Raccontiaquattromani/19

Milano centrale

“Caffè e cornetto”.
Voce metallica. Sguardo appena sollevato, occhi nascosti da un grosso paio di occhiali da sole. Come tutte le mattine è seduto al tavolino del bar, lo stesso tavolo.
Con aria svogliata, è sui trent’anni, recupera il primo quotidiano che trova sul tavolo vicino.
Avrebbe voglia di accendersi una Marlboro per smorzare l’attesa e provare a rilassarsi: è proprio una giornata no.
Non puoi, non è possibile, continuare ad urlare fino alle tre del mattino: idioti, ma ci vuole tanto a capire che non ne avete più e che dovete divorziare? Divorziate così io torno a dormire…
Altro che iniziare il servizio tra mezz’ora, avrebbe voglia di prendere la macchina ed andare al mare, magari con suo figlio, come quando stava ancora a Roma e la domenica partiva per Ostia. Si divertiva o faceva finta: quella creatura a stento lo chiamava papà.
“Grazie”.
Il cameriere ha lasciato l’ordinazione sul tavolo.
Intanto è appena entrato il collega, quello che sorride sempre, quello a cui tutto va sempre nel verso giusto, gli sorride, ordina un latte macchiato tiepido e si siede.
“Allora ragazzone cosa leggi di bello, che è successo in questa Italia?”
Ma vaffanculo, coglione.
“E che vuoi che sia successo di bello, le solite schifezze”.
“Manovre economiche, decreto sicurezza e sto pazzo che ieri sera ha cercato di ammazzare la figlia sul marmo dell’Altare della Patria…”.
Il collega dice qualcosa, mentre i due escono dal bar, ma ormai a farla da padrone sono i ricordi confusi di suo padre…
Papà…
Ma che fai coglione? Gli vuoi ancora bene con tutto quello che ti ha fatto? Quando ti ha rotto il naso perché, ubriaco come sempre, aveva perso il controllo?
Ma papà era così… Ogni volta che beveva non era lui che beveva: era la bottiglia che gli beveva il cervello.
Ma che diavolo dici? Quante volte hai dovuto accompagnare tua mamma al pronto soccorso? Eh, dimmelo quante? E tutte le volte speravi che, finalmente, qualcuno facesse qualcosa. Ma no, non si poteva. Ricordi? Nessuno si sarebbe messo contro un tenente colonnello. Nemmeno quella volta che hai trovato tua madre sul pavimento, zigomo rotto e…
E tu non sei tanto meglio, come padre. Quante volte tuo figlio ti ha chiamato così? Perché lo odi? Perché vuoi godere nel farlo star male: cos’è vuoi sentirti come si sentiva quel figlio di puttana?

“Guarda quella”.
“Chi?”
“Quella che se ne sta piantata là vicino ai cartelloni: ha la faccia d’una che si è appena strafatta”.
La gente, a Milano Centrale, sembra vagare alla rinfusa, ma quella ragazza, jeans larghi, maglietta colorata e scarpe da ginnastica, è immobile. Proprio sotto i tabelloni con gli orari degli autobus. Come se vivesse in un mondo suo.

Perché ti sei fermata, Chiara? Cos’è: quelle poche righe che hai letto sul Corsera ti ricordano il tuo inferno?
No, Chiara.
Il tuo, ma si possono paragonare gli inferni, si possono paragonare?, è stato peggiore. Lei, quella bimba, il mostro non lo vedrà più, se la giustizia, per una volta, sarà giustizia. E tu: e tu, invece, ci hai convissuto per 26 anni con Lui.

“Bastardo”.
Ma con chi ce l’hai Chiara? Con il mostro in galera o con il tuo che, anche prima, come se nulla fosse mai successo, ti ha telefonato per chiederti dov’eri. Come stavi. Se il treno era stato puntuale.
“Voglio scappare. Devo scappare. Dove cazzo è l’uscita in questa stazione? Devo andarmene”.
Lo stai già facendo, Chiara. Stai già scappando. Anche oggi. Più di ieri. Ieri non c’eri nemmeno arrivata a Milano Centrale. Vado a Firenze, avevi detto. La tua fuga era perfetta: ti sei fermata, povera scema, perché a volte lo sei proprio Chiara, a Torino. Oggi, invece sì: la meta è più vicina. Dai Chiara: devi più solo prendere una navetta. Poi Bergamo: mica gli hai detto al Mostro che scappi a Londra. Sei stata brava: almeno fino ad adesso. E adesso, per quelle poche righe, Chiara, ti vuoi fermare? Vuoi tornare ancora nella casa delle illusioni: vuoi tornare da lui, Chiara? Vuoi tornare da tua madre che ha fatto finta di nulla per tutti questi anni?
Clic.
Ecco brava, accenditi una sigaretta.

“Figlio di puttana”.
Brava Chiara, trova negli insulti l’ultima dose di coraggio: quello del passo decisivo. Proprio come quando, ossessionata dalla voglia di distruggerti con il cibo, avevi trovato un barlume di forza per iniziare le sedute dallo psicologo. Ti ricordi Chiara, le parole del Mostro?
Ma cosa ci vai a fare: sono tutte stronzate, aveva detto. Con quel suo sguardo, quello che ti ha perseguitato tutte le notti per ventisei anni. Forza Chiara scappa, non impedire che quella notizia, quella bambina, quell’altro Mostro, ti fermino. La strada per la libertà non è mai stata così corta.
“Signorina”
Chiara si gira di scatto, spaventata da quella mano che si era appoggiata sulla sua spalla sinistra.
“Signorina” ripete il bel poliziotto con gli occhiali da sole. “Ha bisogno?”
Chiara lo fissa: attentamente. Poi si gira e continua a cercare l’orario del suo pullman.
Il giovane poliziotto ripete: “Ha bisogno”?
Chiara con un filo di voce: “Sì, mi accompagni all’uscita dei pullman, per favore. C’è un vecchio che mi tormenta: continua a fissarmi. Ho paura”.
“Chi?”, dicono i due poliziotti.
Chiara, pur diventando rossa per la mezza bugia, risponde prontamente indicando, povero lui, un signore che se ne sta seduto, Repubblica in mano, su una panchina poco lontano.
“Lui?” chiede il poliziotto togliendosi gli occhiali da sole.
“Sì”, dice la giovane ragazza
“Potrebbe esser suo padre” sottolinea il giovane agente.
“Già…” disse sotto voce Chiara mentre si lasciava alle spalle il caos di Milano Centrale, scortata dai due poliziotti.

stasera…

Stasera sono a Imperia a dire, presentato e interrogato da Marino Magliani, de La donna che parlava con i morti (del libro, e di quello nuovo che uscirà, ho appena raccontato qualcosa, intervistato dalla Rai, sede di Genova, però).
Se qualcuno di quelle parti dovesse esserci mi scriva una mail, grazie.
Poi faccio 12, forse 13 giorni di ferie: Francia e soprattutto Spagna. Al ritorno vedrò e mi fermerò, due giorni credo, a Marsiglia, la città di Izzo.
Non ci sono abituato alle ferie io. Nemmeno ai week end prolungati. Se son libero la domenica, tutta la domenica, va di lusso.
Raccontiaquattromani comunque procede, procede grazie a Monia, sempre attenta a leggere e segnalarmi.
Io avrò dietro il pc (come sempre), e una connessione lenta (scheda telefonica). Comunque potete contattarmi (mi collego al mattino e la sera tardi).
Siamo arrivati a venti racconti senza troppi scorni. Vi prego di continuare così: ché si possono dire cose contrarie senza menare colpi bassi.
Ora, in anticipo, posto il racconto numero 19.