un passo dopo l’altro e arriva a La Rotonde, un bistrot che ospita i migliori artisti del quartiere, ma anche vagabondi e perditempo. In fondo è quasi la stessa cosa, no? Ma è questo il lavoro che le offre un pasto caldo al giorno, sì, perché Céleste mangia solo quando e perché si offre agli uomini che cercano un po’ di compagnia, e canta e balla per divertire il pubblico, e si diverte o finge di farlo – anche a loro capita lo stesso? Troppe domande oggi – e… qual è la specialité du jour? Richard le rifilerà il solito manzo stufato.
Origini italiane forse, forse la madre, una ragazzina tutta pancia e ossa, dalla Sicilia cercò fortuna all’estero, le avevano parlato di una grande città, un nome solo un nome ma le sembrava grande solo a pronunciarlo. Parigi. Strana gente accoglie Parigi e forse in questa città c’era, un posticino per una come lei. Ma chi vuole se la crea, la fortuna. Si cerca la fortuna, è una puttana la fortuna ma non ti viene incontro sbattendoti in faccia le tette come fanno le puttane come fece sua madre e come fa pure lei, Céleste. Un po’ d’amore dis francs, meglio che au cinéma, qui tocchi ed è vero quello che vedi.
Céleste, ou la belle italienne, luminosa la carnagione, oscura di paternità di passato di destino.
Quel giorno, a spettacolo finito, pochi clienti annoiati assonnati abbuiati d’assenzio. Si arrampica su uno sgabello, davanti un piatto di stufato fumante e un bicchiere di rosso del Midi che le tinge le guance già sfregiate dal belletto scadente che le regala Richard.
Una cucchiaiata dopo l’altra, trangugia la brodaglia in silenzio, senza fretta.
La porta de La Rotonde – oh, perché Richard non ci passa un po’ d’olio? Sembra una porta da bordello di provincia – si spalanca. Entrano una folata di vento e la grossa risata di un uomo che bercia un altisonante Bonjour.
Lo riconosce, ne ha sentito parlare, pare sia un pittore promettente mais oui oui perseguitato dalla malasorte, la solita storia il solito imbianchino morto di fame. Eppure si vocifera che la sua vita sregolata – un lunario di alcool, oppio e donne, di un mal di petto che lo tormenta e ad ogni colpo di tosse lo strattona verso la morte – non lo strappi comunque alla ricerca di perfezione, a creazioni insolite. Sorprendenti.
Céleste continua, una cucchiaiata dopo l’altra. Niente la sorprende, a La Rotonde.
Il manzo raffredda.
Encore, Dedé, je t’aime Dedé…
Oui, Dedé, mon amour…
Encore…
Pomeriggi di sole di colore sulla tela sulla pelle sul divano. La modella il pittore il pittore la modella il quadro il divano pennelli colombi sul lucernario troppo tardi per dipingere baise moi non è ancora notte
L’ha lasciata Dedé.
Altri corpi, stesso divano per nuovi quadri.
Me lo sentivo, nelle ossa me lo sentivo, l’ho capito quando ha preso il pennello per firmare il quadro, dieci lettere, piccole, pure io so leggere e scrivere un poco, Dedé non lo scrivere Dedé, non…
Lo sapevo, lo sapevo, sei una stupida puttana, questo sei, e dire che per te pure le botte di Richard mi sono presa, e ora dovrò pure strisciargli davanti perché mi riprenda in quel foutu bistrot
Modigliani è morto.
Il mal di petto se l’è portato.
Ha lasciato quei quadri bislacchi di femmine cigno a collo lungo e puttane affamate in cerca di un nuovo pittore a cui allargare le cosce.
Céleste continua, una cucchiaiata dopo l’altra. Niente la sorprende, a La Rotonde.
Il manzo raffredda.